Confindustria invoca il nucleare e attacca il Green Deal

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Nel corso della prima assemblea del nuovo presidente Orsini gli industriali criticano le politiche della transizione ecologica europea: "rischiano di frenare la nostra competitività".

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Il Green Deal europeo rallenta l’industria italiana, che chiede una transizione “più graduale”. Questo in sintesi il messaggio lanciato nel corso dell’assemblea nazionale di Confindustria, che si è tenuta oggi a Roma.

L’automotive, l’approvvigionamento energetico nazionale, le misure europee di decarbonizzazione: tutti temi centrali per la transizione ecologica, affrontati nel corso dell’evento, che ha visto l'”esordio” da presidente per Emanuele Orsini, e la partecipazione anche della presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Secondo Orsini il Green Deal, così come è concepito, metterebbe a rischio l’industria italiana e potrebbe compromettere la competitività del nostro Paese, e dell’Europa intera, rispetto a Stati Uniti e Cina, specialmente nel settore auto.

Parole gravi e preoccupanti anche perché arrivano il giorno dopo la nomina di Teresa Ribera a vicepresidente della Commissione europea e commissaria alla “Transizione giusta e alla Concorrenza” da parte di Ursula von der Leyen, che le ha affidato l’incarico di raccogliere l’eredità di Timmermans e portare avanti le riforme “green” comunitarie già avviate nel quinquennio appena trascorso.

“La decarbonizzazione inseguita anche al prezzo della deindustrializzazione è una debacle”, ha detto Orsini. “La storia, e il mercato europeo dell’auto elettrica che stiamo regalando alla Cina, parlano da soli. La filiera italiana dell’automotive è in grave difficoltà, depauperata del proprio futuro dopo aver dato vita alle auto più belle del mondo e investito risorse enormi per l’abbattimento delle emissioni”.

“Oggi – ha proseguito il presidente di Confindustria – abbiamo una preoccupazione in più: crescere nonostante le difficoltà di una transizione epocale che investe aspetti diversi e decisivi per le persone, le aziende e gli stessi soggetti politici e sociali”.

“Mi riferisco alle transizioni energetica, ambientale e digitale. Transizioni, queste, che costano e costeranno migliaia di miliardi al sistema Paese, che sono vere e proprie rivoluzioni industriali e che potranno cambiare in meglio la vita di ciascuno di noi e il futuro delle nostre imprese. Transizioni che hanno, però, bisogno di tempo adeguato. Senza che qualcuno, come sta avvenendo in Europa, confonda politiche ambientali autoreferenziali con politiche industriali per la crescita”.

Il ritorno del nucleare

Tra le proposte di Orsini, quelle sull’indipendenza energetica hanno occupato un ruolo centrale. Per raggiungerla, il numero uno di Confindustria auspica il ritorno del nucleare nel nostro Paese.

“L’Italia è chiamata a nuove scelte coraggiose. Siamo convinti che il ritorno al nucleare sia strategico. Tutti noi abbiamo imparato che l’indipendenza energetica è questione di sicurezza nazionale: allora perché tutti insieme non appoggiamo il nucleare di ultima generazione, invece di continuare a rifornirci a prezzi crescenti dalle vecchie centrali nucleari francesi? Nel nuovo piano energetico se ne parla. Ma sappiamo tutti che, se cominciassimo oggi, ci vorrebbero almeno dodici anni per poterlo utilizzare. Non possiamo perdere altro tempo”.

Ma sappiamo che il nucleare, estremamente complesso nella sua realizzazione in Italia e di per sé costosissimo considerando anche il suo intero ciclo di vita, si vorrebbe utilizzare per intervenire solo quando l’offerta da fonti rinnovabili non riesce a coprire la domanda, peggiorando però così ulteriormente il suo costo unitario (Il nucleare del ministro: illusioni di sicurezza e costi nascosti).

Per quanto concerne i piccoli reattori modulari (SMR), richiesti a gran voce da governo e industriali, va detto che anche l’Institute for Energy Economics and Financial Analysis li ha definiti “ancora troppo costosi, troppo lenti da costruire e troppo rischiosi per svolgere un ruolo significativo nella transizione nei prossimi 10-15 anni”.

Contro le politiche green europee

L’Europa finisce nel mirino di Orsini, secondo il quale l’assenza di un mercato unico dell’energia è la causa per l’Italia di una bolletta elettrica fino al 40% superiore alla media comunitaria.

Inoltre, il meccanismo ETS (“Emission trading sistem”, il sistema “Cap and Trade” che fissa un tetto ai gas climalteranti che possono essere emessi) dovrebbe essere “assolutamente cambiato” perché “ha consentito la speculazione finanziaria sulla transizione ambientale, spingendo il prezzo della CO2 fuori dal mercato mondiale”.

Continuando così, per il nuovo presidente dell’associazione degli industriali “regaleremo ai nostri competitor internazionali, come sta avvenendo per l’automotive, anche acciaio, cemento, metallurgia, ceramica, carta. Con ricadute negative sugli investimenti, sulla crescita e sull’occupazione”.

Il discorso di Orsini sono stati rafforzati dalle parole della premier Meloni, secondo la quale “accompagnare il nostro tessuto produttivo nella sfida della transizione ecologica non può voler dire distruggere migliaia di posti di lavoro, smantellare interi segmenti industriali che producono ricchezza e occupazione”.

L’esempio citato è quello dell’addio al motore endotermico entro il 2035, per il quale  l’Italia ha chiesto di rinegoziare le scadenze.

Per Meloni “è uno degli esempi più evidenti di questo approccio autodistruttivo: si è scelta la conversione forzata ad una tecnologia, l’elettrico, di cui non deteniamo le materie prime, non controlliamo le catene del valore, la cui domanda è relativamente bassa, il cui prezzo è proibitivo per i più e con una capacità produttiva europea insufficiente”.

Quindi la soluzione proposta, sembra di capire, sarebbe il rinvio della dismissione delle auto più inquinanti, invece di concentrare le forze nella risoluzione dei colli di bottiglia che limitano ancora la diffusione dell’elettrico.

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