L’8 febbraio 2022, è stata approvata dalla Camera dei Deputati, in via definitiva, la proposta di legge costituzionale di modifica/integrazione degli articoli 9 e 41 della Costituzione, con cui finalmente è stato valorizzato l’ambiente quale bene costituzionalmente tutelato.
Tale riforma, difatti, inserisce a pieno titolo “la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi” tra i principi fondamentali, attraverso la formulazione di un nuovo comma dell’art. 9 Cost, finalizzando l’attenzione a detti valori “anche nell’interesse delle future generazioni”.
All’interno dell’art. 41 Cost., invece, si assiste all’introduzione di determinati incisi volti a garantire che l’iniziativa economica non venga svolta “in modo da recare danno alla salute e all’ambiente” e che l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata, oltre che a fini sociali, a quelli ambientali.
In ragione di dette novità introdotte dal legislatore lo sviluppo di impianti Fer ne trarrà vantaggio.
L’implementazione degli stessi ben si armonizza con il sentimento propulsore di tale riforma: salvaguardare l’ambiente che ci circonda, così da garantire anche alle generazioni avvenire una migliore qualità della vita.
L’assenza, fino a questo momento, di un esplicito riferimento all’ambiente, se non nell’articolo 117 Cost., che lo indica tra le materie di competenza esclusiva statale, ha dato luogo a non pochi conflitti combattuti, in maniera preminente dalle Regioni, sul terreno della green economy.
Molte Soprintendenze, invocando una propria competenza in materia, e una supremazia del valore del paesaggio, nella sua concezione estetica e culturale, assumevano una posizione ostile nei confronti dell’istallazione di impianti Fer, dichiarando che tali impianti andassero a compromettere e deturpare i beni culturali e paesaggistici.
A inficiare tale diffuso orientamento sono intervenute, a più riprese, diverse pronunce giurisprudenziali che possono essere considerate quali apripista a tale riforma.
In particolar modo, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 177 del 2021, ha sanzionato l’operato delle Regioni, sottolineando che (neretti nostri): “nella disciplina relativa all’autorizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, le Regioni non possono imporre in via legislativa vincoli generali non previsti dalla disciplina statale. Una normativa regionale, che non rispetti la riserva di procedimento amministrativo e, dunque, non consenta di operare un bilanciamento in concreto degli interessi, strettamente aderente alla specificità dei luoghi, impedisce la migliore valorizzazione di tutti gli interessi pubblici implicati e, di riflesso, viola il principio, conforme alla normativa dell’Unione europea, della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili.”
Stato e Regioni, difatti, vengono a trovarsi di fronte a due tipi di interessi pubblici diversi, nessuno di essi però deve essere considerato sovraordinato all’altro in quanto entrambi ritenuti “costituzionalmente rilevanti” e, ad oggi, anche costituzionalmente tutelati.
All’alba della nuova riforma, l’ostruzionismo attuato dalle Regioni, che negano il rilascio dei necessari titoli autorizzativi per la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili in forza della anacronistica supremazia riconosciuta al paesaggio e alla sua tutela, non trova, neppure formalmente, la sua ragion d’essere, aggirando così l’ostacolo che impedisce il compimento della “transizione ecologica”.
L’Unione europea, inoltre, sta agendo da anni in prima linea nella lotta contro il climate change andando a sancire formalmente obiettivi attinenti alla neutralità climatica al 2050 e alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 55% al 2030. Al fine di raggiungere tali ambiziosi target gli Stati membri, ponendosi in una situazione di favor, hanno presentato un Piano nazionale di ripresa e resilienza in cui si prospettano riforme e investimenti a sostegno della transazione verde.
In questa direzione si pone, inoltre, la direttiva 2018/2001/UE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (RED II), la quale fissa al 2030 una quota obiettivo dell’UE di energia da FER sul consumo finale lordo almeno pari al 32%, recepita dall’Italia con il D. Lgs. 8 novembre 2021, n.199.
Con tale riforma, si potrà porre ufficialmente un freno all’atteggiamento di aprioristica contrarietà mostrata all’installazione di impianti Fer, anche in vista del raggiungimento degli obiettivi di produzione di energia green.