In Italia più del 30% delle imprese rischia grosso per il clima

I risultati dello stress-test climatico della Banca centrale europea su aziende e istituti finanziari.

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Banche e imprese sono sempre più minacciate dai cambiamenti climatici e in Italia più del 30% delle aziende è esposto a elevati rischi connessi al surriscaldamento globale.

A dirlo è la Banca centrale europea nel presentare i risultati del suo stress-test climatico (link in basso), che ha misurato i potenziali impatti del global warming nei prossimi 30 anni su più di quattro milioni di aziende su scala globale e 1.600 istituti bancari della zona euro.

Tanto che nel 2050, sostiene la Bce, il portafoglio medio di prestiti societari di una banca europea, in uno scenario di non-azione climatica, sarebbe molto più esposto di oggi alle insolvenze delle imprese.

In sostanza, le banche avrebbero un 8% di probabilità in più, rispetto a uno scenario di rapida azione climatica, di dover sopportare delle perdite dovute alla mancata capacità delle aziende di ripagare i loro debiti.

E nei portafogli di prestiti concessi alle società maggiormente vulnerabili ai rischi climatici, le probabilità di insolvenze sarebbero ancora più alte, intorno al 30% nel 2050 in confronto al 2020, nello scenario di non-azione climatica.

Secondo la Bce, quindi, banche e imprese possono ricavare grandi vantaggi da una rapida e ordinata transizione verso un sistema economico-energetico a zero emissioni di CO2, in linea con gli obiettivi climatici stabiliti con gli accordi di Parigi nel 2015.

È la “orderly transition” (riquadro verde) nel grafico seguente, tratto dal documento della Bce, che presuppone di adottare politiche e misure compatibili con un aumento della temperatura di +1,5 °C in confronto ai livelli preindustriali.

Al contrario, gli altri due scenari, “disorderly transition” e “hot-house world” (il primo comporta un aumento della temperatura di +2 °C mentre il secondo fa riferimento al Pianeta-serra con un surriscaldamento ben oltre i limiti di Parigi), sono caratterizzati da un incremento notevole dei rischi climatici per banche e imprese.

Questi rischi sono di due tipi, si spiega nel documento.

I rischi fisici riguardano gli impatti di eventi naturali e meteorologici estremi, come inondazioni, siccità, ondate di calore, incendi.

La distribuzione geografica di tali rischi non è uniforme in Europa, osserva la Bce: le regioni settentrionali, in linea generale, sono più soggette a inondazioni, mentre i paesi meridionali sono più soggetti a ondate di caldo e incendi.

Poi ci sono i cosiddetti rischi della transizione: un esempio è dato dai maggiori costi che le aziende devono sopportare per diminuire le emissioni di CO2 e più in generale il loro impatto ambientale, in modo da allinearsi alle politiche climatiche dei diversi paesi.

Ciò vale soprattutto per le grandi imprese energivore e per i colossi dei combustibili fossili: se non saranno in grado di modificare le loro strategie industriali, investendo sempre di più in tecnologie pulite, si ritroveranno con grandi quantità di stranded asset, cioè investimenti non più recuperabili e improduttivi.

Con la conseguenza che avranno difficoltà a onorare i debiti con le banche e vedranno scendere le loro quotazioni sui mercati finanziari con relativi rating.

Vediamo, infine, con il grafico sotto, che in Italia secondo i calcoli della Bce il 30% circa delle imprese è esposto a elevati rischi fisici e il 35% circa è esposto a elevati rischi di transizione.

Pertanto, afferma la Bce in una nota, i vantaggi di una tempestiva azione per ridurre i rischi climatici “superano i costi iniziali sul medio e lungo termine, anche grazie ai guadagni di efficienza energetica per le imprese e ai costi energetici complessivamente più bassi”.

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