Articolo pubblicato il 28 giugno 2024
“L’anno scorso l’eolico e il fotovoltaico hanno contribuito a più di un quinto di tutta l’elettricità italiana. Tuttavia, quasi la metà dell’elettricità nazionale proviene ancora dal gas metano. Incredibilmente, perdonatemi da non italiano se lo dico, questo Paese sta ora utilizzando denaro pubblico per sovvenzionare la vasta espansione di altro gas. Perché, perché, perché?”.
È una delle considerazioni che l’ex vicepresidente degli Stati Uniti, Al Gore, ha fatto parlando del ruolo del gas come ostacolo alla transizione energetica durante una presentazione di oltre due ore, oggi a Roma, nell’ambito della 56ma sessione della sua iniziativa “The Climate Reality Project”, a cui hanno partecipato circa un migliaio di attivisti del clima provenienti da tutta Europa.
L’Italia genera più elettricità dal gas di qualsiasi altro Paese Ue ed è uno dei principali sostenitori dell’aumento delle infrastrutture per il gas naturale liquefatto (Gnl), ha fatto notare Gore durante la prima sessione di un evento che proseguirà fino a domenica 30 giugno.
“Abbiamo già tutti questi terminali Gnl e gasdotti per il metano esistenti in Europa, una quantità oscena. Ora, dato che stiamo minacciando il futuro dell’umanità continuando a bruciare combustibili fossili, perché si propone di aumentare la capacità di importazione con tutti questi terminali Gnl e gasdotti in più? Oltre 16mila chilometri di gasdotti per il trasporto del metano, è assolutamente folle”, ha commentato l’ex vicepresidente Usa (vedi anche, L’inutilità di nuove infrastrutture gas in Italia).
Una “follia” ambientale ed economica
“È una follia anche dal punto di vista economico. Solo in Italia sono previsti quasi 2.000 km di nuovi metanodotti, per un costo di 5 miliardi e mezzo di euro, e altri cinque miliardi e mezzo di nuova capacità di importazione Gnl. Ma c’è già una capacità di importazione Gnl doppia rispetto alla domanda esistente in Europa”.
Questi nuovi asset sono destinati a diventare investimenti incagliati, cioè infrastrutture la cui vita utile sarà troppo breve per ripagare gli investimenti fatti per realizzarli, con l’estrema probabilità che il rimborso del debito legato ai progetti ricadrà sulle spalle dei contribuenti, secondo Gore.
“Rimarranno bloccati come stranded asset, come i produttori di calesse, la cui attività si è incagliata quando è arrivata l’automobile”.
“Le aziende produttrici di combustibili fossili hanno molto potere politico e possono dire ai decisori: ‘Vedi il mio pollice? Ti premerò finché non farai quello che voglio io’; ed è quello che stiamo vedendo in molti Paesi. Così, anche se c’è una capacità doppia rispetto alla domanda esistente, le compagnie di fonti fossili vogliono espanderla ancora di più con i soldi dei contribuenti che la sovvenzionano. Non ha senso, ovviamente, ma sta accadendo”.
Se i nuovi progetti in programma saranno effettivamente costruiti, si prevede che la capacità di importazione sarà quattro volte superiore alla domanda. “Questo è ciò che vogliono le aziende produttrici di fossili. Insomma, vivono in un’illusione. Tuttavia, hanno il potere politico di vivere la loro illusione costringendo i politici a fare ciò che dicono loro di fare”, secondo l’ex numero due alla Casa Bianca.
Gli altri ostacoli da superare
Oltre alla “cattura politica” dei governanti da parte dei giganti degli idrocarburi, gli altri ostacoli principali da superare per un’azione pro-clima più incisiva e rapida sono gli ingenti sussidi pubblici ai fossili, anch’essi legati al potere persuasivo del settore petrolifero sulla politica, un’allocazione di capitali ingiusta e inefficiente e la difficoltà di accesso ai capitali da parte del Sud del mondo, secondo Gore.
“Dall’accordo di Parigi del 2015, le 60 maggiori banche globali hanno fornito quasi 7mila miliardi di dollari di nuovi finanziamenti alle fonti fossili. ENI, qui in Italia, ha ricevuto finanziamenti per oltre 65 miliardi di dollari negli ultimi sei-sette anni. E stanno pianificando di espandere enormemente lo sviluppo di sempre più combustibili fossili, perché è quello che sanno fare. Ancora una volta va detto che tutto ciò è assolutamente folle e deve essere affrontato”, secondo l’ex vice di Bill Clinton (Fossili in continuo aumento nel nuovo piano Eni).
La grande maggioranza dei fondi investiti nelle energie rinnovabili in Occidente proviene da capitali privati. In Africa, invece, è il contrario: solo l’11% dei fondi è di natura privata, mentre la stragrande maggioranza dei fondi proviene da istituzioni pubbliche, che però sono altamente insufficienti per promuovere le rinnovabili. Perché, allora, i Paesi poveri non finanziano la decarbonizzazione con fondi privati?
“Se siete in Nigeria e volete costruire un nuovo parco solare, i tassi di interesse che pagate per i prestiti sono spesso sette volte superiori a quelli in Europa o negli Stati Uniti o in Canada. Non è giusto”, secondo Gore.
“Perché il tasso di interesse è così alto? Perché gli investitori considerano ulteriori fattori di rischio nei Paesi in via di sviluppo. Può esserci il rischio che la valuta perda improvvisamente valore, oppure il rischio di corruzione, di un cattivo stato di diritto, potreste non essere in grado di far rispettare i vostri contratti in tribunale, la continuità del governo”, ha detto.
La Banca Mondiale e le altre banche multilaterali di sviluppo dovrebbero prendere in carico questi fattori di rischio aggiuntivi e contribuire a risolverli, ha detto Gore, secondo cui è però necessario riformare queste istituzioni. Ancora oggi, le banche multilaterali di sviluppo, come anche la maggioranza degli Stati, continuano a fornire molto più denaro per i combustibili fossili che per le rinnovabili.
“È assurdo. Queste soecità del fossile e gli Stati petroliferi a loro collegati hanno un potere politico enorme. Anche in questo caso, possono dominare il processo decisionale, Per questo dobbiamo avere un’attività e un’azione di base da parte delle persone in ogni Paese per superare l’influenza di queste società inquinanti”, ha concluso Al Gore.
Cosa è “The Climate Reality Project”
“The Climate Reality Project” è un’organizzazione fondata nel 2011 negli Usa e guidata da Al Gore per formare e rafforzare una nuova leadership ambientale, con l’obiettivo di catalizzare soluzioni globali alla crisi climatica, promuovendo l’azione urgente pro-clima come una necessità in ogni settore della società.
L’iniziativa ha dato luogo a una rete globale di 3,5 milioni di attivisti, coordinati da una decina di sedi sparse per il mondo.