Gli accumuli domestici e gli effetti sulle emissioni. Il caso statunitense

Una ricerca Usa simula l’impatto dell’uso degli accumuli residenziali sulle emissioni di CO2 delle abitazioni in cui sono installate. L'effetto riduzione non è scontato. Questi risultati sono applicabili anche all’Europa o all'Italia?

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Gli accumuli di elettricità domestici (Aed) sono una delle punte di lancia della conversione energetica alle energie rinnovabili: massimizzando l’utilizzo dell’elettricità rinnovabile autoprodotta, daranno un forte contributo alla stabilizzazione della rete e alla riduzione delle emissioni di CO2.

Questa prospettiva, però, viene adesso messa in dubbio dall’ingegnere Oytun Babacan, dell’Università della California a San Diego, che ha appena pubblicato su Environmental Science & Technology, una ricerca (allegata in basso) che simula l’effetto dell’uso degli Aed sulle emissioni delle abitazioni in cui sono installate.

«L’effetto di riduzione delle emissioni da parte degli Aed non è scontato: dipende da come sono utilizzati. Al momento, in molti casi, il loro uso porta piuttosto ad una crescita delle emissioni», dice Babacan.

Lo studio di Babacan è basato sui dati raccolti nel frammentatissimo mercato statunitense dell’elettricità, dove in ogni regione del paese competono diverse aziende elettriche, con diversi mix di fonti di produzione, diverse curve di domanda e diversi piani tariffari. Ma non è detto che non possa insegnare qualcosa anche sul caso europeo.

La ricerca si basa sulla simulazione di uso di un Aed di 10 kWh/5 kW, in tre modalità diverse:

  • lo shifting, cioè l’accumulo dell’energia presa dalla rete in certi momenti, e il suo rilascio per l’uso in casa in altri;
  • l’autoconsumo, cioè l’accoppiata FV+Aed, al fine di utilizzare al meglio l’energia dei pannelli solari;
  • l’arbitrage, cioè il futuristico (per ora in sperimentazione solo in aree ridotte) accumulo dell’energia dalla rete in certi momenti, e il rilascio in rete di quanto accumulato, in altri.

Per ognuna di queste tre modalità, poi, si sono considerati due scopi alternativi:

  • massimizzare il guadagno monetario (come risparmio in bolletta o come vendita dell’energia alla rete)
  • massimizzare la riduzione delle emissioni di CO2.

Mentre nel caso dello shifting a dell’arbitrage, il confronto è stato fatto fra una abitazione senza Aed e una con Aed, nel caso del FV+Aed, il confronto è fra una casa con fotovoltaico e una con FV+Aed, considerando anche che negli Usa quasi sempre è possibile usufruire del net-metering, il corrispondente locale del nostro scambio sul posto: cioè l’energia solare non usata dall’utente, anche senza accumuli, comunque viene inviata alla rete e remunerata.

Questi sei diverse modalità di utilizzo degli Aed, sono state infine inserite negli scenari delle otto grandi “regioni elettriche” Usa, che differiscono fra loro per fonti di produzione, andamento dei consumi e tariffe.

«Per rendere realistica la simulazione abbiamo anche considerato un’efficienza del 90% fra carica e scarica degli Aed; ciò vuol dire che il 10% dell’elettricità si perde in questo passaggio. I risultati mostrano che usare gli Aed solo a fini di guadagno o risparmio, porta ad aumentare le emissioni di CO2. E fra i tre sistemi, in questo caso, quello che le fa aumentare di più, fino a 200 kg/anno, risulta essere l’Aed+FV, seguito dallo shifting e poi dall’arbitrage».

Quando invece l’Aed è usato per massimizzare la riduzione delle emissioni, il risultato migliore, con 400 kg in meno l’anno, si ha con l’arbitrage, seguito dallo shifting e poi all’Aed+FV che quasi mai porta a riduzioni, rispetto al solo fotovoltaico. Nel grafico, di non facile lettura, i risultati dello studio nei diversi casi.

La scarsa, o addirittura negativa, efficacia del FV+Aed nel ridurre le emissioni, si deve al fatto che il net metering (o scambio sul posto) permette già all’utente di cedere l’elettricità solare alla rete, e poi, virtualmente, di riprendersela quando il sole non brilla: l’aggiunta del passaggio nella batteria domestica, migliora certo il bilancio economico, ma può peggiorare le cose quanto a emissioni, visto che l’efficienza dell’accumulo non è del 100%.

