Il Pnrr non affronta adeguatamente gli obiettivi europei in materia di clima ed energia. Infatti, considerando le proposte di investimenti in nuove azioni in campo climatico (inclusa l’energia), non raggiunge la quota prescritta del 37% del totale dei fondi.
La critica al Piano nazionale di ripresa e resilienza (che per altro dovrebbe essere in revisione) arriva da Energia per l’Italia, un gruppo di docenti e ricercatori di università e centri di ricerca energetici italiani (tra i quali Nicola Armaroli del Cnr, che abbiamo intevistato la settimana scorsa).
Nel Piano – su cui il gruppo ha preparato un documento di analisi (link in basso) – manca una exit strategy dai combustibili fossili al 2050, si spiega.
L’aumento di energia rinnovabile proposto nel Pnrr (4,5-5 GW) poi, per gli esperti “è assolutamente insufficiente”.
La nuova potenza installata, per Energia per l’Italia, deve essere aumentata di un fattore 5x al 2026 (20-25 GW) e 10x al 2030 (40-50 GW). Con un capacity factor medio del 20% (FV + eolico) 50 GW – si spiega – corrispondono infatti a circa 90 TWh, cioè un quarto della domanda elettrica attuale.
Anche per raggiungere l’obiettivo europeo di -55% emissioni di CO2 al 2030 rispetto al 1990 “è necessario nei prossimi 10 anni uno sforzo molte volte superiore rispetto a quello degli ultimi 30 anni, dato che dovremo ridurre le emissioni di almeno 160 milioni di tonnellate di CO2 eq rispetto alle attuali 390 nette”.
Per questo – si sottolinea – è necessario da una parte semplificare ed accelerare molto le procedure di autorizzazione di impianti eolici in mare e in terra e di impianti FV a terra, su aree dismesse o da bonificare, dall’altra sostenere l’autoproduzione di fotovoltaico sui tetti con bonus di almeno il 65% in fattura.
“Inutili o dannose” invece, per gli esperti del gruppo, le proposte Pnrr di riportare in Italia la produzione di moduli FV, saldamente in mano alla Cina, come anche quelle di sostenere il carico di base della rete elettrica con il gas, quando invece la tendenza nel resto dell’occidente è di sfruttare al massimo i pompaggi idrici (oggi largamente inutilizzati) e puntare con decisione all’accumulo in grandi batterie, potenziando la filiera elettrochimica (meccatronica di precisione) in cui l’Italia vanta punte di eccellenza.
Vanno poi abbattuti – si auspica – i costi di realizzazione dei punti di ricarica diffusa dei mezzi elettrici nonché le relative tariffe, mentre l’idrogeno va riservato in via esclusiva a settori specifici come il volo la navigazione e la siderurgia, “dato che ogni altra applicazione delineata nel Pnrr rasenta la follia energetica: usare 100 W per produrne 10”, si osserva.
Anche il tema cruciale dell’adattamento ai cambiamenti climatici – prosegue la nota di Energia Italia – è trattato in modo insufficiente nel Piano, mancando fondi adeguati per le aree urbane, una governance multilivello del tema resilienza che sia partecipata e integrata nell’esistente (es. settore risorse idriche), nonché uno schema di monitoraggio e valutazione delle misure attuate.
Sul tema dell’economia circolare Energia per l’Italia denuncia i “fondi scarsi” previsti per gli impianti necessari a rendere autosufficiente ogni regione e provincia italiana per il recupero e riciclo di materie prime seconde. Anche qui le procedure di autorizzazione risultano troppo complesse e lente.
“Essenziale” – si sottolinea – puntare su istruzione e ricerca, sia per infondere un’adeguata cultura della transizione energetica nella popolazione a partire dai giovani, sia per colmare il grande divario che ci separa dagli altri paesi europei (l’Italia investe in ricerca solo 150 Euro annui per ogni cittadino, contro i 250 e i 400 di Francia e Germania, e ha solo 75.000 ricercatori contro i 110.000 della Francia e 160.000 della Germania).
Il gruppo disapprova poi fermamente l’approccio CCS (Cattura del Carbonio e Stoccaggio) sostenuto nel Pnrr, elencando ben 12 ragioni di critica dello stesso tra le quali spicca l’indimostrata applicabilità del metodo alla scala necessaria e la sua efficacia reale, con il rischio di gravi ripercussioni sul territorio.
Per gli stessi motivi si boccia sia l’idea di sfruttare il CCS per produrre dal metano il cosiddetto idrogeno blu, sia l’idea ministeriale di considerare imminente l’arrivo di energia illimitata da fusione nucleare, che contrasta con la storia ormai cinquantennale del settore.
“I fondi attualmente erogati alle fonti fossili – si auspica – vanno invece dirottati su tecnologie perfettamente consolidate come le rinnovabili – sole vento e acqua – che in pochi mesi dal progetto, se autorizzate, possono produrre l’energia elettrica pulita indispensabile per raggiungere gli obiettivi europei e globali al 2030 e la neutralità climatica al 2050.”
Il documento (pdf qui):