“Di noi ti puoi fidar”, la disinformazione dell’industria fossile nella pubblicità su Facebook

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Secondo uno studio di InfluenceMap, nel 2020, i player dell'oil&gas hanno speso almeno 9,6 milioni di dollari in annunci Facebook negli Usa, per qualificarsi soprattutto come paladini della transizione ecologica. Le policy ambigue dei social media.

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Investire milioni di dollari nei social media per fare disinformazione energetica e proporsi come soluzione della crisi climatica di cui sono invece la principale causa.

È la subdola strategia che, secondo uno studio di Influence Map, è stata attuata da 25 colossi dell’oil&gas.

Secondo la ricerca, con un investimento di 9,6 milioni di dollari nel 2020 queste aziende hanno realizzato 25.147 campagne pubblicitarie sulla piattaforma US di Facebook, visualizzate 431 milioni di volte dagli utenti iscritti al social negli Stati Uniti. Numeri che, data la scarsa trasparenza del social network potrebbero essere anche sottostimati.

La distribuzione geografica degli annunci – spiega il rapporto – mostra che sono stati scelti gli Stati con alti livelli di produzione di petrolio e gas, come il Texas e il New Mexico, ma anche sono Stati coinvolti in battaglie politiche specifiche sui temi energetici, come l’Alaska che sotto l’Amministrazione Biden ha poi visto la sospensione delle licenze per le perforazioni petrolifere nel Parco Arctic National Wildlife Refuge, concesse da Trump nel suo ultimo periodo alla Casa Bianca (vedi il grafico con la classifica degli Stati in cui sono state visualizzare le campagne adv oggetto dello studio).

La ricerca di InfluenceMap si è concentrata, come detto, sugli annunci pubblicati su Facebook negli Stati Uniti da 25 organizzazioni petrolifere e del gas o dai loro gruppi di advocacy, tra cui l’American Petroleum Institute (API), ExxonMobil, Phillips 66, Texas Oil and Gas Association e OneAlaska.

Quali informazioni ingannevoli?

Il documento raccoglie alcune prove della pubblicità spesso ingannevole messa in atto dal settore petrolifero e del gas, oggetto comunque di un crescente controllo da parte delle autorità di regolamentazione a livello globale, ma che richiederebbe poi una più attenta valutazione sul ruolo dei social network nell’informazione e sulla necessità di educare gli utenti ad orientarsi nella pioggia di input a cui si è sottoposti durante la navigazione online.

La strategia comunicativa dell’industria fossile, secondo le analisi del rapporto, punta principalmente su alcuni concetti chiave: questa industria aiuta e sostiene l’economia, crea posti di lavoro, sostiene la transizione energetica e la decarbonizzazione, e ne è parte attiva.

Nella narrazioni social di queste imprese è evidente l’importanza di mantenere le fonti fossili, in particolare il gas, nell’energy mix, come soluzione “green” e al tempo stesso affidabile (vedi la frequenza con cui queste tematiche ricorrono nelle varie campagne oggetto dello studio).

Disinformazione fossile

I social media manager di queste imprese sulle loro pagine Facebook puntano a promuovere un presunto impegno delle società nella sfida climatica e millantano un appoggio deciso e collaborativo agli obiettivi di decarbonizzazione.

In particolare, è il gas – sottolinea lo studio – tra i protagonisti principali dello storytelling dell’American Petroleum Institute, che lo propone come fonte chiave per un futuro a zero emissioni. Una strategia comunicativa che prosegue anche nel 2021. L’ultimo post è infatti di poche ore fa:

Sulla stessa linea anche la strategia di ExxonMobil, che ha puntato, anche nel 2021, su temi quali l’attività a sostegno della crisi climatica, il supporto all’Accordo di Parigi, ma anche la povertà energetica e l’importanza di garantire l’accesso all’energia nelle zone rurali di paesi poveri. Anche qui molto rilevante è far passare l’idea che bisogna conservare le fossili nel mix energetico.

