Dopo aver analizzato le problematiche autorizzative degli impianti solari termici nelle reti di teleriscaldamento (Energia solare per il teleriscaldamento: la semplificazione autorizzativa), è arrivato il turno della biomassa.
Quali azioni si possono mettere in pratica per semplificare gli iter di sistemi alimentati a bioenergia e allacciati a reti termiche?
Per rispondere a questa domanda, ci riferiamo ancora una volta ai contenuti di una della quattro schede tematiche sugli iter autorizzativi sviluppate dal progetto europeo RES-DHC.
Un potenziale da sfruttare
La biomassa, soprattutto di origine legnosa, è in Italia una risorsa ampiamente sottoutilizzata, anche in campo energetico.
Nel suo dossier “Energia dalle biomasse legnose”, ad esempio, RSE ha evidenziato come, nonostante boschi e foreste italiane coprano oltre un terzo del territorio e siano in continua crescita, la produzione di energia da biomassa legnosa sia ancora poco sfruttata.
Ottenuta come elemento di minor valore dall’utilizzazione boschiva secondo il principio di “uso a cascata del legno”, la quantità di biomassa legnosa di origine forestale utilizzabile a fini energetici, infatti, potrebbe aumentare di oltre 3 volte, garantendo comunque l’incremento della risorsa boschiva se gestita in accordo con standard di qualità come il PEFC (Programme for the Endorsement of Forest Certification schemes ) e/o FSC (Forest Stewardship Council).
Il potenziale di impiego di biomassa per la generazione di calore, quindi, è molto promettente, soprattutto nelle aree rurali, pre-montane e montane, dotate di un cospicuo patrimonio boschivo. Si tratta di una fonte energetica rinnovabile, a emissioni nette nulle per quanto riguarda l’anidride carbonica e, se utilizzata in impianti moderni, efficienti e dotati delle migliori tecnologie di filtrazione, con modestissimi rilasci di polveri nell’atmosfera.
Ciò è particolarmente vero per gli impianti a servizio di reti di teleriscaldamento dove, date le taglie e gli investimenti in gioco, è possibile impiegare un livello di tecnologia, nonché di controllo e manutenzione, che assicurino un limitatissimo impatto sull’ambiente.
Un quadro complesso
L’aspetto più critico a livello normativo è sicuramente quello relativo alle emissioni di polveri, ossidi di azoto e altre sostanze inquinanti.
La qualità dell’aria su scala locale è un elemento centrale delle politiche ambientali e, spesso, ciò si traduce in notevoli limitazioni, quando non addirittura in moratorie, sull’impiego di reti di teleriscaldamento alimentate a biomasse.
Più in generale, la poca conoscenza sulle tecnologie moderne di combustione e filtraggio, unita alla scarsa condivisione dei progetti di investimento, è spesso causa di opposizioni locali sul territorio, anche in assenza di normative cogenti.
Il fattore dimensionale è poi importante nel permettere l’adozione di tecnologie di purificazione dei fumi molto più efficienti che negli impianti più piccoli trovano minore giustificazione economica: centrali più grandi permettono l’adozione di tecnologie più costose ed efficienti e migliorano contemporaneamente il rendimento grazie alle temperature più elevate e più stabili in camera di combustione.
Si sottolinea, comunque, che, anche nel campo domestico e, quindi, degli apparecchi di piccola taglia, esistono ormai tecnologie innovative, molto lontane da quelle tradizionali, con emissioni di polveri e carbonio organico estremamente contenute e del tutto simili ai valori riscontrabili negli impianti industriali.
Per un quadro completo delle norme regionali sulla qualità dell’aria e, quindi, anche sulle loro possibili influenze sugli impianti a biomassa, si consiglia di consultare il documento “Norme regionali per la qualità dell’aria” (pdf) a cura dell’Associazione Italiana Energie Agroforestali (AIEL).
L’Italia sta dando l’esempio
Numerosi sono gli esempi di piccole e medie reti di teleriscaldamento sul territorio italiano come, ad esempio, il caso di Seren del Grappa, in Provincia di Belluno, che mostra anche come la Pubblica Amministrazione possa giocare un ruolo fondamentale sia come promotore sia come fruitore di questi impianti.
Un’altra rete esemplare, per copertura del territorio (80% degli utenti sono serviti dal teleriscaldamento), filiera corta e contenimento delle emissioni, è quella di Tirano, in Valtellina.
