Come fare accumulo stagionale con l’idroelettrico

Uno studio esamina le potenzialità un sistema idroelettrico per l’accumulo stagionale. Ecco come è concepita la stazione, quali i costi e il possibile sfruttamento su scala globale.

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Stoccare, conservare, accumulare… questi verbi stanno diventando una vera e propria ossessione nel mondo dell’energia, via via che che si deve progettare un nuovo mondo a energie rinnovabili che, come tutti sanno, saranno pure sostenibili e pulite, ma, nel caso dei loro “campioni” eolico e solare, sono anche molto capricciose, variando notevolmente e in modo poco prevedibile durante il giorno, fra un giorno e l’altro e fra una stagione e l’altra.

E questi capricci il mondo moderno non se li può permettere, dovendo assicurare ogni secondo una produzione esattamente uguale alla domanda, pena lo squilibrio del sistema e il suo blocco.

Delle tre scale temporali indicate sopra, quella oraria e giornaliera si può immaginare saranno compensate da soluzioni come le batterie, la modulazione della domanda (crescente per via dell’elettrificazione di trasporti su strada e climatizzazione) o l’idroelettrico da pompaggio.

Resta largamente da risolvere l’accumulo stagionale, cioè il “mettere in cascina” i chilowattora prodotti nelle stagioni dell’abbondanza (primavera-autunno per solare, autunno-primavera per l’eolico), in modo da usarli durante i mesi di magra.

Finora le soluzioni proposte, come la produzione di idrogeno o metano di sintesi, sono certamente tecnicamente fattibili, ma piuttosto inefficienti, facendo perdere il 50% o più dell’elettricità prodotta in eccesso.

L’ingegnere dei sistemi energetici Julian Hunt, dell’austriaco International Institute of Applied Systems Analysis, propone adesso su Nature Communication (pdf), un nuovo metodo per usare l’idroelettrico per accumulare l’elettricità da una stagione all’altra.

I normali accumuli con il pompaggio idroelettrico (PHS), normalmente consistono in un bacino idro con diga, riempito da un corso d’acqua, a cui viene collegato un secondo bacino, naturale o artificiale, più in basso, in cui accumulare parte dell’acqua scaricata dall’altro durante la produzione di elettricità. L’acqua accumulata in basso, viene nuovamente pompata verso l’alto nei momenti in cui serve stoccare energia.

La potenzialità del PHS è enorme, come abbiamo anche riportato su QualEnergia.it, ma è chiaro però che quel tipo di accumulo non si può protrarre per molto tempo, in quanto il bacino in alto deve continuamente scaricare la sua acqua a valle per non “traboccare”.

«Un sistema per l’accumulo stagionale (Seasonal pumped hydropower storage – SPHS, ndr), invece, consiste in una stazione di pompaggio e turbine, posta lungo il corso di un grande fiume, un tunnel con le condotte idriche che raggiunge una valle laterale sopra il fiume, e un bacino realizzato in quella valle», spiega Hunt.

«Nei giorni di eccesso di produzione di energia rinnovabile, parte dell’acqua del fiume è pompata verso il bacino, che così si riempirà gradualmente. Nella stagione in cui la sorgente rinnovabile è minore, il bacino restituisce l’acqua al fiume gradualmente. Visto che i bacini per l’SPHS si possono svuotare molto di più di quanto accada con quelli per l’idroelettrico convenzionale, in essi si può accumulare fino a sette volte più acqua, e quindi energia, rispetto al normale».

Anche per questa caratteristica il sistema è adatto a regolare la portata del fiume senza sbarrarlo, succhiando via l’acqua in eccesso durante piene pericolose, e restituendola durante le magre, con un impatto ambientale molto ridotto rispetto alle dighe.

Per capire quanto questa soluzione possa contribuire alle necessità di accumulo stagionale nel mondo, Hunt e colleghi hanno realizzato un programma che a partire dai dati idrologici dei grandi bacini fluviali, analizza le immagini satellitari del loro corso e individua la giusta combinazione di fiumi e valli montane vicine che potrebbero servire a questo tipo di impianti.

«Il sistema ha indicato ben 5,1 milioni di possibili siti per l’SPHS, ognuno modellato per avere almeno un GW di potenza e un costo dell’accumulo di meno di 50 $/MWh»

Troppa grazia, viene da dire. E infatti il passo successivo fatto dai ricercatori è stato quello di limitarsi a un progetto per quadrato di 100X100 km ed eliminare quelli più costosi di costruzione di 600 $/kW installato, considerando che i costi derivano soprattutto dall’altezza della diga necessaria al bacino e dalla lunghezza del tunnel che lo deve collegare al fiume.

«Alla fine, abbiamo considerato in modo più dettagliato solo 1.092 progetti “esemplari” in giro per il mondo, dove accumulare energia con l’SPHS. In totale potrebbero accumulare 17.325 TWh di elettricità, cioè a dire l’80% di quanta ne è servita su scala globale nel 2017. Alcuni degli impianti più economici, quelli con il fiume più vicino a valli montane molto elevate su di esso, che permettono l’accumulo di grandi volumi con dighe basse o la costruzione di più bacini in sequenza, raggiungono prezzi stracciati per lo storage di elettricità, anche solo 1,8 $/MWh».

Per comparazione si consideri che il costo dell’accumulo in batterie al litio per la rete, secondo lo US department of Energy, dovrebbe continuare ad aggirarsi intorno ai 100 $/MWh fino al 2045.

In teoria quindi, questi bacini per l’SPHS, potrebbero risolvere gran parte del problema della variabilità stagionale delle fonti rinnovabili.

Ma hanno due limiti: non tutti i paesi hanno le giuste caratteristiche geografiche e idrografiche, e, inoltre, all’alta portata del fiume non sempre corrisponde un eccesso di produzione elettrica rinnovabile.

«Sì, ovviamente la sincronia fra flusso e necessità energetiche non si ottiene sempre e ovunque; è più frequente nei paesi montani e tropicali, per esempio. E naturalmente servono fiumi di grande portata che scorrano in regioni con colline o montagne vicino al loro letto, e le cui acque non siano già sovrasfruttate per altri scopi. Paesi come Brasile, Usa, Cina, Sud Est asiatico, Russia, Canada, paesi andini, Europa centro-settentrionale, Balcani e molte nazioni del centro e dell’est dell’Africa, avrebbero comunque abbondanza di luoghi per l’installazione di questi sistemi».

Ma ce ne sarebbero altrettanti quasi esclusi da questa possibilità per mancanza di corsi d’acqua adatti, come area mediterranea, Medio Oriente o Australia.

E se da loro l’acqua per l’SPHS la si prendesse dal mare, invece che dai fiumi?

«È una possibilità che non abbiamo considerato in questo studio, per non complicare troppo le variabili e perché volevamo anche offrire il servizio di accumulo d’acqua per irrigazione e regolazione del flusso del fiume. Inoltre, anche se di valli elevate su alture vicino al mare ce ne sarebbero un’infinità intorno alle coste del mondo, questo tipo di soluzione presenta problemi particolari, come la necessità di evitare che l’acqua salata si infiltri nel terreno. Ma sicuramente è tecnicamente realizzabile; penso che la prenderemo in considerazione, dedicandole un nostro prossimo studio», conclude Hunt.

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