Nel complesso, evidenzia InfluenceMap, il 62% delle Facebook ads nel 2020 appartengono proprio a queste due realtà dell’oil&gas, con 139 milioni di impression per l’American Petroleum Institute e 129 milioni per ExxonMobil.

Una strategia in sincrono con la cronaca

La pianificazione di queste campagne ha seguito i trend della cronaca politica ed economica del Paese.

Il monitoraggio della sequenza temporale degli annunci delle aziende oil&gas trattati nella ricerca mostra, infatti, un aumento della spesa pubblicitaria proprio il giorno dopo l’annuncio del Presidente Biden del piano climatico da 2mila miliardi di dollari. Un investimento sostenuto fino alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, quando Facebook ha poi vietato la pubblicità politica.

Contenuti ingannevoli: policy di Facebook e scelte contraddittorie

La denuncia di InfluenceMap è che i messaggi di queste campagne, che ad esempio indicano nel gas un “alleato imprescindibile” per le rinnovabili, sono in netto contrasto con quanto scientificamente dimostrato e sostenuto dall’Intergovernmental Panel on Climate Change’s e dagli studi della IEA sulla roadmap per la decarbonizzazione al 2050.

In particolare, si legge nel documento, presentare il gas fossile come combustibile a basse emissioni di carbonio è una delle argomentazioni considerata dai regolatori come “affermazione fuorviante”, tanto che nel 2019 la UK Advertising Standards Autority aveva emesso un avvertimento a Equinor per annunci simili.

Secondo le politiche pubblicitarie di Facebook la piattaforma vieterebbe gli annunci contenenti informazioni fuorvianti e di disinformazione, ricorda lo studio. Una policy, però, che sembra essere applicata in modo discontinuo e incoerente dal colosso informatico. Ad esempio, abbiamo due campagne dai contenuti simili, ma solo una è stata censurata. Come se la veridicità del contenuto fosse a discrezione del social network.

Negli Stati Uniti la pubblicità ingannevole è monitorata dalla Federal Trade Commission, che definisce diverse regole sugli “enviromental claims” delle imprese che commercializzano prodotti definiti “green” o sostenibili.

Nelle linee guida però non sembrano esserci riferimenti espliciti alla pubblicità dei big dell’oil&gas in merito alla sostenibilità ambientale delle loro scelte strategiche e rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione o all’efficienza dei combustibili.

Bloccare la disinformazione: compito delle piattaforme o degli utenti?

“Se Facebook ritiene di prendere sul serio i suoi impegni sul clima, deve valutare allora se è ancora disposto a continuare a intascare i soldi delle aziende dei combustibili fossili”, dice Bill Weihl, Fondatore di ClimateVoice ed ex direttore della sostenibilità di Facebook.

Insomma, lo studio denuncia “una mancanza di etica e di coerenza di Facebook” che annuncia il proprio impegno nel contrastare i cambiamenti climatici, “vieta” la pubblicità ingannevole e parallelamente ne trae profitto, guadagnando milioni di dollari dalle campagne pubblicitarie dei big oil, che approfittano dell’accurata profilazione degli utenti della piattaforma per veicolare i loro messaggi.

Ma cosa possiamo fare noi utenti dei social media? Mantenere un atteggiamento critico verso i contenuti che quotidianamente ci bombardano, rimanendo consapevoli del fatto che chi ci fornisce un servizio, apparentemente gratuito, riceve in realtà come moneta di scambio i nostri dati, che vengono poi utilizzati per proporci pubblicità quanto più vicine ai nostri interessi.

Così per i colossi statunitensi dell’informatica come Facebook, Google e Amazon, non solo è possibile indirizzare gli acquisti, ma anche plasmare il pensiero politico fino al voto in cabina elettorale.

In tema di scelte climatiche ed energetiche, infine, il rischio è che queste rallentino un reale processo di transizione, disorientando gli utenti rispetto alle scelte veramente necessarie.

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