Dopo le barriere doganali imposte dagli Stati Uniti all’import di celle cinesi, la settimana scorsa anche la Germania ha ventilato l’ipotesi di una misura analoga. Intanto la Cina ha annunciato un’indagine sul polysilicon importato da Stati Uniti e Corea del Sud, indagine che sembra una contromossa ai dazi americani e potrebbe sfociare in analoghe misure protezionistiche sul fronte cinese. Il fotovoltaico mondiale sta soffrendo a causa della sovrapproduzione e la tensione rischia di sfociare in una ‘guerra commerciale mondiale’ che difficilmente farà bene a questo settore produttivo.
In un contesto in cui i produttori di moduli FV sono costretti a vendere sottocosto o a fallire, nell’occhio del ciclone da mesi c’è l’accusa di dumping nei confronti dell’industria cinese, che controlla circa metà del mercato mondiale. Solo grazie ai generosi aiuti di stato da Pechino – specialmente finanziamenti a tassi agevolati e rimborsi dell’IVA sull’export – i cinesi riuscirebbero a praticare i prezzi stracciati contro i quali l’industria occidentale non riesce a competere (Qualenergia.it, Fotovoltaico, noi finanziamo la Cina o la Cina finanzia noi?).
Accogliendo questa tesi, a fine maggio (vedi Qualenergia.it, Fotovoltaico, cosa risolverà il protezionismo Usa?) – al termine della seconda fase dell’indagine partita dalla segnalazione di Solarworld Usa e altre 6 aziende – il Dipartimento per il Commercio Usa ha deciso nuovi salati dazi sull’import di celle made in China. Saranno finalizzati a ottobre con effetti retroattivi e sono di circa il 31% per i prodotti delle 61 società cinesi che esportano nel Paese e di quasi il 250% per i produttori cinesi non presenti nell’elenco (per evitare cambi di nome tesi ad aggirare i dazi).
Anche in Europa nelle settimane successive si era tornato a parlare di una possibile analoga azione legale da portare alla Corte europea già nei prossimi giorni. Ora questa azione sembra concretizzarsi: stando a quanto riporta il Wall Street Journal, Solarworld – assieme ad altre aziende – avrebbe chiesto oggi alla Corte di intervenire: entro 45 giorni i giudici dovranno decidere se aprire un’investigazione e, in caso lo facessero e questa riconoscesse il dumping cinese, nuovi dazi potrebbero essere applicati già tra 9 mesi.
Giovedì scorso invece il ministro dell’Ambiente tedesco, Peter Altmaier, ha dichiarato che prenderà in considerazione misure protezionistiche contro l’import di moduli fotovoltaici cinesi, una mossa che potrebbe rivelarsi un boomerang nel caso si innescasse una guerra commerciale tra Germania e Cina, dato che la Germania esporta in Cina più di quanto importi (molto anche nel settore delle macchine utensili per il FV).
Anche la Cina – che ha di recente innalzato il proprio obiettivo nazionale sul FV – sembra preparare un contrattacco protezionistico. Il ministero del Commercio di Pechino ha infatti annunciato un’indagine anti-dumping sul polysilicon importato dagli Usa e su quello importato dalla Corea del Sud.
Il polysilicon all’inizio di luglio ha raggiunto il minimo storico ventennale di 21,92 $/kg, il 56% in meno rispetto all’anno scorso, riporta Bloomberg New Energy Finance. Nei primi 5 mesi del 2012, stando ai dati di China Daily, la Cina ne ha importato 34mila tonnellate di cui il 41,4% dagli Usa e il 22,2% dalla Corea del Sud.
L’indagine – sollecitata dai produttori di polysilicon cinesi – durerà un anno. Secondo quanto raccontava a Qualenergia.it Martin Simonek, analista di Bloomberg New Energy Finance, prima dell’ultimo annuncio di investigazione appare però improbabile che le minacce di dazi cinesi sul silicio americano si concretizzino: “la Cina è fortemente dipendente dall’estero per il silicio di qualità solare, introdurre dazi farebbe salire il prezzo della materia prima, rendendo meno competitiva l’industria nazionale”, osservava Simonek.
Come per l’imposizione dei dazi Usa sulle celle cinesi, infatti, le eventuali barriere commerciali cinesi per dare sollievo a una parte della filiera ne danneggerebbero l’altra.
Negli Usa le misure protezionistiche contro l’import cinese porteranno a un probabile aumento del prezzo dei moduli e degli impianti, che rallenterà la domanda nel Paese e a rimetterci saranno soprattutto gli installatori e i clienti finali. Uno studio di The Brattle Group, precedente alla decisione sui dazi e commissionato da CASE, l’alleanza di produttori contrari al protezionismo, stimava che, con un dazio del 50%, negli Usa si sarebbero persi dai 20 ai 40mila posti di lavoro in due anni.
In Cina invece il prezzo del silicio così basso, se sta mettendo in ginocchio i produttori di polysilicon, è però in questo momento preziosissimo per la sopravvivenza dei produttori di celle e moduli, messi a dura prova, al pari dei concorrenti esteri, dalla overcapacity che costringe a vendere sottocosto.
Insomma, come ogni guerra, questo conflitto commerciale farebbe morti e feriti da entrambe le parti e a rimetterci sarebbe il fotovoltaico mondiale nel suo complesso, che verrebbe rallentato nel suo cammino verso la grid-parity.