Biogas e biometano in Italia: potenzialità, resistenze sociali e processi partecipativi

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L’opposizione della popolazione agli impianti di biogas e biometano è la barriera che maggiormente rallenta queste realizzazioni. Un progetto ha messo a punto un modello di processo partecipativo per superare dubbi e diffidenze.

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La possibilità di utilizzare sottoprodotti agricoli, scarti di origine vegetale, rifiuti organici o gli effluenti zootecnici, che altrimenti finirebbero in discarica o sarebbero comunque gestiti come rifiuti, è un vantaggio in termini ambientali ed economici.

Valorizzare un sottoprodotto nell’ottica dell’economia circolare significa sottrarlo alla discarica evitando, al pubblico o al privato, di sostenere i costi di gestione del rifiuto che, invece, gli impianti di biogas/biometano trasformano in risorsa, concime e anche bioenergia, biocombustibile e biocarburante, contribuendo all’abbattimento delle emissioni.

È l’accettazione della popolazione la barriera non tecnologica più difficile da superare in Italia. Ma non è l’unica.

Oltre alla sindrome di NIMBY (Not in My Back Yard) a rallentare la diffusione di questi impianti nel nostro paese, c’è anche una politica che incentiva ancora poco la produzione e l’immissione in rete di biogas e biometano, oltre a una legislazione nazionale non sempre chiara (vedi anche “Quando l’impianto a biogas non lo voglio nel mio giardino“).

Il progetto ISAAC del CNR, che tra i partner vede anche il CIB, Legambiente e Chimica verde, ha messo a punto un modello di processo partecipativo per superare i dubbi e le diffidenze su queste tipologie di impianti, informando i cittadini e gli enti coinvolti attraverso incontri di formazione e momenti di condivisione in cui le parti si possono confrontare avanzando proposte per migliorare i progetti nel tentativo di prevenire o ridurre i conflitti.

Potenzialità e barriere non tecnologiche. I dati diffusi dal CIB

Secondo i dati diffusi dal CIB, il Consorzio Italiano Biogas e Gassificazione – che nel 2012 pubblicava il Manifesto del “biogas fatto bene” – “sono più di 1555 gli impianti installati in Italia con una potenza totale di 1.345 MWel (potenza elettrica media installata 1160 MWel). Ma le barriere non tecnologiche, che ne impediscono una maggiore diffusione, rappresentano ancora una pesante criticità”.

Resistenze che – stando al rapporto pubblicato dal progetto ISAAC – non si riscontrerebbero negli altri Stati europei in cui “gli impianti vengono visti con favore dalle popolazioni locali, considerando il basso impatto ambientale e il ritorno economico per il territorio di riferimento”.

Non è un caso se i partner del progetto sono tutti italiani: AzzeroCO2, Legambiente, CNR, Chimica Verde Bionet e il CIB.

L’Italia è il secondo paese in Europa, dopo la Germania, per la produzione di biogas “ma ha un potenziale inespresso – con una capacità teorica massima di 8 miliardi di m3/anno – soprattutto nelle regioni del centro-sud”, si legge nel comunicato del CNR.

Il progetto, oltre alle due regioni pilota, Sardegna e Puglia, ha coinvolto anche Marche, Lazio, Campania, Calabria e Sicilia. Territori in cui spesso la gestione dei rifiuti è problematica proprio perché mancano gli impianti di trattamento della frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU); può succedere che il rifiuto umido raccolto separatamente venga poi trasportato in altre regioni oppure vada a finire in discarica con spreco di risorse economiche e ambientali. Per questo motivo potrebbe essere utilizzato proprio per la produzione di biogas.

In genere si nota che si ha un numero minore di contestazioni dove ci sono già impianti di biogas.

In questo grafico (fonte: CIB) la percentuale di impianti contestati distinta per biomassa usata negli impianti di digestione anaerobica.

In quest’altro grafico (fonte: CIB) si evidenzia la percentuale di impianti contestati rispetto al totale per area geografica.

Cosa preoccupa i cittadini italiani?

I miasmi provenienti dagli impianti o dal concime mal gestito, i danni alla salute e il traffico pesante che aumenta nelle zone in cui sono presenti gli impianti in questione sono tra i fattori che preoccupano di più la popolazione locale.

