La crisi dell’auto ha radici profonde, ma non sono “green”

Il motivo della crisi dell’automotive europea non è di sicuro la transizione dai veicoli endotermici a quelli elettrici, ma la mancanza di politiche industriali capaci di valutare i cambiamenti in atto.

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L’industria automobilistica europea è in crisi. Una crisi che una certa politica ha “verniciato di verde” e che si manifesta con bruschi cali della domanda, difficoltà nella transizione tecnologica e in una perdita di competitività internazionale.

Crisi che viene spesso attribuita al Green New Deal o al bando delle auto a motore endotermico previsto in Europa per il 2035.

Ma una lettura più attenta mostra che le cause sono più profonde e strutturali, legate alla mancanza di politiche industriali efficaci e alle dinamiche industriali di breve periodo.

Un mercato dell’automotive in flessione. Forse…

Il mercato automobilistico europeo ha mostrato un andamento altalenante negli ultimi anni.

Secondo i dati dell’Associazione dei Costruttori Europei di Automobili (ACEA), nel 2023 le immatricolazioni di nuove auto nell’Unione Europea hanno raggiunto 10,5 milioni di unità, segnando un aumento del 13,9% rispetto al 2022.

Tuttavia, a dicembre 2023, si è registrata una brusca flessione del 3,3%, che ha interrotto una serie di 16 mesi consecutivi di crescita. E nel 2024, il mercato europeo ha subito un rallentamento più evidente.

A settembre, le immatricolazioni nell’UE sono diminuite del 6,1% rispetto allo stesso mese del 2023, con 809.163 auto registrate.

Questo calo è stato particolarmente significativo in Francia (-11,1%), Italia (-10,7%) e Germania (-7%), mentre la Spagna ha segnato un incremento del 6,3%.

In Italia, Stellantis è andata a picco registrando un calo del 33,9% nelle vendite rispetto al 2023, con una quota di mercato che scesa dal 32,6% al 24,1%. E non va molto meglio in Germania.

Negli ultimi anni, infatti, Volkswagen ha registrato un calo delle vendite interne. Secondo il direttore finanziario dell’azienda, Arno Antlitz, la domanda di automobili in Europa non si è ripresa ai livelli pre-pandemia, con una diminuzione di circa due milioni di unità all’anno. In particolare, Volkswagen ha perso circa 500.000 vendite, equivalenti alla produzione di due stabilimenti. E nel 2024 la situazione è andata peggio.

Ad agosto, le immatricolazioni di auto elettriche in Germania sono diminuite del 68,8% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, contribuendo al calo complessivo del 43,9% nell’Unione Europea anche dell’elettrico.

Un declino che ha spinto Volkswagen a rivedere le proprie previsioni finanziarie per il 2024, stimando un fatturato di gruppo di circa 320 miliardi di euro, in calo dello 0,7% rispetto ai 322,3 miliardi del 2023 e ha portato alla decisione di chiudere tre stabilimenti licenziando oltre 15mila dipendenti. Uno shock socio-economico per la Germania.

Prezzi in aumento, salari in stagnazione

Un fattore cruciale della crisi è l’aumento dei prezzi delle auto che vede l’utente finale come una risorsa per drenare valore.

Dal 2018 a oggi, il prezzo medio degli autoveicoli nuovi, fossili, è salito da 26.590 a 36.082 euro: un incremento del 35,7%. E nel 2019, il settore dell’automotive europeo si era fortemente impegnato per sostenere l’auto elettrica, con l’obiettivo di sfruttare al massimo un ricambio, obbligato per legge, dell’intero parco auto endotermico.

Si tratta, come abbiamo già scritto, di 245 milioni di auto, che in poco più di due decenni avrebbero potuto generare un fatturato che stimabile, per difetto, di 7.350 miliardi di euro.

Tuttavia, la logica del profitto a breve termine delle case automobilistiche ha incrinato anche questa prospettiva che sarebbe pesata tutta sulle tasche dei cittadini.

Con il pretesto dell’inflazione e del rincaro di energia e materie prime, il prezzo delle auto endotermiche nella UE è salito quindi dal 2018 al 2024 del 35,7%, il 41% nei segmenti A e B, superando di gran lunga sia l’inflazione complessiva (+23,8%) sia l’incremento dei salari medi (+21,3%). Un differenziale medio di 2,5 punti in tutta l’Unione Europea.

In Italia è stato peggio con un divario ancora più evidente. I salari sono cresciuti solo del 12,3%, a fronte di un’inflazione del 18,2%. Un differenziale di 5,9 punti. Oltre il doppio della media UE. Ciò ha comportato una forte erosione del potere d’acquisto dei cittadini e un conseguente calo della domanda.

