Diventare offgrid. La lotta al fotovoltaico su tetto spingerà a staccarsi dalla rete?

In diversi mercati elettrici, Italia in primis, si sta cercando di frenare il fotovoltaico su tetto. Ma, con il calo dei costi degli impianti e degli accumuli, gli ostacoli all'autoproduzione di energia potrebbero trasformarsi in uno stimolo a staccarsi completamente dalla rete. In Australia ad esempio si stima che entro 25 anni il 40% degli utenti possa andare off-grid.

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Nel decreto ‘taglia-bollette,’ come abbiamo scritto, c’è una norma che sembra scritta apposta per frenare la diffusione del fotovoltaico in autoconsumo. E’ quella che impone di pagare parte degli oneri di sistema anche sull’energia autoprodotta e, cosa ancora più grave, scarica sui soli impianti ancora da realizzare tutti i futuri aumenti di questa quota. Questi aumenti non sono ancora definiti, ma saranno modulati in modo da mantenere inalterata la platea dei kWh su cui si pagano gli oneri.

Stando al decreto, cioè, chi realizzerà un impianto FV su tetto, in futuro potrà vedere schizzare verso l’alto la quota di oneri sull’elettricità autoconsumata; un aumento che sarà maggiore quanto più calerà la domanda elettrica e/o si diffonderà l’autoconsumo. Se gli oneri da pagare aumenteranno, installare un impianto fotovoltaico per farsi da soli l’energia non sarà così conveniente. Una norma che di fatto previene l’eventualità che l’autoproduzione si diffonda “troppo”.

Il rischio dal quale ci si vuole tutelare, stando alle segnalazioni di Autorità e del MiSE, è quello di un effetto a spirale, secondo cui al crescere dell’autoconsumo, esente da oneri, cresce la bolletta di chi non autoproduce (perché gli oneri sono spalmati su una platea più ristretta di KWh consumati e prelevati dalla rete) che, di conseguenza, avrà lo stimolo ad autoprodurre.

Questo rischio per la situazione italiana probabilmente non è così imminente: in uno scenario estremo e decisamente improbabile in cui tutta la pubblica amministrazione e tutte le PMI italiane di tutti i settori ricorressero all’autoproduzione, il prezzo del kWh in bolletta non salirebbe più del 5% (stima sui dati 2012 di Marco Pezzaglia, esperto di energia ed ex responsabile fonti rinnovabili all’Autorità).

Se mantenere in equilibrio il sistema elettrico fosse la finalità della norma, d’altra parte, non si capisce perché la norma scarichi tutti i futuri aumenti solo sui nuovi impianti, tutelando l’esistente. Oggi ci sono già circa 32 TWh/anno di elettricità autoconsumata (secondo i dati ministeriali 10 in RIU e 20-22 in SEU e SEESU); di questi (ci dicono stime di eLeMeNS), nonostante i generosi incentivi degli anni scorsi, solo circa 2,8 TWh sono riconducibili al fotovoltaico, unica novità tecnologica che potrebbe far aumentare sensibilmente l’autoconsumo rispetto ai decenni precedenti. Anche se da gennaio 2015 si iniziassero a installare impianti di fotovoltaico in autoconsumo a ritmi da Conto Energia 2011-2012 (cosa alquanto improbabile) la platea di kWh autoconsumati da sistemi pre-2015 resterebbe infinitamente più estesa rispetto a quella del ‘nuovo autoconsumo’, sulla quale, come detto, si scaricheranno tutti i futuri aumenti della percentuale di oneri.

Il legislatore quindi, più che un eventuale aumento della bolletta per chi non ha l’impianto FV sul tetto, sembra temere la crescita dell’autoconsumo in se stessa e magari il relativo impatto negativo sulla domanda elettrica. Un rischio sul quale peraltro diversi report internazionali mettono da tempo in guardia le utility.

Ma misure volte a penalizzare l’autoconsumo, come quella del nostro taglia-bollette, basteranno a mantenere in equilibrio il sistema? Forse no: sul medio-lungo periodo, infatti, con il calo dei costi del fotovoltaico (e di altre tecnologie) e delle batterie si rischia di cadere dalla padella alla brace: i consumatori potrebbero scegliere in numero sempre maggiore di staccarsi dalla rete pubblica.

Per capire quel che può succedere è utile andare a vedere la situazione in Australia (riassunta in questo articolo del Guardian). Qui, con 3,4 GW installati su 1,2 milioni di edifici, il fotovoltaico su tetto sta già facendo sentire pesantemente i suoi impatti sul sistema elettrico. Innanzitutto c’è la concorrenza che il solare fa al termoelettrico, producendo a costi marginali nulli durante il giorno: in Queensland, dove ci sono impianti per 1,1 GW su 350mila edifici, il contributo del FV sta facendo registrare spesso prezzi del MWh all’ingrosso in fascia diurna prossimi allo zero o addirittura negativi.

Poi c’è l’effetto sulla domanda: l’effetto della “solarizzazione delle abitazioni” è stato di far calare la richiesta dalla rete di circa l’8%, secondo uno studio di CSIRO, ente pubblico di ricerca australiano.

Utility e produttori del termoelettrico nel paese hanno vita dura e sono in guerra aperta con il solare FV. Ecco allora che nei diversi Stati australiani si sono messe in campo politiche per disincentivare il FV su tetto, soprattutto agendo sulla remunerazione dell’energia scambiata con la rete.

Sembra però che queste politiche non saranno sufficienti a fermare la marea, anzi, potranno accelerare le dinamiche di abbandono totale della rete. Secondo la banca di investimenti UBS con il calo dei prezzi di accumuli e impianti ‘essere off-grid’ potrebbe essere conveniente nel paese già dal 2018.  CSIRO stima che nel 2040 più della metà della domanda elettrica potrebbe essere generata e accumulata dagli stessi prosumer (i consumatori che sono anche produttori, come chi ha il FV sul tetto) e che, a meno che le utility non cambino il loro approccio verso l’autoconsumo e i loro modelli di business, il 40% dei consumatori potrebbe abbandonare la rete.

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