Se non aiutiamo i petro-Stati a cambiare, a rischio la loro stabilità economica e politica

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Essenziale preparare a un futuro low-carbon le economie dei paesi produttori di fonti fossili, per evitare un'ulteriore instabilità politica. Lo chiedono il direttore della Iea, Fatih Birol, e il ministro delle Finanze iracheno, Ali Allaw.

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Una transizione energetica che non riesce a coinvolgere i paesi produttori di petrolio e gas potrebbe avere profonde implicazioni per la sicurezza internazionale e la stabilità dei mercati energetici globali.

Se le entrate petrolifere iniziano a diminuire prima che i paesi produttori abbiano diversificato con successo le loro economie, le difficoltà economiche e l’aumento della disoccupazione rischiano di creare disordini e instabilità ancora più ampi.

L’avvertimento, riferito in particolare al Medio Oriente e all’Iraq arriva in un intervento del vice primo ministro e ministro delle finanze del paese, Ali Allaw, e del direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia, Fatih Birol.

i due ricordano dalle pagine del Guardian che in Medio Oriente e Nord Africa il riscaldamento globale non è una minaccia lontana, ma una realtà già dolorosa. L’aumento delle temperature sta aggravando la scarsità d’acqua.

In Iraq si stima che le temperature aumentino fino a sette volte più velocemente della media globale. E diverse analisi, aggiungiamo noi, hanno mostrato il ruolo determinante del cambiamento climatico e della scarsità idrica in crisi regionali come quella della Siria e quella dell’Aghanistan.

I paesi di questa regione – sottolineano Allaw e Birol – rischiano però di pagare il doppio questa crisi. Non sono infatti colpiti solo dal riscaldamento climatico: la loro centralità nei mercati globali del petrolio e del gas rende le loro economie particolarmente vulnerabili alla transizione in atto dai combustibili fossili verso fonti di energia più pulite.

La recente roadmap dell’Agenzia internazionale per l’energia per azzerare le emissioni entro il 2050 mostra infatti che la domanda mondiale di petrolio dovrà diminuire da più di 90 milioni di barili al giorno a meno di 25 milioni nel giro di 30 anni.

Ciò comporterebbe un calo del 75% dei ricavi netti per le economie paesi produttori, molte delle quali sono dominate da un settore pubblico che fa affidamento sulle esportazioni di petrolio e sui ricavi che producono.

Quanto successo durante la pandemia da Covid-19, quando crollarono i prezzi del barile, fornisce un ammonimento. Si stima che i tassi di povertà in Iraq – scrivono Allaw e Birol – siano raddoppiati nel 2020 in gran parte proprio a causa del calo delle entrate petrolifere del paese.

“È essenziale che le voci dell’Iraq e di paesi simili vengano ascoltate alla conferenza sui cambiamenti climatici Cop26 a Glasgow questo novembre”, auspicano il ministro iracheno e il direttore della Iea.

Servono – prosegue l’intervento dei due – politiche e investimenti che consentano ai paesi produttori di petrolio e gas come l’Iraq di incanalare capitale e lavoro nelle industrie produttive per il futuro e stimolare il settore privato.

Un recente rapporto della Iea spiega che per ogni milione di dollari investito nell’efficienza energetica, vengono creati fino a 30 posti di lavoro, e le rinnovabili offrono ai paesi la possibilità di costruire un settore elettrico più pulito ed efficiente.

Un intervento, quello di Allaw e Birol, che ci ricorda che è urgente, oltre che cambiare il sistema energetico, cambiare le economie dei paesi produttori di petrolio e gas.

Il report di Verisk Maplecroft, “Political Risk Outlook 2021″, di cui abbiamo già parlato, stima che nel breve-medio termine (3-20 anni), i primi paesi a essere colpiti da una nuova ondata di instabilità politica, causata dalle difficoltà del mercato petrolifero, saranno Algeria, Iraq e Nigeria.

Anche Angola, Gabon e Kazakistan sono economie che secondo Verisk Maplecroft sono tra le meno preparate ad affrontare un low-oil future, un futuro in cui la domanda globale di oro nero sarà fortemente diminuita rispetto a oggi.

Il punto, scrive Verisk Maplecroft, è che i paesi che non sapranno adattarsi alle regole della transizione, trasformando almeno in parte le loro economie (in sintesi: da petro-Stati a paesi che investono in tecnologie pulite), con ogni probabilità saranno esposti a turbolenze politiche, crollo dei ricavi garantiti in precedenza dalle fonti fossili, aumento del rischio credito.

Dopo il forte calo dei prezzi petroliferi nel 2014 e fino alla partenza della pandemia, la maggior parte delle nazioni produttrici di petrolio non è riuscita a diversificare il suo mix economico-energetico, rimanendo agganciata alle esportazioni di oro nero: è il momento di aiutarli a trasformarsi ora.

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