Il caro-energia e gli interventi improvvisati della politica. Serve una vera strategia

L'ansia politica di fare qualcosa, qualunque cosa, per ridurre il costo dell'energia ha generato un mostro giuridico-economico, con danni collaterali molto maggiori dei benefici. Ma l'alto costo dell'energia in Italia è un problema strutturale e non dipende dalle rinnovabili che, anzi, stanno dando numerosi effetti positivi. C'è bisogno di una vera strategia di medio-lungo periodo.

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Il recente provvedimento cosiddetto “taglia-bollette” è solo l’ultimo anello di una catena, lunga qualche decennio, di interventi estemporanei dettati da problemi contingenti ed emotività.

In principio fu il nucleare, prima orgoglio della tecnologia italiana e poi abbandonato in fretta e furia senza alcuna strategia alternativa, poi lo “sblocca centrali” che, sotto l’emergenza del black-out, diede vita ad una stagione di forti investimenti nei cicli combinati a gas che però, senza alcuna pianificazione e con i tempi lunghi delle autorizzazioni, ha portato all’attuale pesante sovraccapacità. Per tacere dell’improbabile tentativo di ritorno all’atomo di due-tre anni addietro e dei rigassificatori mancati; salvo poi gridarne l’urgente necessità a ogni crisi del gas russo-ucraina o nordafricana.

Il timore di non cogliere gli obiettivi europei del 20-20-20 spinse in seguito gli incentivi alle rinnovabili, ma l’assenza di una strategia di medio termine e la gestione giorno per giorno dei provvedimenti completò l’opera, portando a una crescita troppo disordinata e discontinua del fotovoltaico.

Ora, l’ansia politica di fare qualcosa, qualunque cosa, per ridurre il costo dell’energia sta generando un mostro giuridico-economico con il tentativo di ridurre ex post gli incentivi alle rinnovabili, dopo i già numerosi (e disordinati) interventi precedenti.

Come se la questione del maggior costo dell’energia in Italia rispetto agli altri Paesi europei fosse una scoperta recente, un strana sorpresa fattaci dalla crescita delle rinnovabili. Bastano pochi numeri per capire facilmente che non è così.
Il differenziale di prezzo tra mercato elettrico italiano e tedesco esiste da anni: nel 2006 era di circa 24 €/MWh, nel 2013 di 25,2 dopo aver toccato il massimo di 33 €/MWh nel 2007 (vedi tabella sotto).

Idem il confronto con la Francia, che ha una struttura del settore diversa dalla Germania. Quindi, differenziali (prima di qualunque incentivo e onere) elevati anche in anni in cui gli incentivi alle rinnovabili erano trascurabili. Le ragioni? Differenti fuel mix, diverse strutture del settore elettrico, condizioni tecniche, economiche e finanziarie dei sistemi Paese molto lontane.
Anche facendo sparire gli incentivi alle rinnovabili con la bacchetta magica (e anche le questioni ambientali e le direttive europee che li hanno motivati) questa differenza di costo non cambierebbe.

Confronto Borse elettriche Italia-Germania-Francia (Prezzo medio €/MWh). Fonte: GME-Reuters

Le rinnovabili, invece, hanno ridotto il prezzo di mercato dell’energia. Gli studi in questo senso in Italia e all’estero si moltiplicano e, seppur con metodologie e risultati differenti, indicano tutti un effetto di abbassamento dei prezzi dell’elettricità.
Stimato nell’Irex di Althesys fin dal 2011, nel 2013 questo effetto si è rafforzato, passando per il solo fotovoltaico dai 400 milioni del 2011 agli 848 del 2012 al miliardo di euro del 2013. Significa 15-21 €/MWh nel PUN 2013, cioè fino all’84% della differenza di prezzo con la Germania. Il fenomeno nel 2013 rispetto al 2011 in Italia vale quasi due miliardi e se i prezzi dell’elettricità in futuro risalissero sarebbe ancora più elevato.