Problematiche che possono dipendere sia da comportamenti scorretti o illegali della società che costruisce e gestisce gli impianti sia da una programmazione non sempre adeguata e che non tiene conto delle esigenze di chi vive nei territori.

Il mancato coinvolgimento dei cittadini è di per sé una scelta che spesso condiziona negativamente l’evoluzione di un progetto. Dal punto di vista dell’impresa strutturare percorsi di partecipazione validi richiede tempo e costi che gli imprenditori non sempre sono disposti ad affrontare.

Ma confrontarsi con chi vive il territorio, in un clima di fiducia e trasparenza, sull’opportunità di un progetto nascente può evitare conflitti che spesso si protraggono negli anni bloccando le iniziative imprenditoriali e impedendo la ricerca di soluzioni diverse e più sostenibili ai problemi dei territori.

Non a caso nel Codice degli Appalti del 2016 è stato introdotto l’istituto del “dibattito pubblico” – obbligatorio per alcune tipologie di grandi opere e impianti- regolamentato con DPCM n. 76/2018, entrato in vigore il 24 agosto.

L’utilità dei percorsi partecipativi per l’accettabilità degli impianti biogas/biometano: il Progetto ISAAC

Abbattere le barriere non tecnologiche legate alla diffusione del biogas e biometano in Italia è l’obiettivo del progetto ISAAC (Increasing Social Awareness and Acceptance of biogas and biomethane) del CNR, finanziato dal programma europeo Horizon 2020.

In trenta mesi grazie al progetto ISAAC – che si è chiuso a giugno – sono state realizzate iniziative e attività che hanno coinvolto cittadini, amministratori locali, agricoltori e studenti, per lo sviluppo dei processi di partecipazione nei territori interessati dalla realizzazione di impianti di biogas e biometano, in particolare Sardegna e Puglia, due delle sette regioni coinvolte nel progetto.

Ipotizzando un contesto di dissenso, il progetto ISAAC ha messo a punto un processo partecipativo con una serie di proposte che vanno dalle campagne informative al calcolo per la valutazione della disponibilità di biomassa in una data zona, dalla conoscenza e utilizzo di forme di finanziamento dei progetti, l’organizzazione di tavoli tecnici per promuovere proposte legislative e una corretta interpretazione della legislazione nazionale esistente sui rifiuti e sui sottoprodotti da utilizzare.

Dal 2016, data di avvio del progetto, sono stati organizzati eventi, visite agli impianti già realizzati, riunioni, conferenze, ed è stato creato anche un sito internet e una pagina facebook per comunicare gli aggiornamenti e le attività programmate.

Particolare attenzione è stata riconosciuta allo strumento di calcolo WP4 e alla sua capacità di favorire l’aggregazione tra i soggetti che per ragioni lavorative hanno un forte legame con il territorio e di solito sono più restii, come gli agricoltori, gli allevatori e altre parti coinvolte.

Il percorso partecipativo individua un Organismo di Garanzia e degli esperti indipendenti che guideranno i lavori senza percepire compensi.

Fondamentale è stata la collaborazione della pubblica amministrazione. ISACC ha organizzato corsi di formazione per i tecnici degli enti locali (gli stessi poi chiamati a valutare i progetti per il rilascio delle autorizzazioni), ma soprattutto ha fatto sì che cittadini e amministratori dialogassero durante gli incontri pubblici appositamente pensati per elaborare osservazioni e proposte.

Il caso di Andria

Proprio come hanno fatto i cittadini di Andria che alla fine del percorso partecipativo durato nove mesi, dopo aver approfondito il tema biogas/biometano, visitando anche un impianto, hanno elaborato alcune raccomandazioni.

Gli andriesi si sono preoccupati della congruità del costo dell’investimento per realizzare l’impianto e hanno chiesto anche una procedura autorizzativa che “garantisca il massimo dell’approfondimento sull’impatto che tale impianto potrebbe generare sul territorio”.

Pongono anche l’accento su questioni più pratiche come l’adeguamento della TARI (la tariffa per la gestione dei rifiuti) dal momento in cui inizia il conferimento all’impianto (“in modo che i cittadini vedano un beneficio immediato derivante dal cambiamento in atto”) e il riutilizzo gratuito del biometano prodotto come carburante per alimentare i mezzi comunali.

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