I risultati di questo disallineamento sono evidenti e chiari: una contrazione della domanda e, anche, un progressivo allontanamento dei giovani dal mercato automobilistico. Tra il 2012 e il 2022, infatti, le auto intestate a persone sotto i 25 anni sono diminuite del 33%. Cosa ovvia se si pensa all’aumento dei costi assicurativi e di mantenimento e alla precarietà dei redditi nella fascia giovanile.

Nel frattempo, però nel 2022, le case automobilistiche, che oggi piangono miseria e propongono licenziamenti a raffica, hanno registrato profitti da record: 64 miliardi di euro.

I SUV e il peso dell’innovazione mancata

Parallelamente, le case automobilistiche europee hanno concentrato i loro sforzi sui SUV, un segmento più redditizio per unità di prodotto, rendendo ancora più problematico l’accesso alle autovetture. Ed è una tendenza mondiale.

Secondo l’Iea, nel 2023 i SUV hanno rappresentato il 48% delle auto vendute globalmente. Questi veicoli, più grandi e costosi, consumano di più e hanno un maggiore impatto ambientale: “Se i SUV fossero una nazione sarebbero il quinto emettitore mondiale di CO₂, superando il Giappone”, affermano alla IEA.

I 360 milioni di SUV circolanti nel mondo hanno prodotto un miliardo di tonnellate di CO₂, con un incremento dell’11% rispetto all’anno precedente. E nonostante ciò, l’innovazione tecnologica, sempre secondo la Iea è rimasta limitata.

Le lobby automobilistiche, anziché innovare, hanno fatto pressione in sede UE per rallentare l’introduzione dello standard Euro 7, l’Euro 6 è vecchio di dieci anni, e lo hanno privato di contenuti, evidenziando così ancora una volta la loro storica mancanza di visione a lungo termine.

Al contrario della Cina che ha investito nella filiera elettrica dal 2012, spesso acquisendo tecnologie europee, cosa che le ha permesso di sviluppare veicoli a costi inferiori e con nuove tecnologie.

L’auto e la competizione internazionale

Secondo Mario Draghi, nel rapporto “The Future of European Competitiveness“, il divario tra Europa e Cina è ormai evidente.

Mentre l’Europa non ha supportato adeguatamente la transizione tecnologica, la Cina ha adottato politiche industriali aggressive e agevolazioni massicce.

Il risultato è un mercato europeo incapace di competere: il prezzo di un’auto elettrica cinese è molto inferiore a quello delle sue controparti europee e gli aiuti di Stato cinesi da soli non spiegano la differenza.

Un esempio emblematico è BYD, il principale costruttore cinese, che offre, sul mercato interno, una city car come la Seagull a partire da 10.300 euro e un SUV come la Yuan Up da 13.000 euro.

In Europa, veicoli con caratteristiche simili, con batterie da 30 kWh per un’autonomia di 300 km, sono praticamente introvabili a questi prezzi. Infatti, i dazi del 30% sulle loro autovetture non sembrano preoccupare più di tanto i costruttori cinesi.

Sebbene Draghi abbia fatto accenno nelle sue oltre 400 pagine di rapporto al fatto che l’ambizione europea della messa al bando del motore endotermico al 2035 non sia stata supportata nei fatti dall’incremento dei sistemi di ricarica elettrici, la vulgata di tutta la destra europea, e non solo, è quella che ad affossare il settore auto sia stato il green new deal che oggi si sta trasformando nella ben più comunicabile “ideologia green”, mettendo sotto il tappeto la polvere rappresentata dalla mancata politica industriale organica e da un altrettanta mancata politica sociale, come abbiamo visto.

Scelte miopi

La crisi dell’automobile in Europa è il risultato quindi di scelte miopi sul fronte imprenditoriale e della mancanza di una politica industriale integrata e innovativa sull’argomento automotive e che con il “il green” ha ben poco a che vedere.

Servirebbe una visione strategica che punti a rendere le auto accessibili, investendo nell’innovazione, che oggi non può che essere nell’elettrico, garantendo forti politiche sociali in parallelo a quelle industriali.

Henry Ford disse oltre un secolo fa a chi gli contestava il raddoppio del salario ai propri operai: “A qualcuno dovrò pur venderle le auto che fabbrico”.

L’industria europea dovrebbe averlo ben presente, visto che la Cina sembra essere molto attenta su questo aspetto.

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