Ma questo è solo uno degli effetti positivi delle rinnovabili. Il bilancio tra il costo degli incentivi (prima dei tagli) e i benefici delle rinnovabili dal 2008 al 2030 ha un saldo positivo tra i 18,7 e i 49,2 miliardi di euro (fonte: Irex). Il calcolo comprende una pluralità di voci: gli effetti sull’occupazione e sul Pil, la riduzione delle emissioni, l’indotto, la diminuzione del fuel risk.

Nell’analisi costi-benefici di Althesys la riduzione del PUN attribuibile al fotovoltaico equivale a poco più del 30% della spesa per gli incentivi. Più o meno la stessa incidenza che stima un recente studio del CNR, che valuta in 4,6 miliardi di euro il risparmio ascrivibile al fotovoltaico nel periodo 2010-2013. Ma un contributo non trascurabile arriva anche dall’eolico (Ecco come e quanto il fotovoltaico fa abbassare il costo dell’elettricità).

Ma perché questo calo dei prezzi non si riversa in bolletta? Per gli incentivi alle rinnovabili, rispondono molti; vero, ma solo in parte. Come evidenzia anche il recente comunicato dell’Autorità sull’aggiornamento trimestrale delle bollette del gas e dell’elettricità, ci sono anche altre ragioni, quali il costo delle coperture contro il rischio di rialzo dei prezzi dei contratti di approvvigionamento dell’Acquirente Unico e gli oneri derivanti dai meccanismi di perequazione della vendita. Ma soprattutto l’attuale struttura e il funzionamento dei mercati elettrici non favoriscono l’efficienza del sistema, ampliando il differenziale tra PUN e componente energia della bolletta. E non bisogna dimenticare che mentre gli incentivi caleranno nel tempo (anche a causa dell’inflazione), l’effetto peak shaving si manterrà o addirittura crescerà qualora dovessero tornare a crescere i prezzi dell’energia.

In conclusione, il taglia-bollette non solo non risolve affatto il problema del costo dell’energia in Italia, ma i danni collaterali probabilmente supereranno di gran lunga i benefici sperati. Il provvedimento, infatti, non incide in modo sostanziale sul gap di costo con gli altri Paesi (che, come visto, nasce ben prima delle rinnovabili), ma si limita a redistribuire i costi tra le varie categorie. Addirittura con il paradosso di penalizzare – con l’addebito degli oneri di sistema sull’autoconsumo – anche quelle categorie, gli energivori, che più hanno spinto per tagliare gli incentivi alle rinnovabili. E che più hanno nel costo dell’energia un fattore di concorrenza internazionale.

Gli annunciati benefici per le PMI saranno invece molto modesti, riguarderanno solo un numero limitato di imprese (per l’85% delle piccole e medie imprese nessun beneficio secondo la Cgia di Mestre) e nella maggior parte dei casi non avranno effetti apprezzabili sulla loro competitività. Superfluo ricordare – lo hanno già fatto tutti – gli effetti negativi sul settore delle rinnovabili e i danni, potenzialmente incalcolabili, alla credibilità dell’Italia verso gli investitori esteri a causa di un provvedimento retroattivo.

Non servono misure tampone affrettate, c’è bisogno di una vera strategia di medio-lungo periodo:

  • accelerare sulle infrastrutture; le congestioni di rete in alcune zone fanno salire il costo per tutto il Paese (20 €/MWh nel 2013 la differenza di prezzo per l’inadeguata connessione della Sicilia);
  • ugualmente la mancanza dei rigassificatori accentua il rischio sulle forniture di gas;
  • maggior interconnessione tra le nazioni europee per favorire il market coupling;
  • ridisegnare i mercati elettrici e i meccanismi di formazione dei prezzi;
  • favorire la definitiva dismissione di impianti obsoleti, o comunque, meno efficienti e competitivi, favorendo quelli più moderni e flessibili.

Sono solo alcuni punti, con tempi e complessità di attuazione assai diversi. Ma è evidente che interventi di corto respiro senza un disegno organico non risolveranno un problema che è strutturale. In compenso comprometteranno la stabilità di alcuni settori, la credibilità complessiva dell’Italia e le sue possibilità di uscire dalla crisi.

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