“Forte preoccupazione”, questa la reazione alle proposte del pacchetto Fit for 55 espresse dai principali sindacati italiani dei settori energia e manifattura.
Timori, quelli di Filctem Cgil, Femca Cisl, Flaei Cisl e Uiltec Uil, in linea con le posizioni delle alleanze di sindacati europei IndustriAll Europe e CES, e che, assieme alla reazione ambigua del nostro governo e alle vari critiche ai massimi livelli che il pacchetto ha incontrato, mostrano quanto sia in salita la strada per il taglio del 55% delle emissioni europee entro il 2030.
“Non mettiamo in discussione la visione strategica del Green New Deal, che condividiamo e sosteniamo – dichiarano le segreterie nazionali dei 4 sindacati – ma riteniamo che per la Commissione Europea il concetto di Giusta Transizione sia ormai più uno slogan senza contenuti, piuttosto che il giusto percorso per non far pagare ai lavoratori il costo sociale dei processi di cambiamento.”
Sotto accusa l’accelerazione dei tempi e l’inasprimento dei parametri di costo, contenuti nel pacchetto clima, che, si avverte “rischiano di destrutturare il tessuto industriale di molti Paesi europei e in particolar modo dell’Italia che, considerata la struttura del suo assetto industriale, rischia di vedere pesantemente compromessa la propria competitività”.
Per Filctem Cgil, Femca Cisl, Flaei Cisl e Uiltec Uil, le misure del pacchetto sono “controverse, incoerenti” e non garantiscono “che la transizione energetica sia sostenibile sia sul piano industriale che sul piano sociale”.
L’accelerazione imposta per gli obiettivi 2030 e 2050, secondo i sindacati, “metterà in crisi intere filiere produttive, soprattutto quelle energivore, attraverso i nuovi sistemi di tassazione ETS e carbon tax”.
La nota sottolinea la dipendenza energetica dall’estero del 78,6% del nostro paese che, si denuncia, “rischia di trovarsi totalmente asservito all’importazione di energia prodotta in paesi nei quali non si adottano analoghe misure volte alla transizione ecologica”, non chiarendo, aggiungiamo noi, in base a quale logica, dato che la nostra dipendenza energetica è dovuta quasi interamente all’import di fonti fossili, mentre rinnovabili ed efficienza energetica ci permettono di essere più indipendenti.
Le misure proposte dalla Commissione, poi, secondo la nota, farebbero anche “aumentare la dipendenza dell’Italia sul piano dello sviluppo tecnologico, metterebbero in discussione la competitività internazionale e geopolitica del nostro Paese e conseguentemente del nostro sistema industriale”. Una visione della competitività, ci permettiamo di commentare, che nell’era della lotta la cambiamento climatico risulta un po’ datata: fossili e tecnologie energivore si stanno infatti dimostrando strade che produrranno danni economici ingenti a chi tarderà ad abbandonarle.
A preoccupare le quattro sigle il fatto che siano i lavoratori e le future generazioni a pagare i costi della transizione, sia in termini sociali che in termini di aumento del debito pubblico dovuto alla restituzione delle risorse assegnate al Pnrr.
Da qui l’appello a “costruire tutte le iniziative utili affinché la Commissione europea si confronti con le organizzazioni sindacali a tutti i livelli prima che i provvedimenti e le indicazioni del documento ‘Fit for 55’ vengano rese operative.”
“I processi di cambiamento epocali che dovremo affrontare – conclude la nota di Filctem, Femca, Flaei, Uiltec – devono avere al centro il valore del lavoro e della persona, quanto gli aspetti ecologici, e per avere successo devono vedere i lavoratori protagonisti del cambiamento stesso. Se la politica europea e quella dei singoli Paesi si affideranno nuovamente al “mercato”, come i contenuti del Pnrr italiano sembrano dimostrare, si rischierà di non cogliere gli obiettivi che ci siamo tutti prefissati per salvaguardare il pianeta ed avere un mondo con al centro la Persona i suoi diritti e orientato allo sviluppo, alla giustizia sociale e alla sostenibilità ambientale”.