«In generale usare accumuli domestici per risparmiare è particolarmente dannoso dal punto di vista climatico, dove le fonti elettriche emettono molta CO2, perché spesso i momenti di prezzi bassi, in cui si ricaricano le batterie, coincidono con il maggiore uso di carbone. Significa che in quella situazione gli Aed possono contribuire a ridurre la CO2 solo se programmati per accumulare dalla rete quando le emissioni sono basse, e rilasciare energia, in casa o nella rete, solo quando le emissioni di rete sono alte, senza considerare il prezzo del kWh», spiega Babacan.

Ma queste conclusioni possono essere riportate anche al caso europeo?

«Non conosco i dati di emissioni, curve e tariffe dei sistemi elettrici delle varie nazioni europee – dice l’ingegnere americano – però sicuramente fra i tanti sistemi elettrici Usa, qualcuno somiglierà di più a quelli di questo o quel paese europeo e potrà quindi essere usato per fare una previsione dell’effetto degli accumuli domestici in quel contesto. Una cosa però è certa, negli Usa come nell’Unione europea: più in un sistema elettrico prevalgono le rinnovabili, e più gli Aed, se ben programmati, possono contribuire a ridurre ulteriormente la CO2. E questo sembra essere particolarmente vero nel caso dell’arbitrage ottimizzato per ridurre le emissioni, con gli Aed che sostituiscono altrettanta potenza da fonti fossili, come compensazione delle fluttuazioni delle rinnovabili intermittenti».

«Lo studio di Babacan e colleghi è indubbiamente svolto con rigore metodologico», ci dice Luigi Mazzocchi, ingegnere dell’RSE, Ricerca sul Sistema Energetico, il braccio tecnico-scientifico del Gse.

«Secondo me, però, confonde un po’ le idee sull’effetto delle varie opzioni, il non aver chiarito bene che chi ha installato il fotovoltaico già ha ridotto di molto le sue emissioni, rispetto a chi ha installato soltanto l’Aed. Questo spiega anche i risultati “deludenti” dell’opzione FV+Aed, confrontata con chi ha solo il fotovoltaico. Avessero confrontato un utente con FV+Aed, con uno privo di entrambi, avrebbe reso tutto molto più chiaro».

Mazzocchi esclude poi che le opzioni shifting e arbitrage, siano praticabili in Italia.

«Semplicemente non sono convenienti, per motivi tariffari: secondo i miei calcoli in entrambi i casi, accumulando quando l’energia costa meno e usando o rivendendo l’energia accumulata quando costa di più, l’utente finirebbe per incassare, appena 100 euro l’anno circa».

L’unica opzione realistica da noi è quindi la FV+Aed, e non solo per massimizzare l’autoconsumo, che è praticamente l’unica ragione per cui oggi si installano gli accumuli.

«La SEN prevede di portare il fotovoltaico in Italia a 60 GW, dai 20 attuali, il che provocherà un grosso sbilanciamento nella produzione elettrica, che, se non risolto, porterà a sprecare almeno un terzo dell’energia solare prodotta. Per evitarlo occorrerà far sì, con opportuni strumenti politici e normativi, che buona parte di quella nuova potenza sia installata sui tetti, e che sia necessario dotarla di accumulatori, per esempio eliminando lo scambio sul posto. Questo permetterà ai tanti, singoli sistemi di accumulo, di agire come un tampone, assorbendo l’energia solare quando è in eccesso, riutilizzandola o reimmettendola in rete quando invece è insufficiente a soddisfare la domanda».

In sintesi, conclude Mazzocchi: «Se consideriamo il sistema energetico attuale, con prevalenza di fonti fossili, hanno ragione gli autori dello studio americano: gli Aed, se usati solo a fini di guadagno, rischiano di far aumentare le emissioni. Ma se consideriamo i sistemi elettrici del prossimo futuro, fortemente basati su fonti rinnovabili intermittenti, solo una grande diffusione degli Aed permetterà di usare solare ed eolico in modo efficiente, facendo calare ulteriormente le emissioni. Senza lo storage, sistemi energetici del genere non saranno proprio immaginabili».

Lo studio su Aed ed emissioni (pdf)

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