È una delle cose più frustranti che può accadere a chi ha un impianto fotovoltaico domestico: va via l’elettricità dalla rete e anche se il sole splende e i pannelli stanno producendo più di quanto servirebbe, ugualmente tutto si spegne.
Avere una fonte autonoma di energia elettrica, non ti mette insomma al riparo dai guai della rete. Se questa cade, i pannelli solari diventano solo un’inutile decorazione blu sul tetto.
La ragione di questo fastidioso limite è semplice: se l’impianto continuasse a funzionare anche durante i blackout, immetterebbe corrente nella rete e chi ci dovesse lavorare per riparare il guasto, rischierebbe di restare fulminato.
Ma c’è un modo per continuare a usare il proprio impianto, anche quando la rete si interrompe: sul mercato tutti i produttori di inverter e sistemi di accumulo, propongono modelli che consentono di aggiungere alla funzione di storage, quella di backup, cioè l’alimentazione dell’impianto di abitazione tramite l’energia immagazzinata nelle batterie.
«Attenzione, però, a non confondere backup, o meglio EPS, Emergency power system, con i gruppi di continuità, o UPS, Uninterruptible power supply: sono diversi tecnicamente e come normativa di riferimento», avverte Averaldo Farri, direttore innovazione della Zucchetti Centro Sistemi, che produce la linea di inverter con accumuli Azzurro, tutti dotati di serie di EPS (vedi chiarimento su QualEnergia.it)
«Nell’UPS la rete tiene in carica una batteria, alla quale vengono direttamente connessi apparecchi che non possono interrompere la loro funzione, come i computer delle banche o le luci in una sala operatoria. In altre parole l’UPS non può immettere energia nella rete, ma fornirla solo a singoli dispositivi. L’EPS è invece più complesso: la batteria è in connessione sia con l’impianto FV che con la rete di casa, e quindi anche con quella esterna. Nell’EPS la batteria viene caricata dall’impianto solare, e, in caso di blackout, un dispositivo, chiamato “contattore”, stacca questa dalla linea elettrica esterna. Solo dopo di ciò la batteria provvede ad alimentare i consumi domestici».
Finché dura l’emergenza, insomma, la casa diventa un’isola rispetto alla rete esterna, e viene alimentata solo dall’accumulatore e dall’impianto solare, in sinergia. Solo al ritorno dell’elettricità, il contattore riconnette la casa alla rete esterna.
«Questo tipo di impianti può essere realizzato combinando vari tipi di batterie e di inverter, che siano però predisposti per il backup», spiega l’ingegner Giuseppe Ciammetti, titolare della Icaro Srl in provincia di Pescara, che vende impianti solari con e senza accumulo nel centro-sud.
«Il costo di un inverter per impianto domestico si aggira sui 1.000 euro, ma se ha anche la funzione di backup il suo prezzo cresce di circa 600 euro».
Il tipo di sistema di accumulo/backup, però, cambia a secondo se si voglia aggiungere a un nuovo impianto FV oppure ad a uno già esistente.
«Se l’impianto è nuovo e non incentivato, l’accumulo può essere collegato direttamente all’impianto solare, mentre un unico inverter, con il suo software, gestisce le varie situazioni, back up compreso: è una soluzione semplice, economica e diretta. Se però l’impianto è incentivato, questa soluzione non è ammessa dal GSE. In questo caso si deve installare in casa un secondo inverter, collegato alle batterie, al FV e alla rete stessa, subito a valle del contatore: con una opportuna programmazione, questo impianto adempie sia alla funzione di immagazzinare la produzione solare per usarla di sera, che di intervenire in caso di blackout, alimentando la casa dopo averla disconnessa dalla rete», ci spiega Farri.
In entrambi i casi le pratiche sono poche e svolte dall’installatore: si tratta di avvertire il GSE e l’Enel dell’esistenza del nuovo sistema di accumulo con EPS connesso alla rete e certificare la sua realizzazione a regola d’arte.
«Alcune volte Enel provvederà poi a fare un controllo sul posto, altre volte si accontenterà dell’autocertificazione», aggiunge Farri.
