“Combattere il cambiamento climatico fa bene all’economia”, le idee di Stern e Stiglitz

L'economista britannico Nicholas Stern e il Nobel per l'economia Joseph Stiglitz evidenziano che le politiche verdi riducono i rischi ambientali e i relativi costi, assicurando maggiori benefici economici e sociali sul medio-lungo periodo. I punti più interessanti della loro analisi.

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Non basta il consenso scientifico sulla necessità di limitare il surriscaldamento del Pianeta, riducendo in modo rapido e profondo le emissioni di gas serra, come confermato dall’ultimo rapporto dell’Ipcc.

Non bastano gli eventi “estremi” sempre più intensi e frequenti, come inondazioni, ondate di calore, siccità.

Continuano a circolare teorie economiche secondo cui “prestare troppa attenzione al clima danneggerà la crescita e il benessere a lungo termine”.

È un punto di vista molto comune nella destra politica delle nazioni più ricche e industrializzate, ma anche in diversi Paesi in via di sviluppo, scrivono due economisti del calibro del britannico Nicholas Stern, autore di lavori epocali sulla valutazione economica degli impatti del global warming, e dell’americano Joseph E. Stiglitz, Nobel per l’economia nel 2001.

Ma questa visione dell’economia, sganciata dagli obiettivi climatici, è piena di errori e false argomentazioni, affermano Stern e Stiglitz in un articolo intitolato “Climate change and growth”, pubblicato di recente su Industrial and Corporate Change (link in basso).

Alcuni economisti poi sostengono che agire contro il cambiamento climatico, visto che ciò richiede tagli ad altre spese statali, comporti una riduzione della crescita e minori entrate fiscali future.

In realtà, spiegano Stern e Stiglitz, “affrontare il cambiamento climatico può innescare una crescita più elevata, almeno per un periodo nei prossimi due o tre decenni”.

Il punto, osservano i due economisti, è che bisogna spostare l’attenzione dalla centralità del prodotto interno lordo a una valutazione più globale di cosa sia il benessere per una società.

I rischi climatici, con le loro conseguenze sempre più devastanti e costose (non solo in termini di vite umane, ma anche in termini economici per i danni inflitti a edifici, impianti, infrastrutture, attività agricole e così via), devono entrare nelle analisi economiche.

Se non si agisce per il clima, si legge nel documento, bisognerà spendere sempre più soldi in riparazione dei danni e per l’assistenza sanitaria e sociale alle popolazioni maggiormente colpite dai cambiamenti climatici. E queste maggiori spese “in ogni caso ridurranno il tenore di vita e la crescita economica”.

Spendere – o meglio, investire – denaro oggi per evitare domani queste spese inutili (pari all’1,5-2% del Pil americano negli ultimi anni), consentirà di avere maggiori risorse future per investimenti produttivi.

In altre parole: più una società riesce a mitigare i cambiamenti climatici nel lungo periodo, investendo già oggi in questa direzione, più questa società può rafforzare la sua economia.

D’altronde, ricordano gli autori, si stanno già verificando gravi danni con un aumento della temperatura di 1,1 °C mentre, secondo i piani attuali dei governi, il mondo potrebbe essere diretto verso un incremento di 2,5-3 °C nei prossimi 100 anni.

Gli economisti, proseguono Stern e Stiglitz, “pensano al mondo attraverso la lente dei compromessi” e quando “iniziarono a pensare alla disuguaglianza, in primo luogo sostennero che essa poteva essere ridotta solo rinunciando alla crescita”.

Nel documento si cita Arthur Okun, consigliere del presidente americano Lyndon Johnson nella seconda metà degli anni ’60, che parlava appunto di “grande compromesso” a proposito di crescita e disuguaglianza sociale.

Poi, quasi mezzo secolo dopo, con l’aumentare della comprensione dei fallimenti del mercato, “divenne chiaro che la crescita e l’uguaglianza potevano essere complementari: società più eque potevano crescere più velocemente (Stiglitz, 2012)”.

Allo stesso modo, nei decenni passati, si è affrontato il problema del cambiamento climatico parlando di un necessario compromesso tra ambiente e crescita. In pratica: si può avere un ambiente più pulito solo sacrificando lo sviluppo economico.

Ma anche questo per i due economisti è un ragionamento inesatto.

“La risposta ottimale al cambiamento climatico comporta azioni per il clima più forti”, sostengono quindi Stern e Stiglitz.

Ad esempio, regolamenti per limitare le emissioni di CO2 e prezzi del carbonio possono favorire la crescita, perché riducono le esternalità negative causate alla società dalle emissioni (inquinamento atmosferico, surriscaldamento planetario con crescenti concentrazioni di anidride carbonica).

Un’azione per il clima più forte, inoltre, riduce le spese improduttive necessarie per sostituire e riparare gli asset colpiti dagli eventi climatici; riduce anche le spese “difensive” necessarie per proteggersi dagli eventi distruttivi, “lasciando più spazio e una maggiore domanda per investimenti più produttivi che stimolano la crescita”.

Più in generale, sono gli stessi investimenti della green economy, tramite le innovazioni tecnologiche e le economie di scala, a favorire la crescita economica complessiva.

Un altro punto di fondamentale importanza, sottolinea l’articolo, è che il cambiamento climatico “ci costringe a pensare a più lungo termine”.

Come sappiamo, uno degli ostacoli a una crescita forte e duratura è proprio “la miopia degli operatori di mercato” che si focalizzano invece sul guadagno a breve-medio termine.

Tra gli altri benefici “allargati” delle scelte economiche pro-clima, si segnalano: un utilizzo più completo ed efficiente delle risorse (economia circolare e riduzione degli sprechi); una salute migliore delle persone e una loro maggiore produttività sul lavoro con minori spese sanitarie; una maggiore tutela della biodiversità, fondamentale per la vita stessa sul Pianeta.

La green economy, concludono Stern e Stiglitz, “può essere un’economia in cui gli standard di vita, opportunamente misurati attraverso molteplici dimensioni del benessere, possono aumentare rapidamente”.

Ma un simile cambiamento non avverrà da solo. Richiederà politiche pubbliche forti e di ampia portata, in tutti i settori economici, soprattutto quelle orientate a favorire le energie rinnovabili e disincentivare l’utilizzo delle fonti fossili.

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