Per ulteriori esempi, si rimanda al testo “Teleriscaldamento a biomassa: un investimento per il territorio” (pdf), realizzato dall’associazione FIPER nel 2018 e all’Annuario di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano).
La qualità paga
Come assicurare allora che le reti di teleriscaldamento a biomassa operino con la massima efficienza e con le minime emissioni risultando una soluzione efficace per il territorio dal punto di vista energetico, ambientale ed economico?
Il primo elemento è, senza dubbio, quello della qualità del combustibile. Su questo aspetto, interessante è il lavoro portato avanti dall’associazione AIEL che promuove i 2 marchi ‘ENplus’ e ‘Biomass Plus’ per diverse tipologie di biomassa.
Questo schema di qualità è poi completato dalla certificazione ‘AriaPulita’ che garantisce i rendimenti e le emissioni dei sistemi di riscaldamento (stufe, caldaie, camini, ecc.) e dallo standard formativo ‘AIELplus’, finalizzato a portare all’eccellenza la professionalità di installatori e manutentori.
La qualità è un concetto che deve essere esteso a tutta la vita della rete di teleriscaldamento, dalla sua pianificazione, alla progettazione, passando per il combustibile, per arrivare poi fino alle operazioni di ottimizzazione del funzionamento e di manutenzione.
In quest’ottica, particolarmente calzante è il sistema di qualità ‘QM Holzheizwerke’, nato in Svizzera e Austria e ora in corso di implementazione in Friuli-Venezia Giulia grazie al lavoro dell’agenzia energetica regionale APE FVG. Tutti i dettagli del sistema, compresi i documenti operativi in lingua italiana, sono disponibili a questo link.
L’adozione di un sistema di questo tipo potrebbe non essere prevista in via obbligatoria ma, ad esempio, come strada preferenziale per il percorso autorizzativo e/o come requisito necessario per l’accesso ad alcune tipologie di incentivi (fondi regionali).
Grande è bello e, soprattutto, efficiente
Un altro aspetto fondamentale è la possibile maggiore efficienza di un sistema centralizzato, come la rete di teleriscaldamento, rispetto alla proliferazione sul territorio di soluzioni individuali caratterizzate da un controllo meno attento e, quindi, da minore efficienza.
Una recente analisi (pdf) nell’ambito del progetto ‘BB-Clean’, ad esempio, ha mostrato, per il caso studio di Vezza d’Oglio (BS), come l’adozione di una rete di teleriscaldamento a biomassa porti a una riduzione del 60% della concentrazione media mensile di PM10 in aria rispetto allo status quo, costituito da un mix di caldaie a gasolio, stufe e caldaie a gas.
Sempre in merito a questo aspetto, il già citato testo dell’associazione FIPER riporta la valutazione di come gli impianti di teleriscaldamento a biomassa permettano un deciso miglioramento rispetto ai dispositivi domestici e risultino comunque più vantaggiosi delle caldaie a gasolio, tecnologie considerate spesso come standard per le zone montane.
Un impianto di dimensioni medie (da circa 5 MW), ad esempio, consente di evitare l’emissione di circa 10 tonnellate di polveri all’anno rispetto all’utilizzo di dispositivi domestici a biomassa. Nello stesso testo viene riportato un fattore di emissione medio delle polveri, relativo al campione degli impianti di teleriscaldamento analizzati, pari a 14 mg/kWh.
Un ulteriore elemento è lo sfruttamento delle risorse già disponibili sul territorio che, oltre a stimolare l’economia locale, porta anche una serie di vantaggi ambientali come la riduzione degli impatti del trasporto o la corretta gestione delle foreste.
Una rete di teleriscaldamento ben pianificata e progettata può senza dubbio essere alimentata da biomassa a filiera corta. Chiaramente questo tema è e deve essere connesso a una più generale pianificazione energetica e territoriale dell’area considerata.
Come osservato analizzando gli esempi esteri un altro elemento che può migliorare l’efficienza del sistema è la combinazione con il solare termico, soprattutto se questo viene dimensionato in modo da coprire il fabbisogno estivo della rete, consentendo così lo spegnimento delle caldaie a biomasse nelle stagioni calde.
Tutti questi aspetti dovrebbero essere comunicati con completezza ai principali portatori di interesse in gioco, vale a dire le Amministrazioni Regionali e quelle Comunali, gli operatori del settore (utility, Esco, società di ingegneria, singoli professionisti e i centri di ricerca pubblici e privati), nonché i consumatori finali e tutta la cittadinanza dei territori coinvolti.