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Fisica e metafisica delle comunità energetiche

Le contraddizioni della comunità dell'energia, così come è impostata dalla normativa italiana, emergono quando si considera la realtà fisica dello scambio di energia. Il rischio di un nuovo mercato protetto per i grandi operatori? Un intervento di Angelo Tartaglia, professore del Politecnico di Torino.

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Delle comunità dell’energia da un po’ di tempo in qua si parla sovente.

Pare che rappresentino un tassello importante della “transizione energetica” che viene generalmente e ufficialmente riconosciuta necessaria al fine di prevenire, almeno in parte, le conseguenze globali del mutamento climatico, cioè dell’attuale assetto dell’economia, basato sul consumo irreversibile di combustibili fossili in quantità crescenti.

L’idea è semplice: una comunità dell’energia è un gruppo di utenze energetiche (cittadini, imprese, pubbliche amministrazioni) che si organizzano per far fronte ai propri fabbisogni di energia, producendo in proprio, nei limiti del possibile, ciò di cui hanno bisogno. Possiamo aggiungere che cercano di farlo ricorrendo a fonti primarie “rinnovabili”.

La definizione è semplice e comprensibile, ma contiene un sottinteso che è appena il caso di rendere esplicito. La logica interna ad una comunità non è quella del mercato: il gruppo si aggrega per far fronte proficuamente ad un’esigenza comune condividendone i costi e, in pari misura, i vantaggi; non perché alcuni soci possano trarre un profitto crescente nei confronti degli altri.

Sul mercato viceversa la logica è comunque, sia pur con qualche vincolo di legge, la massimizzazione del profitto di ogni singolo attore.

Questa dimensione di comunità è in effetti presente nelle direttive europee, laddove si sottolinea che esse debbono autogovernarsi e che, al loro interno, nessuna componente particolare deve avere il controllo del gruppo. La dimensione di mercato compare nei rapporti esterni della comunità, per la quale, si specifica, non deve esserci la finalità del lucro.

A parte, però, l’esclusione della finalità di lucro, la normativa italiana più recente mantiene un buon grado di ambiguità riguardo alla logica di mercato o meno.

Mi riferisco all’art. 42bis della legge n. 8 del 2020 che al comma 5 punto a) specifica che

i clienti finali associati … mantengono i loro diritti di cliente finale, compreso quello di scegliere il proprio venditore”;

Insomma, l’aggregazione prevista, tanto in forma di comunità energetiche rinnovabili quanto in forma di autoconsumatori che agiscono collettivamente, di comunità ha poco in quanto è escluso (o quanto meno non è previsto) che i suoi associati possano darsi regole comuni, vincolanti fin tanto che il soggetto fa parte dell’associazione, riguardo all’accesso del gruppo al mercato. La logica che sottende la legge, mentre promuove l’uso di fonti rinnovabili, sembra essere più quella di tutelare il mercato e le sue logiche piuttosto che riconoscere un approccio diverso.

La contraddizione diviene più evidente nel momento in cui si passa alla realtà fisica dello scambio di energia, quanto meno quando ci si riferisce all’energia elettrica cui, sia pure implicitamente, ma prevalentemente, le norme si riferiscono.

Il nocciolo della normativa è quello dello scambio tra soggetti diversi connessi con la medesima porzione di rete ed è specificato, sempre nel citato art. 42bis, che coloro che intendono aggregarsi debbono essere tutti connessi alla rete pubblica. Ciò detto, l’impressione che, magari distrattamente, molti ricavano, ma che sicuramente prevale negli apparati amministrativi pubblici, è che lo scambio tra soggetti diversi che vogliono far parte di una stessa comunità può avvenire solo dopo essere stato autorizzato o comunque riconosciuto dal GSE.

È a questo punto che entra in campo la fisica, o più prosaicamente l’elettrotecnica: lo scambio di energia elettrica tra soggetti connessi alla stessa porzione di rete non dipende da leggi dello stato o autorizzazioni amministrative, bensì da leggi fisiche che nessun parlamento o altra istituzione può modificare.

Dati due punti di una rete di conduttori, il trasferimento di energia elettrica tra di essi segue il percorso di minima impedenza anche se le stesse estremità della connessione non ne sono consapevoli e se nulla è stato comunicato al GSE.

