Idrogeno dall’eolico offshore nel Mare del Nord: scenari al 2050 e criticità

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I risultati di uno studio norvegese sulle potenzialità dell’idrogeno verde per aumentare la certezza delle forniture energetiche in Europa.

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I parchi eolici offshore nel Mare del Nord hanno il potenziale per alimentare la produzione di 300 terawattora di idrogeno verde entro il 2050.

Si richiederebbe un investimento iniziale nell’infrastruttura di trasporto e stoccaggio sotterraneo di 35-52 miliardi di euro.

È quanto emerge da uno studio dell’istituto norvegese di gestione del rischio DNV, commissionato dalla società tedesca dei gasdotti GASCADE e Fluxys, un gruppo belga specializzato nella trasmissione, liquefazione e stoccaggio di gas.

L’idrogeno è destinato a svolgere un ruolo significativo come vettore energetico a basse emissioni di carbonio, non solo per abbattere le emissioni di settori difficili da decarbonizzare, ma anche per aumentare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico in Europa, secondo lo studio, intitolato “Specification of a European Offshore Hydrogen Backbone” (allegato in basso).

“L’Ue prevede che la domanda di idrogeno neutrale dal punto di vista climatico raggiungerà i 2.000 TWh entro il 2050, e DNV stima che il 20% di questi, cioè 300 TWh, potrebbero essere prodotti utilizzando l’elettricità dei parchi eolici offshore nel Mare del Nord entro il 2050”, ha detto Ulrich Benterbusch, direttore generale di GASCADE.

“Ciò contribuirebbe in modo significativo a ridurre la dipendenza dalle importazioni di energia. Questo aspetto positivo per l’aumento della sicurezza dell’approvvigionamento non può essere enfatizzato a sufficienza dopo le esperienze del recente passato”, con i tagli alle esportazioni di energia dalla Russia a seguito dell’invasione dell’Ucraina, ha aggiunto il manager.

Criterio dei 100 chilometri

La produzione di idrogeno offshore è un’opzione interessante nell’ambito dell’eolico marino, soprattutto a distanze superiori a 100 km dalla costa. Lo studio di DNV rileva che la produzione di idrogeno offshore collegata a un gasdotto è più economica rispetto alla produzione di idrogeno a terra.

“Quello che vediamo è che le aree situate a più di 100 km dalla costa offrono costi di produzione livellati più bassi.  A questa distanza, costa di più per unità energetica trasportare l’elettricità che trasportare l’idrogeno attraverso un gasodotto”, ha spiegato Claas Hülsen, Regional Advisory Business Development Director for Energy Systems di DNV, uno degli autori dello studio.

Per quanto riguarda le infrastrutture di trasporto, lo studio traccia due quadri diversi in base alla posizione.

Scenari e criticità

Per il Mare del Nord, un’ampia area e il potenziale di produzione soddisfano il criterio dei 100 km. Per portare a terra l’idrogeno prodotto in mare aperto, una rete di condotte a maglia, cioè una sorta di spina dorsale europea, potrebbe collegare in modo ragionevole i siti di produzione alla rete di condotte onshore esistente.

Bisogna, però, ricordare che l’uso dell’idrogeno presenta una serie importanti di problemi tecnici, logistici ed economici che ne vanificano spesso i vantaggi teorici.

Tra i maggiori problemi tecnici c’è la maggiore degradazione dell’acciaio dei tubi causata dall’idrogeno, oltre alla necessità di aumentare di circa tre volte la potenza delle stazioni di compressione, rispetto alla potenza richiesta dal gas naturale (si veda, Idrogeno nelle reti gas riconvertite? Per Acer spesso non è una buona idea)

Il minore potere calorifico dell’idrogeno fa poi aumentare i costi di trasporto a parità di servizio termico offerto, anche in caso di una miscelazione parziale dell’idrogeno gol gas naturale.

Il 3% di idrogeno aggiunto al gas naturale andrebbe a ridurre di circa il 2% l’energia trasportata. Quindi se pensiamo ad una miscelazione del 5-10% di idrogeno rinnovabile con il metano, l’energia trasportata ridurrebbe tra il 3,3% e 6,6%, aumentandone quindi il costo, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (vedi Miscelare idrogeno sulle reti gas esistenti? Limiti e costi del suo trasporto).

La situazione è ancora meno favorevole nella regione del Mar Baltico, dove meno aree soddisfano attualmente il criterio dei 100 km, secondo lo studio. Tuttavia, se Svezia e Finlandia decidessero di produrre grandi volumi di idrogeno e di trasportarlo verso i centri di domanda dell’Europa meridionale, le economie di scala potrebbero forse controbilanciare, almeno in parte, alcuni degli inconvenienti legati all’idrogeno.

Coordinamento transnazionale

La distribuzione spaziale dei potenziali siti di produzione di idrogeno offshore mostra che sono coinvolte le aree marine di diversi Paesi.

“Questo suggerisce che sarà necessario un coordinamento transnazionale per sviluppare tutto il potenziale di produzione di idrogeno individuato”, ha detto Christoph von dem Bussche, direttore generale di GASCADE. Sarà altrettanto importante trovare il giusto equilibrio tra il potenziale uso dell’eolico per la generazione di elettricità e la potenziale generazione di idrogeno nei vari Paesi, ha aggiunto.

Per ottimizzare ulteriormente la catena di approvvigionamento dell’idrogeno lo studio suggerisce di immagazzinare nel sottosuolo fino al 30% dell’idrogeno prodotto, per aumentare la flessibilità del sistema.

Costi iniziali

Nel Mare del Nord, il costo delle condutture e dei compressori per la dorsale dell’idrogeno offshore dovrebbe rappresentare il 10% del costo totale dell’idrogeno prodotto in mare aperto.

Secondo i calcoli iniziali, un costo del sistema di idrogeno per il Mare del Nord di 4,69-4,97 €/kg può essere raggiunto con un investimento nell’infrastruttura di trasporto dell’idrogeno offshore di 35-52 miliardi di euro (compreso lo stoccaggio sotterraneo).

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