Cinquanta anni fa documentavano i limiti alla crescita… e avevano ragione

Le previsioni del Club di Roma del 1972 si stanno verificando. Abbiamo perso decenni in una drammatica inazione e oggi il tempo per le soluzioni è ridotto.

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Cinquanta anni fa, il 2 marzo 1972: Aurelio Peccei, presidente del Club di Roma, presenta con gli esperti del System DynamicGroup del MIT, il primo rapporto del Club, dal titolo “I limiti alla crescita” che documentava l’impossibilità di continuare con una crescita quantitativa illimitata

Presentò il primo modello computerizzato di fattori fondamentali per il futuro: popolazione, risorse naturali, inquinamento, alimentie prodotto industriale, proiettati al 2100.

Il rapporto è stato oggetto di un’enorme quantità di critiche, ma, come ci hanno dimostrato i risultati del nostro modello di crescita economica gli autori del rapporto hanno avuto ragione.

Nel 2020 in uno dei successivi rapporti del Club, uno degli autori dei “Limiti”, Jorgen Randers con Graeme Maxton, economista scriveva: «Non è difficile capire quale sia il dilemma che l’umanità deve affrontare. La società può lasciare che il sistema economico attuale imponga le sue conseguenze, prevedibili e spiacevoli,o può scegliere un percorso alternativo. La decisione sarà la battaglia epica sociale, ambientale e politica del XXI secolo e la posta in gioco è: la sopravvivenza della civiltà moderna».

Oggi siamo consapevoli che abbiamo perso decenni in una drammatica inazione e non è più possibile evitare una decisa modifica dell’attuale modello di sviluppo. Si tratta dell’unico modo per gestire l’inevitabile ed evitare l’ingestibile. Non è più possibile attendere oltre più che mai in un momento come questo, funestato da devastanti eventi bellici.

Il messaggio della sostenibilità è chiaro: non è possibile che gli 8 miliardi di esseri umani oggi presenti sul Pianeta e i 9,7 previsti dalle Nazioni Unite nel 2050, possano vivere con un livello di consumo e di impatto come delle moderne società di consumatori, o, addirittura con consumi e impatti superiori agli attuali.

È inevitabile che chi consuma in maniera sovradimensionata dovrà rientrare in “spazi ambientali” ed “impronte ecologiche” capaci di mantenere le opzioni evolutive, la salute e la vitalità dei sistemi naturali.

Devono essere perseguiti modelli di sviluppo capaci di farci vivere entro uno Spazio Sicuro e Operativo (SOS) nell’ambito del quale possiamo muoverci senza oltrepassare dei confini ambientali. La migliore efficienza tecnologica possibile non potrà soddisfare il continuo e progressivo incremento d’impatti e consumi.

Su questi fronti della sostenibilità possibile, sta lavorando la Earth Commission voluta dal più grande programma internazionale di ricerca e innovazione per la global sustainability, Future Earth il cui obiettivo è quello di definire un corretto ed equo spazio di azione per il futuro.

Gli studiosi della global sustainability hanno individuato sin dal 2009, nove “confini planetari” che l’umanità non deve sorpassare. Gli studiosi hanno documentato che quattro di questi confini sono già stati sorpassati (cambiamento climatico, perdita di biodiversità, cambio di uso del suolo e modifica dei grandi cicli biogeochimici) ed è stato pubblicato di recente uno studio che ha documentato un quinto confine planetario sorpassato, quello delle cosidette “novel entities” le sostanze chimiche da noi prodotte non metabolizzabili dai sistemi naturali.

Dal 1950 ha avuto luogo un incremento di 50 volte nella produzione di sostanze chimiche che triplicheranno entro il 2050. Abbiamo 350mila tipi diversi di prodotti chimici e la produzione di plastica è aumentata del 79% tra il 2000 e il 2015. Tutte sostanze create dalle attività umane che producono effetti negativi sul sistema Terra: molti sconosciuti.

L’articolo è stato pubblicato sul n.1/2022 della rivista bimestrale QualEnergia con il titolo “Limiti reali”

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