Ci sono ancora dei punti rilevanti da chiarire, per quanto riguarda la proposta di legge europea sul clima (Climate Law), su cui voterà domani (martedì 6 ottobre) il Parlamento Ue in seduta plenaria.
L’obiettivo della legge, ricordiamo, è puntare verso la “neutralità climatica” al 2050 azzerando le emissioni nette di anidride carbonica.
E la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nei giorni scorsi ha confermato che Bruxelles è favorevole a portare al 55% l’obiettivo intermedio di riduzione delle emissioni al 2030 (l’obiettivo attuale è -40% di emissioni al 2030, in confronto al 1990).
Come riporta l’agenzia EurActiv, i punti in sospeso nel voto di domani sono sostanzialmente tre.
Innanzi tutto, alcune forze politiche – verdi, socialisti – spingono per tagliare le emissioni del 65% al 2030 affermando che questo è l’unico obiettivo compatibile con gli accordi siglati a Parigi nel 2015 (limitare sotto 2 gradi l’aumento delle temperature medie entro fine secolo).
Mentre i liberali sono favorevoli a una riduzione del 60% delle emissioni.
Poi c’è il nodo dei cosiddetti “carbon offsets”, le compensazioni internazionali di carbonio che si possono ottenere investendo in progetti ambientali in paesi extraeuropei.
Facciamo un esempio: se un paese europeo supporta un progetto di riforestazione in Sudamerica, è giusto contare tale iniziativa (con relative emissioni evitate di CO2) per il raggiungimento dell’obiettivo europeo di neutralità climatica?
Le associazioni ambientaliste sono contrarie, perché sostengono che questi meccanismi di compensazione espongano l’Ue al rischio di spostare verso altri paesi le responsabilità di mitigare gli effetti dell’inquinamento.
Il terzo nodo da sciogliere, infine, riguarda la proposta, avanzata recentemente dalla Commissione Ue, di includere i cosiddetti “carbon sinks” (bacini di carbonio) nell’obiettivo del 55% al 2030.
In pratica, Bruxelles vorrebbe contare, ai fini del raggiungimento del traguardo sulla riduzione della CO2, anche le emissioni di anidride carbonica evitate grazie ai contributi degli ecosistemi, come le foreste, che fungono da bacini naturali di assorbimento della CO2.
Il problema, evidenziano gli ambientalisti, è che così facendo si rischia di diluire il traguardo del 55%, abbassandolo di alcuni punti percentuali.