Automotive, senza transizione all’elettrico una produzione dimezzata al 2030

In Italia il costo dell'inazione potrebbe ammontare a circa 7,5 miliardi, con dure conseguenze occupazionali. Uno studio di ECCO e T&E.

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In assenza di un piano che combini politiche industriali e di misure di stimolo economico per il settore automotive italiano, mirate alla transizione alla mobilità elettrica, il valore della produzione dell’intero comparto al 2030 potrebbe registrare un calo del 56-58% rispetto al 2020, per un valore stimato fino a 7,49 miliardi di dollari, con seri impatti occupazionali.

Il dato emerge da uno studio commissionato dal think tank ECCO e da Transport and Environment (T&E) a un gruppo di economisti della Scuola Superiore S. Anna di Pisa e del Centro Ricerche Enrico Fermi di Roma.

Lo studio “The Automotive Industry and the Transition to Electric Mobility in Italy” (link in basso) esplora le possibili conseguenze economiche, industriali e sociali del declino della produzione nazionale di auto, stimando il “costo dell’inazione”.

Ipotizzando di proiettare a fine decennio il calo della produzione già osservato, in uno scenario “business as usual” in cui non vengono implementati nuovi strumenti di stimolo della domanda di auto elettriche e di supporto alle imprese, lo studio delinea tre scenari: Low, Medium e High Intervention, in ordine decrescente per capacità di riassorbire i lavoratori in esubero del settore in altri comparti.

A seconda dello scenario, quindi, il costo dell’inazione risulta compreso tra 7,24 e 7,49 miliardi di dollari di riduzione del valore della produzione e tra 66mila e 94mila posti di lavoro persi rispetto al 2020.

Nello scenario più prudenziale (Low intervention), l’analisi registra:

  • una perdita di valore della produzione di 7,24 miliardi $;
  • oltre 66mila posti di lavoro in meno, il 37% diretti e il 63% nel resto della filiera;
  • un aggravio di costo per le finanze pubbliche di 510 milioni $ per l’attivazione della cassa integrazione.

Nello scenario peggiore (High intervention):

  • il calo della produzione e del consumo di auto risulta pari al 58% rispetto ai valori del 2020, con una perdita in valore pari a 7,49 miliardi $;
  • le perdite di posti di lavoro salgono a 30 mila impiegati diretti (-77,6% rispetto al 2020) e oltre 64 mila indiretti;
  • il costo della cassa integrazione sale nel corso del decennio a 2 miliardi $, quattro volte superiore allo scenario prudenziale.

Produzione: il calo italiano

L’industria automotive italiana sta affrontando la transizione alla mobilità elettrica in un quadro di calo prolungato della produzione di veicoli (310mila unità nel 2024, -85% rispetto al picco di 2 milioni di veicoli prodotti nel 1989), con ripercussioni significative sulle industrie collegate.

Inoltre, la lenta penetrazione di veicoli elettrici nel mercato nazionale impatta sulla produzione. Nel 2024, complice l’assenza dell’offerta di modelli economici nei segmenti A e B (storicamente identificati con il termine “utilitarie”), le vendite di auto elettriche a batteria in Italia erano ferme al 4% delle nuove immatricolazioni, ben lontane dai valori a due cifre degli altri principali mercati europei.

Nel 2023, la produzione di veicoli elettrici è stata di appena 78mila unità (il 14% del totale), valore che, in un contesto di pesante contrazione generale della produzione del settore, si è quasi dimezzato nel 2024 (45mila unità prodotte, su un totale di circa 310mila autovetture).

Il tutto va poi calato nel contesto attuale, con i dazi americani che scuotono alla base il commercio globale e di conseguenza anche i processi produttivi. Secondo stime di Unimpresa l’aliquota al 25% sulle auto voluta dal presidente Trump potrebbero avere un impatto significativo sui fatturati delle imprese italiane, tra 1,4 e 3 miliardi di euro, con danni soprattutto per i subfornitori.

Come conseguenza, le nuove tariffe doganali potrebbero causare una riduzione di 9.700-15.500 posti di lavoro nelle PMI e negli stabilimenti legati all’export del settore auto.

Come invertire la rotta

Lo studio indica alcune misure per sviluppare un piano stabile di transizione all’elettrico. Tra queste, un programma di social leasing per i veicoli elettrici rivolto a cittadini in povertà da mobilità.

Si tratta di una forma di noleggio a lungo termine rivolta a persone o famiglie con redditi bassi, che consenta di pagare un canone mensile agevolato con il supporto di incentivi pubblici.

Potrebbe essere introdotto in maniera sperimentale tra le misure del Piano Sociale per il Clima e finanziato con una quota dei proventi delle aste ETS 2.

Sarebbero necessarie anche nuove risorse per stimolare la domanda di veicoli elettrici, con incentivi all’acquisto rivolti a un mercato più ampio, da ricavare con interventi di riforma strutturali nell’ambito dei sussidi ambientalmente dannosi. In Italia l’Ecobonus consente sì la vendita a prezzi agevolati delle auto elettriche, ma non in maniera organica nel corso dell’anno: i fondi vengono letteralmente “polverizzati” in pochissimo tempo, come accaduto per il 2024.

Per quanto riguarda le flotte aziendali, che in Italia rappresentano oltre il 40% delle nuove immatricolazioni di veicoli ogni anno, andrebbe ridotto progressivamente lo sconto fiscale per auto non elettriche fino ad eliminarlo del tutto.

A questo bisognerebbe affiancare punteggi premiali che prendano in considerazione l’impronta di carbonio, l’efficienza energetica e il contenuto locale di produzione dei veicoli elettrici incentivati, ad esempio mutuando l’esperienza francese dell’Ecoscore, un sistema che valuta quanto è “ecologica” un’auto, assegnandole un punteggio da 0 a 100 basandosi sulle sue emissioni dirette di CO2 e sul suo impatto sull’ambiente durante tutto il ciclo di vita.

Le auto con Ecoscore alto (le più ecologiche), possono accedere a bonus o agevolazioni, come sconti sull’acquisto,  esenzioni da tasse o tariffe di leasing ridotte.

Il tutto senza dimenticarsi di garantire le condizioni di base affinché possa avvenire questa transizione, intervenendo da un lato per potenziare l’infrastruttura di ricarica pubblica e dall’altro per abbassare il costo delle ricariche, che in Italia sono tra i più alti in Europa per gli operatori, attraverso una riforma della fiscalità dell’energia che riduca il peso degli oneri fiscali e parafiscali.

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