Le norme relative alle comunità rinnovabili e ai gruppi di autoconsumatori che operano collettivamente viceversa trasformano lo scambio in una specie di rituale o gioco di ruolo: se voi dichiarate che state insieme allora io (GSE) misuro l’entità dello scambio e vi premio in proporzione. Ciò che viene remunerato è la dichiarazione di essere soci, nient’altro.

Certo, occorre che vi sia almeno un impianto di produzione in capo ad almeno uno dei soci, ma non è necessario fare qualcosa insieme e non è previsto che insieme si possa decidere dei comportamenti più appropriati per ottimizzare l’autoconsumo. Può ben capitare (in particolar modo all’interno di uno stesso edificio che ospiti un gruppo di autoconsumatori associati) che a fianco di qualche socio vi sia un utente, non socio, il quale, essendo connesso alla stessa rete, grazie alla fisica, usufruisca dello scambio con la comunità. Chi ha dichiarato di essere un gruppo viene remunerato, chi non l’ha fatto no, a prescindere. Tutto si riduce ad una formalità amministrativa.

Nel mondo reale ciò che determina uno scambio di prossimità all’interno di una data rete è la presenza di impianti di produzione distribuiti. Quando in un nodo viene attivato un nuovo impianto tutti i consumatori circostanti ne usufruiscono e la pressione sul resto della rete e su impianti lontani si riduce. Certo, le cose sono più complicate di così: ci sono problemi di bilanciamento, gestione delle fasi e simili. Ma l’essenza rimane comunque quella.

Se si ritiene che la produzione distribuita sia una buona cosa bisogna, dunque, incentivare la realizzazione di tanti piccoli impianti, lasciando perdere la commedia degli scambi. E se si ritiene, correttamente, che la realizzazione di impianti di produzione e accumulo può meglio essere fatta in gruppo che singolarmente, allora bisogna aiutare i gruppi (le comunità) che intendono farlo, e non fingere di premiare uno scambio che c’è comunque. Il problema, riguardo a nuovi impianti, è quello di finanziarne la costruzione e gestione associata, ed è qui che occorre introdurre delle agevolazioni.

La gestione non è semplicemente quella materiale di questo o quell’impianto, ma è anche quella che mira a riorganizzare i profili di utenza in modo da massimizzare l’utilizzo dei propri impianti.

Al riguardo chi partecipa ad un gruppo (comunità o altro) non può che affidare al gruppo la gestione della domanda interna, accettando di uniformarsi alle regole che, insieme agli altri soci, avrà contribuito a definire. In questo modo la logica è quella di una comunità e l’ottimizzazione energetica è consapevole e responsabile, piuttosto che delegata.

Quando il gruppo non è autosufficiente o è in sovrapproduzione, com’è normale che avvenga per lo meno in certi momenti, allora ci si rivolge all’esterno, dove le condizioni vigenti sono quelle di mercato: lì si compra e si vende avendo come obiettivo il profitto. All’interno ci si fa carico dei costi e l’intervento pubblico può aiutare a contenerli; all’esterno ciò che è rilevante è il prezzo.

Naturalmente anche all’esterno, vista la natura del bene energia e l’esigenza di mantenere un sistema globale di distribuzione, è indispensabile un insieme di regole valide per tutti e idonee a mantenere in efficienza e sicurezza la rete e il suo funzionamento. Il sistema attualmente in vigore in Italia è un discreto guazzabuglio in cui si mescolano costi, prezzi e tassazione; la logica che si evince, però, è più quella di un mercato protetto per grandi operatori che altro.

Indubbiamente, se la logica delle comunità e dell’autoproduzione/consumo di gruppo viene coerentemente perseguita e prende piede, lo spazio per il mercato della compravendita a fini di lucro si riduce e così pure il ruolo delle grandi centrali, la cui funzione diviene più quella di riserva di sicurezza che non quella di produttore prevalente.

Dal punto di vista ambientale la situazione migliora, ma molti grandi operatori, che oggi nella loro pubblicità si verniciano abbondantemente di verde a patto di non perdere una posizione dominante, devono pensare a modificare il proprio ruolo.

Più che di moltiplicare normative e interventi sparsi, c’è bisogno di una sorta di “testo unico” degli incentivi nei confronti delle comunità dell’energia e di una politica ambientale coerente con la finalità di rendere sostenibile l’uso dell’energia. Con buona pace del mercato e delle sue logiche, che sostenibili non lo sono affatto.

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