Avere un sistema di back up evita di restare al buio, non poter utilizzare i sistemi di riscaldamento (sia pompe di calore che stufe o caldaie a biomassa) e di tenere l’impianto FV inutilizzato, ma non è come essere connessi alla rete e l’energia che fornisce va usata cum grano salis…
«La durata del backup, naturalmente dipenderà dalla capacità della batteria, e dai carichi che si vuole continuare ad alimentare durante il blackout», dice Ciammett.
«Noi in genere installiamo impianti con 10-13 kWh di capienza e da 2 a 5 kW di potenza. Si capisce che se si vuole sempre usare la massima potenza, la carica non potrà che durare poche ore. Ma visto che il sistema avverte, con segnali acustici e luminosi, che è in corso un blackout, si immagina che l’utente si comporti con ragionevolezza durante l’interruzione di rete, e consumi solo l’indispensabile: così facendo una carica di batteria può durare mezza giornata o anche più, se il sole dà una mano a ripristinarla».
E quanto costa avere un impianto di backup?
«La nostra linea prevede inverter con Eps incluso, con potenze fino a 30 kW, a cui aggiungere moduli di batterie da 2,4 e 5 kWh, così da personalizzare l’impianto: un sistema medio domestico, da 3kW/5kWh, si aggira sui 5.500 euro, tutto compreso» dice Farri.
«Noi vendiamo un impianto di accumulo/backup da 10 kWh a 10-12.000 euro» precisa invece Ciammetti.
Forse si potrebbero però ridurre i costi, usando batterie diverse da quelle al litio.
«Ogni batteria va bene, a patto che l’inverter sia programmato per il tipo usato. Oggi il campo di gioco è diviso quasi solo fra litio e piombo-gel, ma il primo ha molti vantaggi, come il minore ingombro, la maggiore profondità di scarica e vita utile, e visto che il prezzo delle batterie al litio è in veloce discesa, direi che la partita si è quasi risolta a loro favore», argomenta Ciammetti.
Il punto, allora, è se veramente serva installare degli accumuli, connessi all’impianto solare, solo per evitare i blackout.
«Noi abbiamo inserito la funzione Eps in tutti i nostri inverter, perché tanto comporta un’aggiunta di componenti e costo minima», dice Farri.
«Ma se devo dire la verità, dei 3.800 sistemi che abbiamo venduto nel 2018 in tutta Europa, credo che veramente in pochi casi la motivazione di acquisto sia stata quella di superare i blackout. In effetti in Italia e nei paesi europei più avanzati, le interruzioni di rete sono relativamente rare, risolte rapidamente e spesso arrivano anche dopo un preavviso. Le persone comprano gli accumuli, quasi sempre perché vogliono spostare alla sera la produzione solare, e così facendo in certi casi si può riprendere la spesa anche solo in 6-7 anni. Se uno vuole solo evitare i blackout, forse è meglio che usi un sistema Ups».
Conferma Ciammetti: «Abbiamo venduto un certo numero di sistemi di accumulo con backup dopo le nevicate eccezionale del gennaio 2017, che hanno lasciato migliaia di persone senza corrente, anche per molti giorni, ma dopo di allora le vendite sono state rare. In effetti si calcola che l’utente medio della rete italiana resti senza corrente per soli 45 minuti l’anno, non proprio un disagio insopportabile. E c’è anche un’altra cosa da considerare: le interruzioni più gravi, avvengono in genere per eventi meteo in stagioni con poco sole, e in quei casi sperare che l’impianto solare con batterie riesca a farci restare autonomi a lungo è spesso illusorio».
E c’è anche da considerare che, come avevamo riportato su QualEnergia.it, programmare di mantenere la batteria sempre carica, per far fronte ai blackout, riduce flessibilità e convenienza dell’accumulo. L’uso degli accumuli come back up, quindi, si configura come un acquisto “emozionale”, dettato più dall’ansia che dalla ragionevolezza.
E non solo dall’ansia, in realtà: fare invidia ai vicini, tenendo le luci accese mentre loro sono al buio. Come diceva quella pubblicità, non ha prezzo…