Come abbattere le barriere per costruire Comunità Energetiche sostenibili

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Come si costruisce una società di prosumer che condivida l’energia elettrica all’interno di Comunità energetiche coese e sostenibili? La tecnologia non è un problema. Bisogna costruire una nuova cultura energetica e solidale.

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La transizione energetica richiede che ciascuno di noi evolva dal ruolo di consumer a quello di prosumer di energia elettrica da fonte rinnovabile.

Un’opzione interessante è la partecipazione alle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER). Ma quali sono gli strumenti e le barriere che agevolano o ostacolano questa evoluzione?

Una risposta articolata a questa domanda arriva da “Needs and Barrier of Prosumerism in the Energy Transition Era”, una corposa pubblicazione a cura di Lucia Ruggeri, Direttrice della Scuola di Specializzazione in Diritto civile dell’Università di Camerino, con il contributo interdisciplinare e internazionale di oltre trenta docenti e ricercatori.

Liberamente scaricabile, l’e-book (link al pdf in fondo all’articolo) è stato realizzato all’interno del progetto ECPE (Enabling Consumer to being Prosumer in the Energy Transition Era) con l’obiettivo di fornire a Cittadini, Pubbliche Amministrazioni e Imprese le informazioni necessarie a realizzare Comunità energetiche coese attraverso il potenziamento della cittadinanza energetica.

Con la professoressa Ruggeri abbiamo approfondito alcuni dei temi affrontati nella pubblicazione con riferimento alla comprensione del concetto di Comunità energetica, alle barriere socioeconomiche che frenano la diffusione del prosumerismo e agli insegnamenti che possiamo trarre dai fallimenti delle Comunità energetiche.

Nell’ambito del progetto ECPE è stato realizzato e pubblicato sul web un questionario, nella versione italiana e inglese, a cui hanno risposto 456 soggetti. Di questi, il 69% ha scelto la lingua italiana.

Il 50% ha dichiarato di avere dimestichezza con i concetti di transizione energetica e Comunità energetica. Ma questa percentuale scende al 40% circa se si entra nella specifica conoscenza della normativa che regola le Comunità energetiche e al 30% sul significato del termine prosumer. L’interesse per un approfondimento è quasi equamente distribuito tra tutti i temi proposti.

Il fatto che solo il 50% dei cittadini conosca o creda di conoscere il significato dei concetti indagati, ma che una percentuale ancora minore sappia cosa si intende con la parola prosumer, che è il fulcro di tutto l’impianto delle CER, ci dice che servono più cultura e consapevolezza in ambito energetico.

E quindi iniziamo col chiedere alla professoressa Ruggeri se l’assenza di una cultura energetica può essere la prima barriera per la diffusione del prosumerismo?

“Certamente. Non è sufficiente fare una legge per far sì che la società si trasformi, anche se questa necessità emerge ormai quotidianamente nel dibattito pubblico sul cambiamento climatico e sui fenomeni migratori. È necessario che i ricercatori, che già supportano i legislatori e si interfacciano con le imprese, si impegnino anche in attività di comunicazione e formazione a partire dalle scuole, dai condomini, coinvolgendo l’ampia platea di stakeholder, i prosumer appunto, senza i quali la transizione energetica non può procedere speditamente quanto serve”.

Le Comunità energetiche assumono oggi particolare rilevanza per le aree rurali e interne. Quali sono le barriere alla realizzazione di Comunità energetiche in questi contesti?

“L’ostacolo principale è la mancanza di metodo per la progettazione di lungo periodo nelle Amministrazioni Locali. L’Università di Camerino opera in un contesto che ancora risente del terremoto del 2016 e che per questa ragione sperimenta e accresce quotidianamente la propria capacità di resilienza. Noi stiamo cercando di supportare i sindaci delle zone vulnerabili e a rischio spopolamento affinché possano cogliere l’opportunità dei fondi resi disponibili dal PNRR per identificare in maniera puntuale i bisogni dei loro territori e rivitalizzarli a partire dalla transizione energetica. E poiché il nuovo quadro regolatorio permette a enti di ricerca e formazione di far parte delle CER, sarà importante che questi supportino dall’esterno o dall’interno la rete di cittadini, enti territoriali e locali, PMI che vogliano creare Comunità energetiche”.

Una volta costituita, la Comunità energetica deve essere gestita. Come si fa?

“La realizzazione e la gestione degli impianti di produzione e la sostenibilità della Comunità energetica nel tempo possono rappresentare un ostacolo. È possibile che in questo senso la formula dell’associazione fin qui sperimentata non dia le garanzie necessarie. Bisogna pertanto pensare a nuove ipotesi. Tra queste, la Cooperativa di comunità, intesa come un’aggregazione locale che operi per soddisfare una pluralità di bisogni della comunità locale, potrebbe favorire anche il permanere dei giovani in queste aree, in particolare dopo che la pandemia ha ridato valore alla qualità della vita”.

Ha citato il PNRR. Crede che potrà essere un utile supporto per rimuovere questi ostacoli?

