A che punto siamo a poco più di un anno dal “decreto biometano” (Dlgs 2/3/2018) entrato in vigore il 20 marzo 2018?
Questo è stato uno dei focus della 14a edizione del convegno “InfoBiogas” organizzato il 23 e 24 maggio ad Affi (VR) da BTS Biogas, un’azienda pioniera del settore che ha realizzato 220 impianti a biogas nel mondo, e che quest’anno; un incontro che quest’anno si è incentratato soprattutto sul tema della richiesta del mercato in vista della decarbonizzazione dei trasporti e sulle risposte dei settori agricolo e industriale.
Nel corso dell’evento, condotto dal Ceo di BTS, Michael Niederbacher e che ha visto la partecipazione di circa 300 operatori del settore, sebbene tutti concordassero sul fatto che il decreto biometano oggi rappresenti in Europa un esempio molto avanzato di legislazione, si è anche evidenziato come la sua concreta applicazione sia stata ed è ancora complicata.
Lo ha spiegato Piero Gattoni, presidente del Consorzio Italiano Biogas (CIB): “è emerso che alcune tematiche nell’ambito del decreto sono state interpretate in maniera diversa, a nostro avviso, rispetto a come erano scritte nella norma”.
In particolare, dice Gattoni, le problematiche riguardano soprattutto le riconversioni degli impianti esistenti. “Molto spesso nei ministeri non ci si rende conto che le aziende agricole devono avere del tempo per modificare le matrici che venivano un tempo utilizzate per la produzione elettrica da biogas e che ora devono essere profondamente cambiate per la produzione di biometano”.
Un piano di approvvigionamento delle biomasse richiede, quindi, del tempo per essere rivisto. Proprio per questo il CIB aveva richiesto al MiSE per gli impianti a biogas più vecchi “uno scivolo” di tre anni in cui l’azienda per una parte poteva continuare a produrre energia elettrica, riducendo l’incentivo del 30% (attualmente di 0,28 €/kWh), per poi gradualmente indirizzarsi verso la completa produzione di biometano e di biocarburante avanzato.
Questa mancata interpretazione ha, di fatto, rallentato molte delle riconversioni che non consentono oggi a molti impianti di uscire dal sistema elettrico. Anche costruire un impianto nuovo a biometano, tra autorizzazione, organizzazione della filiera, selezione delle biomasse e finanziamenti, richiede tempistiche piuttosto lunghe.
Tuttavia l’associazione di categoria è convinta che il mercato dei biocarburanti avanzati partirà a breve una volta risolte queste problematiche: “Il 2020 sarà l’anno della vera partenza”, si è detto fiducioso Gattoni.
Il mercato che si potrà aggredire è un altro aspetto chiave del futuro del biometano e per questo si sta lavorando su alcuni accordi specifici nei trasporti pesanti. Ma quello che è emerso nel corso dell’incontro di Affi è che il biogas non è un’energia come le altre: la digestione anaerobica inserita in un’azienda agricola permette infatti uno sviluppo di una economia circolare che non ha solo una valenza energetica, ma ha anche benefici ambientali.
Su quest’ultimo aspetto, più macro, e riguardo al ruolo energetico del “gas rinnovabile” nei prossimi anni, il CIB ha fornito la sua visione alla consultazione pubblica, indetta dal MiSE, sul Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC).
Secondo il CIB quanto delineato dal PNIEC è ancora troppo conservativo per lo sviluppo del biometano e del settore agricolo in un’ottica di riduzione delle emissioni.
Dall’integrazione tra pratiche agroecologiche e digestione anaerobica condotta secondo i principi del modello “biogasfattobene” (doppie colture per la copertura dei terreni, regolare ritorno al suolo del digestato, uso di sottoprodotti ed effluenti zootecnici) c’è una enorme disponibilità aggiuntiva di biomasse da trasformare in energia, ma anche la possibilità di ripristinare la fertilità dei suoli grazie all’incremento della dotazione di sostanza organica indotta dalla fertilizzazione regolare con digestato, oltre al riciclo dei nutrienti con una netta riduzione dei concimi di sintesi.
Proprio per questo il CIB chiede al Governo di mettere in condizioni l’agricoltura di ridurre le proprie emissioni, creando mercati integrativi al food, di intensificare i servizi ambientali “che solo lei è in grado di fornire attraverso una intensificazione ecologica delle produzioni agricole e un aumento del contenuto in carbonio dei suoli”.
Sul fronte della generazione elettrica, gli obiettivi al 2030 indicati nel PNIEC vedono le bioenergie in flessione rispetto all’attuale produzione. Ma secondo il Consorzio non è affatto coerente perdere una simile capacità di produzione rinnovabile e programmabile, anche perché la flessibilità del gas rinnovabile permette di affiancarsi allo sviluppo di energia elettrica da fonti intermittenti, creando un sistema a emissioni nette zero, con costi sostenibili e tempi compatibili con gli obiettivi indicati dalla Cop21.
Secondo il CIB andrebbe promosso il modello della biogas refinery: un impianto a biogas connesso a due reti, quella elettrica e quella del gas. La biogas refinery deve poter produrre crescenti quantità di biogas da utilizzare localmente oppure da immettere nella rete gas per essere trasportato dove e quando è più proficuo il suo utilizzo.
Con lo sviluppo della tecnologia del “Power to Gas”, l’idrogeno generato da elettrolisi e la CO2 biogenica contenuta nel biogas potranno a loro volta essere convertiti per biometanazione in metano e immessi in rete senza alcuna limitazione. Una volta immesso nella rete, il gas rinnovabile renderà possibile la progressiva decarbonizzazione di settori difficilmente elettrificabili, come ad esempio quello dei trasporti pesanti, navale, aereo e dell’agricoltura.
Per ottenere questi sviluppi CIB ritiene propone un obbligo d’immissione in rete di gas rinnovabile pari al 10% del consumo attuale di gas naturale e la valorizzazione del biogas come fonte programmabile, come avviene già in Germania. Inoltre, per continuare ad avere ancora una produzione elettrica da biogas, importante per il sistema nel suo complesso e per la sostenibilità economica degli impianti, il settore è in attesa del decreto Fer2.
Sempre nell’ambito della consultazione sul Piano Energia Clima, il CIB ha spiegato che sul fronte della produzione di biometano, negli ultimi anni le aziende hanno investito molto in attività di ricerca e sviluppo e avviato un percorso di evoluzione tecnologica indirizzata allo sviluppo di ulteriore capacità produttiva.
Ma questi sforzi non hanno trovato finora un riconoscimento nell’attuale bozza del PNIEC. Basti pensare che l’obiettivo al 2030 è di una produzione di biometano di 1,1 miliardi di metri cubi (da agricoltura e dal riciclo dei rifiuti), mentre il Consorzio ritiene che il target possa essere innalzato di quasi 9 volte: 10 miliardi di mc, con una quota di 8,5 miliardi al solo settore agricolo.
Per decarbonizzazione di tutti i settori produttivi, il CIB ritiene indispensabile prevedere anche una quota obbligatoria di consumo di gas rinnovabile negli usi finali diversi dal trasporto.