Bitcoin mining al fotovoltaico, un modello di business più sostenibile e redditizio

Appurato l’enorme consumo di elettricità che caratterizza il bitcoin-mining, il complesso sistema di calcoli che permette di registrare le transazioni e creare la moneta elettronica, c’è chi suggerisce di abbinare queste attività informatiche alle fonti rinnovabili, per ridurre l’impatto ambientale oltre ai costi energetici.

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Bitcoin a energia solare, questa potrebbe essere una nuova frontiera, più sostenibile e redditizia, per la sempre più diffusa moneta elettronica, le cui transazioni e la cui creazione sono gestite da un sistema informatico decentralizzato che è un eufemismo definire “complicato” e che consuma quantità spropositate di energia elettrica.

In estrema sintesi (per tutti i dettagli vedi QualEnergia.it, Bitcoin, la bolla finanziaria del momento e l’enorme spreco di energia), il protocollo Bitcoin prevede una laboriosa e costante ricerca-elaborazione di dati, il cosiddetto mining, perché computer e server sparsi in tutto il mondo devono eseguire calcoli via via più complessi per registrare i blocchi di transazioni e creare nuova moneta.

Secondo le stime più recenti, il bitcoin-mining a livello globale consuma almeno 7-8 TWh l’anno di elettricità e questa cifra è destinata ad aumentare rapidamente.

Ci troviamo di fronte allo stesso tipo di problema che interessa i giganti del web: come governare una mole inesauribile e crescente di comunicazioni multimediali – posta elettronica, chat, immagini, video ad alta risoluzione, musica e quant’altro finisca nella “nuvola” virtuale – limitando i consumi energetici degli enormi centri elaborazione dati (QualEnergia.it, Come consumano energia le grandi corporation del settore digitale).

Arriviamo così alla proposta formulata da Tam Hunt, un esperto americano di rinnovabili e di fotovoltaico in particolare, in un recente articolo apparso su GTM Research.

Il succo della sua analisi è che sarebbe vantaggioso sfruttare l’energia da fotovoltaico per alimentare i processi di mining; il solare stesso diventerebbe una risorsa aggiuntiva di profitto per i cosiddetti miners, gli “estrattori” di dati che garantiscono il corretto funzionamento del sistema Bitcoin.

Più volte abbiamo osservato che in certe condizioni favorevoli, il fotovoltaico è già in grado di generare elettricità a costi inferiori rispetto alle fonti tradizionali, soprattutto nei grandi parchi FV realizzati in zone semidesertiche con elevato irraggiamento solare.

L’obiettivo del solar-Bitcoin quindi è duplice: da un lato, mitigare l’impatto ambientale, in termini di emissioni inquinanti associate ai combustibili fossili, del data-mining, dall’altro, assicurare una produzione elettrica a basso costo alle attività informatiche.

Le compagnie di mining, sostiene l’autore dell’articolo, dovrebbero stipulare contratti PPA (Power Purchase Agreement) con gli operatori del FV, in modo tale da impiegare tutta l’energia rinnovabile in loco per “alimentare” gli algoritmi e prelevare elettricità dalla rete solo quando è necessario.

Un’altra possibilità di ottenere guadagni aggiuntivi, spiega Hunt, è assorbire per il data-mining l’energia generata in eccesso dalle fonti rinnovabili nelle ore centrali della giornata, spesso ceduta sul mercato dai produttori a prezzi negativi per evitare il blocco totale o parziale degli impianti eolici e solari.

Il fotovoltaico, in definitiva, potrebbe diventare una risorsa fondamentale per incrementare la potenza di calcolo del sistema Bitcoin, riducendo al contempo la carbon footprint (impronta della CO2) delle singole transazioni e tagliando i costi energetici delle aziende specializzate in questo settore.

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