La legge fisica più guastafeste del creato è il secondo principio della termodinamica.
In sintesi, dice che l’energia, mentre si trasforma da una forma all’altra, non può evitare di produrre del calore, che è la forma più “degradata” di tutte.
Ciò in pratica significa che, mentre si può produrre facilmente e con grande efficienza del calore, per esempio a partire da elettricità, tornare indietro, per esempio ottenere elettricità da calore, è molto più complesso e inefficiente. Inefficienza che cresce inversamente alla differenza di temperatura fra sorgente di calore e “mondo esterno”.
È per questo che le centrali elettriche termiche, per quanto siano gigantesche e complicate. e funzionino con calore a centinaia di gradi superiore alla temperatura ambiente, finiscono per sprecarne comunque circa i due terzi.
Il Santo Graal della produzione energetica sarebbe quello di trovare un modo per sfruttare il calore con la stessa semplicità ed economicità con cui i pannelli solari convertono la luce in elettricità: ogni oggetto caldo, dal sole al fuoco del camino, diventerebbe una fonte elettrica.
«Questi dispositivi in realtà esistono da oltre un secolo, si chiamano generatori termoelettrici e sono fatti di materiali semiconduttori che, scaldati su un lato e tenuti freddo sull’altro, producono una corrente elettrica, proporzionale alla differenza di temperatura fra le due estremità.
Peccato che questi dispositivi siano inefficienti e molto costosi: i migliori sono fatti con composti del tellurio, un elemento tossico e raro quanto il platino, e al massimo convertono circa il 7% del calore in elettricità, ci ha spiegato Giovanni Pennelli, docente e ricercatore del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa (foto in basso).
Il problema principale che impedisce di creare un buon generatore termoelettrico efficiente ed economico è che serve un materiale semiconduttore che conduca bene l’elettricità, ma non il calore, due proprietà che, quasi sempre, vanno a braccetto.
«Per esempio il comune, innocuo ed economico silicio, sarebbe in teoria un ottimo materiale per generatori termoelettrici, se solo non conducesse molto bene il calore, e quindi finisse per annullare rapidamente la differenza di temperatura ai due estremi, bloccando la generazione elettrica», dice Pennelli.
Alcuni anni fa, però, Elisabetta Dimaggio, ricercatrice nel dipartimento di Pennelli, studiò le proprietà di conduzione del silicio in forma nanometrica, scoprendo che quando è ridotto a fili di pochi milionesimi di millimetro di diametro, continua a condurre bene gli elettroni, ma non più il calore.
Il problema, a questo punto, era come ottenere una superficie composta da miliardi di nanofili di silicio, per creare un generatore termoelettrico.
«I metodi tradizionali usati per l’elettronica, come la fotolitografia, sarebbero troppo costosi per questo tipo di applicazione; così abbiamo chiesto un aiuto a Stefano Magagna e i suoi colleghi chimici dell’Università Milano Bicocca, che hanno creato un sistema estremamente ingegnoso per risolvere il problema».
Come spiegato su NanoLetters, l’idea è stata quella di creare una sorta di maschera chimica, che permetta l’eliminazione del silicio dove non serve.
«Per riuscirci hanno coperto il silicio puro con una soluzione di sale d’argento, che ha formato un reticolo cristallino con fori molto ben distanziati. Aggiungendo un acido forte, l’argento catalizza la dissoluzione del silicio nei fori del reticolo, mentre il resto resta intatto. Il risultato è una “foresta” di 10 milioni di pilastri nanometrici di silicio per millimetro quadro, ognuno dei quali è un minuscolo generatore termoelettrico», ha detto il professore dell’Università di Pisa.
Già il primo, piccolo, prototipo ottenuto con il nuovo metodo funziona con una efficienza superiore a quelli al tellururo di bismuto, e potrebbe già avere applicazioni pratiche, per esempio sensori da indossare alimentati dalla differenza fra calore del corpo e aria circostante.
«Ma possiamo ottimizzare ancora la struttura di questi generatori, per avvicinarli il più possibile alla massima efficienza teorica di circa il 30%, per esempio, migliorando la superficie conduttiva metallica da applicare all’estremità del silicio corrosa dall’acido, che nella versione attuale ha una resistenza ancora troppo alta. E soprattutto vogliamo industrializzare il processo produttivo per ottenere non più millimetri quadri, ma metri quadri di superficie termoelettrica».
Se riusciranno a unire efficienza, a economicità, a produzione industriale di questi generatori termoelettrici al silicio nanometrico, non è esagerato dire che il mondo sarà rivoluzionato.
«Le prime cose a cui applicare questa tecnologia che vengono in mente sono le ciminiere e gli altri scarichi di fluidi industriali a centinaia di gradi di temperatura: tutta energia sprecata, che potrebbe diventare elettricità. Oppure gli scappamenti dei veicoli ibridi, che ricaricherebbero così la batteria del mezzo. Ma questo sarebbe nulla, pensate all’applicazione di economici generatori termoelettrici sul retro dei pannelli fotovoltaici, che oggi diventano roventi al sole, perdendo efficienza: i generatori li raffredderebbero, trasformando quel calore in ulteriore elettricità, forse raddoppiando la loro efficienza complessiva», dice Pennelli.
Ma la vera madre di tutte le applicazioni rivoluzionarie sarebbe la geotermia.
«Oggi per sfruttare il calore della terra per la produzione elettrica, bisogna trovare quei rarissimi punti dove rocce molto calde siano infiltrate da acqua e producano vapore in pressione; per usarle servono complessi macchinari, con emissioni di gas nocivi o che alterano il clima. Con economici generatori termoelettrici inseriti nei pozzi, e raffreddati con una circolazione d’acqua, il calore della terra, senza vapore, senza emissioni e senza macchinari complessi, produrrebbe purissima elettricità, 24 ore al giorno, 365 giorni l’anno, esattamente quando e quanta ce ne serve».
Considerato che le aree terrestri con il sottosuolo molto caldo ma secco, sono centinaia di volte più di quelle adatte alla geotermia, probabilmente la generazione geotermoelettrica al silicio nanometrico, basterebbe per alimentare tutto il nostro mondo.
Ma vedremo mai questa rivoluzione? E, semmai, quando?
«Noi ci crediamo. E il fatto che con così mezzi così ridotti abbiamo già realizzato un prototipo funzionante, con grandi possibilità di miglioramento, ma in teoria già commerciabile così com’è ora, ci conforta che la nostra visione sia realistica. La palla passa adesso alla politica della ricerca e all’industria italiana: se vogliono darci fiducia e investire nel nostro progetto, cominciando dalla creazione di piccoli sensori termoelettrici, per poi pensare alla produzione di grandi superfici, questa potenziale rivoluzione dell’energia pulita nascerà e resterà in Italia», conclude Pennelli.
Speriamo che, per una volta, sia così, e che comunque non finisca all’estero, o su un binario morto, anche questo treno.