Cop 26 al via tra tante spaccature: cosa si dovrà decidere?

La conferenza Onu sui cambiamenti climatici iniziata a Glasgow raccoglie il testimone del G20. I punti più importanti dei negoziati in corso fino al 12 novembre.

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La ventiseiesima conferenza globale sul clima, in corso a Glasgow fino al 12 novembre, è iniziata riproponendo tutte quelle distanze e divisioni tra Paesi che determineranno il successo o il fallimento della Cop 26.

I leader mondiali, con alcune defezioni di peso (il presidente russo Vladimir Putin e quello cinese Xi Jinping), si sono ritrovati a Glasgow raccogliendo il testimone del G20 di Roma, che è servito per mettere sul tavolo i temi più urgenti da affrontare su energia e clima.

Al G20 si è compiuto qualche passo avanti: nella dichiarazione finale si parla, in particolare, di azzeramento delle emissioni di CO2 “entro o intorno metà secolo“, di impegno a contenere il surriscaldamento globale, come da Accordo di Parigi, “ben sotto 2 °C sforzandosi di limitarlo a 1,5 °C sui livelli pre-industriali“, oltre che dello stop ai finanziamenti al carbone nei Paesi esteri.

Ma la Cop 26 dovrà fare molto di più, ha ribadito il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.

Con gli annunci resi finora dai governi per ridurre le emissioni, come sottolineato in diversi rapporti (Iea, Unep), gli obiettivi climatici rimarranno ampiamente fuori portata.

Anche perché la ripresa economica post-Covid sta riportando in alto i consumi di fonti fossili e le emissioni annuali di anidride carbonica.

Cosa si dovrà decidere in concreto a Glasgow?

Tra i tanti punti in discussione, tre sono fondamentali:

  • rafforzare gli impegni per il clima nei piani nazionali NDC (Nationally Determined Contributions);
  • potenziare la finanza climatica internazionale per supportare gli investimenti verdi delle economie emergenti;
  • definire le regole che consentiranno di calcolare, certificare e “scambiare” le riduzioni di CO2 dei diversi Paesi.

Il problema è che su questi e altri punti ci sono spaccature profonde.

L’India sembra essere salita sul carro di chi vuole agire con più determinazione contro il cambiamento climatico, ma il premier Narendra Modi ha indicato come data il 2070 per il traguardo net-zero, dieci anni dopo Cina e Russia e venti anni dopo le maggiori potenze occidentali.

Questo scarto di 10-20 anni si spiega con le richieste avanzate dai Paesi in via di sviluppo a quelli più avanzati: servono più soldi, ben più dei 100 miliardi annui promessi finora e comunque mai arrivati, per finanziare la transizione energetica verso le fonti rinnovabili e serve più tempo per coniugare la crescita economica con il taglio della CO2.

La stessa Cina, infatti, non intende anticipare il suo obiettivo di neutralità climatica, fissato per il 2060, puntando a raggiungere il picco delle emissioni prima del 2030.

Anche la Russia ha annunciato un obiettivo analogo per il 2060, ma non ha ancora chiarito come intende realizzare un sistema economico-energetico a zero CO2.

Unione europea e Stati Uniti premono invece per un azzeramento delle emissioni entro il 2050. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Layen, ha poi rilanciato la proposta di fissare un prezzo internazionale per la CO2 e così favorire gli investimenti in tecnologie sempre più pulite.

Mentre il presidente Usa, Joe Biden, vuole cancellare del tutto quella immagine di un Paese pro-carbone e negazionista del cambiamento climatico che ha caratterizzato la presidenza Trump.

Gli Stati Uniti sono rientrati negli accordi di Parigi, e sul fronte interno Biden sta lottando per far passare al Congresso un pacchetto multimiliardario di misure per il clima.

È nei possibili punti di contatto tra queste spaccature che si giocherà buona parte della Cop 26.

Non resta che vedere quali fili riuscirà a tessere la diplomazia internazionale sul clima nei prossimi giorni: solo allora si capirà se gli accordi di Parigi hanno un futuro. Intanto la crisi climatica avanza.

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