Inverter, trasformatori, resistenze: investimenti futuri Ue nei dispositivi di elettronica di potenza

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L'Europa stanzierà tra 270 e 405 mld € nei prossimi cinque anni in inverter, resistenze, convertitori, trasformatori, sensori di corrente e altri sistemi strategici anche per l'uso ottimale delle rinnovabili.

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Nei prossimi cinque anni in Europa potrebbero essere investiti circa 1.550 miliardi di dollari (al cambio attuale 1.350 mld €) per sostenere le rinnovabili, storage e reti, e di questa somma una quota tra i 310 e i 465 mld $ (270-405 mld €) sarà destinata all’elettronica di potenza.

Si tratta del ramo dell’ingegneria elettrica che copre tutti i dispositivi necessari alla conversione, controllo e gestione dell’energia elettrica, come inverter, resistenze, convertitori, trasformatori, sensori di corrente e tensione.

Secondo l’analisi “Le tecnologie net-zero per la competitività e la sicurezza dell’Europa”, realizzata da TEHA Group (The European House – Ambrosetti), questi investimenti andranno a foraggiare un settore “fondamentale per la gestione dei flussi energetici, per l’efficienza operativa delle infrastrutture e per un uso ottimale delle risorse rinnovabili”.

Sebbene spesso invisibile agli utenti finali, l’elettronica di potenza ha un ruolo determinante lungo tutta la catena del valore dell’energia, dalla generazione allo stoccaggio, dalla trasmissione all’uso finale.

In un prospettiva in cui l’elettrificazione sarà il pilastro dell’evoluzione industriale europea, questi dispositivi diventano sempre più strategici per un sistema energetico sostenibile e innovativo.

Il confronto impietoso con la Cina

Per questo motivo l’Ue sta investendo significativamente in questo ampio comparto. Tra il 2026 e il 2030, si stima che in media saranno destinati a queste tecnologie tra i 54 e gli 81 miliardi di euro.

Negli ultimi dieci anni per i quali si hanno dati disponibili, cioè tra il 2013 e il 2023, c’è stato però un disavanzo tra le importazioni europee di tecnologie legate all’elettronica di potenza e le esportazioni, per uno “scarto” di 25 miliardi.

Uno squilibrio che mette in evidenza una debolezza strutturale: pur essendo la seconda economia mondiale per export, l’Ue non è ancora in grado di cogliere pienamente le opportunità sul mercato interno, favorendo una crescente dipendenza da fornitori esterni, in particolare dalla Cina.

Il gigante asiatico rappresenta infatti il principale concorrente globale nel settore. Tra il 2015 e il 2022 la Cina ha sostenuto direttamente il comparto elettrico con sussidi pari a 1,2 miliardi di dollari, accompagnati da politiche di supporto mirate a tutte le filiere tecnologiche correlate. Inoltre, gli investimenti cinesi in ricerca e sviluppo sono stati 3,2 volte superiori rispetto a quelli dell’Unione europea.

Questa politica industriale ha contribuito a ridurre significativamente i costi delle tecnologie e ha anche rafforzato la capacità delle imprese cinesi di innovare, anticipando i trend di mercato e consolidando un vantaggio competitivo che rischia di rendere obsolete molte soluzioni sviluppate nel Vecchio continente.

Ridurre l’import e aumentare l’export Ue

A fronte di questa concorrenza “geostrategica” e di un mercato interno in forte crescita, gli analisti di TEHA Group suggeriscono di aggiornare urgentemente la politica energetica europea, introducendo una revisione normativa che sostenga le imprese europee.

Una strategia di questo tipo potrebbe invertire il trend commerciale, portando a una riduzione fino al 70% delle importazioni e un aumento del 50% dell’export, generando fino a 705 miliardi di dollari (614 mld €) di valore aggiunto cumulato nei Paesi Ue tra il 2026 e il 2030.

Si tratta di un valore tre volte superiore alla crescita prevista del Pil europeo tra il 2024 e il 2025 (211,5 miliardi di euro), che potrebbe essere raggiunto senza ulteriori spese pubbliche, ma che richiede un intervento strategico che rafforzi la leadership tecnologica europea.

Ricordiamo che l’Ue si è formalmente impegnata a coordinare meglio la politica energetica dei propri Paesi con l’istituzione della task force “Unione dell’Energia” a margine del Consiglio Energia tenutosi in Lussemburgo all’inizio della settimana. Sarà composta da “rappresentanti di alto livello” della Commissione europea e degli Stati membri, con l’obiettivo di promuovere una migliore cooperazione sulle principali questioni di politica energetica comunitaria.

Vi è infine un importante aspetto da considerare, che riguarda la sicurezza. L’elettronica di potenza è il vero e proprio “cervello” del sistema elettrico e il suo sistema di difesa rispetto ad attacchi cibernetici sempre più frequenti in un contesto di guerre ibride. Non controllare queste tecnologie significa esporsi a rischi di sabotaggio che, nel caso dei sistemi energetici, potrebbero consistere in blackout indotti duraturi.

I numeri della filiera italiana

Uno studio realizzato sempre da TEHA Group insieme ad Anie, con il contributo del Research Department di Intesa Sanpaolo, evidenzia il contributo italiano nei settori elettrotecnico ed elettronico, “pilastri strategici della transizione energetica europea, in quanto abilitatori delle soluzioni tecnologiche pulite che riducono fabbisogno energetico ed emissioni, migliorando la resilienza del sistema industriale e infrastrutturale europeo”.

Le imprese dell’ecosistema Anie attive nei settori dell’elettrotecnica, dell’elettronica e dei general contractor industriali hanno generato nel 2023 un fatturato aggregato pari a circa 103 miliardi di euro, di cui 66 miliardi riconducibili alla sola componente tecnologica.

Queste aziende svolgono un ruolo strategico come fornitori di input tecnologici ad alta intensità per una vasta gamma di settori, tra cui quattro mercati prevalenti: energia, costruzioni, industria e infrastrutture.

Nel 2023, i quattro mercati abilitati da queste tecnologie hanno generato un fatturato complessivo pari a circa 1.150 miliardi di euro (+7% rispetto al 2022), con un valore aggiunto diretto di oltre 356 miliardi di euro.

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