Coronavirus e tensioni Russia-Arabia Saudita: così crolla il barile di petrolio

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Prezzi in picchiata nelle ultime ore. Per il 2020 la IEA stima il primo calo annuale della domanda petrolifera dal 2009.

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L’effetto coronavirus e lo scoppio della guerra dei prezzi tra Arabia Saudita e Russia sono i due fattori che stanno facendo crollare le quotazioni globali del petrolio. Tanto che l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA, International Energy Agency) nel suo ultimo bollettino stima che la domanda petrolifera calerà su base annua per la prima volta dal 2009, perdendo circa 90.000 barili giornalieri nel 2020 in confronto ai dodici mesi precedenti.

La situazione però rimane molto fluida e resta difficilissimo azzardare previsioni.

Intanto, nelle scorse ore, i prezzi dell’oro nero sugli indici Brent e WTI sono calati fino al 30-34% segnando così delle cadute che non si vedevano dall’inizio della prima guerra del Golfo nel 1991.

Che cosa sta succedendo? Da una parte, spiega la IEA in una nota che riassume l’edizione dell’Oil Market Report di marzo 2020, il diffondersi del coronavirus in Europa e Asia ha causato un declino delle attività industriali e commerciali e dei trasporti su scala mondiale, perché sempre più paesi stanno adottando misure per contrastare l’ampliamento dei focolai del Covid-19 (vedi qui il decreto italiano).

Così, afferma l’agenzia, si sta andando verso un massiccio calo dei consumi petroliferi di circa 2,5 milioni di barili quotidiani nei primi tre mesi del 2020, nel paragone con lo stesso periodo gennaio-marzo del 2019; il dato include il super-crollo stimato per febbraio (-4,2 milioni di barili/giorno) con la Cina responsabile della maggior parte dei barili “persi” lo scorso mese (-3,6 milioni). Ancora più marcato è il crollo previsto da IHS che in una recente nota parla di 3,8 milioni di barili/giorno in meno per il primo trimestre 2020.

Secondo gli analisti della IEA, la Cina perderà mediamente 1,8 milioni di barili/giorno nei primi tre mesi dell’anno per poi risollevarsi un po’ nei trimestri successivi; anche negli altri paesi la domanda dovrebbe tornare a crescere nella seconda metà dell’anno, anche se l’entità del crollo da gennaio a marzo sarà stata così forte da lasciare il segno rosso all’intero 2020.

E nello scenario più pessimistico, la IEA ipotizza una riduzione pari a 730.000 barili giornalieri nel 2020.

Dall’altra parte, chiarisce poi l’agenzia, il vertice OPEC della scorsa settimana si è chiuso con il braccio di ferro tra sauditi e russi dopo che non si è trovato l’accordo per tagliare ancora di 1,5 milioni di barili la produzione petrolifera, in modo da ridurre il surplus di offerta sul mercato internazionale.

Allora l’Arabia Saudita ha deciso di incrementare il suo output a 10 milioni di barili/giorno dal prossimo aprile e di offrire il suo greggio a prezzi scontati di qualche dollaro, con il chiaro obiettivo di mettere sotto pressione l’industria petrolifera russa (e anche quella americana dello shale oil), perché sia la Russia che gli Stati Uniti non possono competere a lungo con prezzi del greggio troppo bassi.

In definitiva sono sempre gli sceicchi di Riad a dettare legge sul mercato mondiale dell’oro nero, soprattutto in una fase così incerta e turbolenta come quella attuale, aggravata dal rallentamento economico per effetto del coronavirus.

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