“Le misure del PNRR vanno proprio in questa direzione. Destinano parte dei fondi alla progettazione delle CER nei piccoli Comuni. Si tratta di una grande opportunità, per realtà piccole e marginali, diffusissime sul territorio nazionale, per connotare il loro territorio con attività green. La speranza è che le risorse siano impiegate su progetti che per caratteristiche di scala, di replicabilità e, soprattutto, per un adeguato coinvolgimento consapevole dei cittadini, diano garanzia di lunga durata”.

L’evoluzione dei consumer verso il prosumerismo è fondamentale per la riuscita delle Comunità energetiche. Quali sono qui i problemi?

“Intanto c’è molto scetticismo rispetto alle proposte che arrivano dal mercato dell’energia, che determinano diffidenza e frenano la possibilità di realizzare un proprio impianto. Se poi l’impianto deve essere condiviso con una Comunità energetica, emerge un atteggiamento individualista che interessa tutti coloro che fuggono dai condomini e da tutte le esperienze collettive fallimentari. Incomprensioni o diffidenze sono tipicamente presenti laddove più persone condividono la proprietà. Si pensi all’alto tasso di conflittualità riscontrabile nei condomini: la controversia condominiale è spesso solo apparentemente di tipo patrimoniale celando anche difficoltà relazionali”.

Come si superano individualismo e diffidenza?

“In questi contesti il ricorso a strumenti alternativi per risolvere le liti sembra quanto mai opportuno: un mediatore che componga e prevenga i conflitti e soprattutto faciliti la comunicazione potrebbe essere una buona garanzia per la durata della comunità energetica nel tempo. È inoltre necessario ripristinare la forte tradizione di uso collettivo delle risorse offerte dalla natura, tipica delle nostre aree, che rappresenta una maggiore garanzia per lo sviluppo delle moderne comunità energetiche la cui durata e buon funzionamento è basata proprio su un senso di appartenenza e condivisione. Questa peculiare connotazione è sicuramente un fattore importante per aggregare cittadini anche in aree urbane, in una logica di miglioramento della qualità della vita in un quartiere, una circoscrizione, una determinata area di una metropoli”.

Inclusione e condivisione, dunque?

“Le CER sono enti non profit i cui utili dovrebbero essere destinati al miglioramento dei servizi sociali, all’incremento della circolarità, alla mitigazione della povertà e, nelle aree interne, alla copertura di quei costi di infrastrutturazione di cui nessuna impresa si farebbe carico, pensiamo ad esempio al digital divide. L’inclusione di quanti abbiano problemi di povertà o siano energeticamente vulnerabili rappresenta una grande sfida, che può diventare una barriera”.

E cosa può fare la Comunità energetica?

“Dovrebbe dedicare a queste persone e ai loro bisogni specifiche attenzioni sia in sede di destinazione degli utili sia in sede di gestione adeguata della sicurezza della continuità della fornitura di energia. Anche per evitare situazioni di conflittualità. Noi suggeriamo di inserire negli Statuti gli obiettivi specifici che ciascuna comunità locale vuole darsi rispetto alle proprie necessità”.

Cosa ci insegnano i fallimenti delle Comunità energetiche?

“Coerentemente con quanto detto sinora la prima criticità nella vita di una CER è la perdita dei prosumer, che porta alla riduzione dei flussi di energia rispetto a quanto si era preventivato. La perdita di motivazione è la principale causa di abbandono, non essendo necessariamente quello economico il motivo principale per la partecipazione attiva”.

Sembra che dovremo ricostruire un sistema di valori. Ma con quali strumenti?

“La regolamentazione che implementerà le Direttive in materia di comunità energetiche dovrebbe dare ampio spazio a strumenti di coinvolgimento, informazione e partecipazione dei cittadini. La forte idealità che connota gli scopi di una comunità energetica costituisce un punto di forza di questo nuovo attore del mercato energetico, ma se non adeguatamente comunicata e valorizzata rischia di rimanere nell’ombra, soppiantata dalla comunicazione di aspetti tecnologici ed economici che da soli non garantiscono quella tenuta nel tempo della comunità”.

Secondo lei la transizione energetica è un costo o un’opportunità?

“La transizione verso stili di vita improntati alla sostenibilità è difficile e richiede sacrifici. Per questo sarà necessaria una comunicazione che sia improntata a trasparenza e veridicità: la transizione energetica costa, la lotta al cambiamento climatico richiede l’adozione a livello individuale e collettivo di nuovi stili di vita. Occorre che questa transizione sia ‘giusta’, vale a dire che avvenga distribuendo i costi in modo equo e sulla base di criteri di proporzionalità, superando alcune criticità in termini di trasparenza e chiarezza tuttora riscontrabili leggendo bollette o bilanci”.

I sacrifici sono necessari?

“Sì, ma possono essere mitigati da appropriate politiche di sostegno e di investimento pubblico o privato, ma possono essere meglio affrontati se si comprende che essi sono determinanti per il benessere di quanti dopo di noi abiteranno i nostri luoghi. Comunicazione e informazione sono quindi la chiave di volta della transizione energetica e del successo di ogni programma di rilancio: in questo senso la tecnologia è il problema minore. Ha rilevanza il fattore umano e il recupero di un progetto collettivo di vita futura”.

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