Quell’umile accumulo termico ancora così troppo trascurato

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I sistemi di accumulo termico o TES sono tecnologie semplici, più economiche e meno "mediatiche" di batterie e, soprattutto, idrogeno. Diversi esempi nel mondo e un mercato che potrebbe triplicare in pochi anni.

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Tra i settori più colpiti dalla crisi del gas del 2022 in particolare ce n’è stato uno: l’industria del vetro artistico di Murano, che ha rischiato seriamente di scomparire dopo secoli di attività.

In quell’occasione fu spiegato che i forni tradizionali usati per fondere la pasta di vetro, venivano continuamente scaldati bruciando gas per 24 ore al giorno, perché ovviamente la massa incandescente interna non doveva mai solidificare. Questo metodo di lavorare era fattibile quando il metano costava 20 €/MWh, ma con i 300 e passa raggiunti a metà del 2022, era diventato del tutto insostenibile.

Del resto, la problematica si ripeteva per ogni settore industriale che richiedesse grandi quantità di calore 24 ore al giorno. Piuttosto che riprogettare sistemi termici fortemente isolati per ridurre gli sprechi e utilizzare il calore di scarto per integrare quello ottenuto dal gas, era molto più economico bruciare metano a go-go, tanto questo combustibile, si supponeva prima dell’invasione dell’Ucraina, che sarebbe sempre costato pochissimo.

Le cose sono cambiate e sembra ci sia più consapevolezza del rischio di affidarsi a fonti fossili provenienti da oltre confine, spesso in mano a governi non propriamente amici. Si assiste così ad un notevole aumento delle installazioni di impianti fotovoltaici per industria e commercio e di contratti PPA per l’acquisto di elettricità rinnovabile prodotta da grandi impianti, anche come assicurazione contro future crisi energetiche.

Accumulo termico, molto meno mediatico dell’idrogeno

Sembra però che non sia ancora passato il messaggio che non solo la produzione elettrica, ma anche quella termica, che copre circa la metà delle richieste energetiche europee, fra climatizzazione degli edifici e calore per l’industria, può spostarsi in buona parte dalle fossili alle tecnologie basate su rinnovabili e accumuli.

Non parliamo delle pompe di calore, biomasse o della complicata via dell’idrogeno e dei suoi combustibili rinnovabili, ancora troppo costosa e immatura, ma di tecnologie semplici, quelle dei sistemi di accumulo termico o TES.

Ne ha parlato di recente sulla rivista New Scientist, Roger Harrabin, giornalista scientifico e analista per la BBC del settore energia e ambiente.

“Il punto è che i sistemi di accumulo termico si basano sui materiali più economici che si possono immaginare: mattoni, rocce tritate, sali minerali, acqua, sabbia” spiega Harrabin. Sono poi tecnologie di storage anche di lunga durata.

“Questo consente di tenere bassi i loro prezzi, recuperando gran parte del calore sprecato dai processi industriali, oppure quello ottenuto da rinnovabili nei loro momenti di eccesso di produzione, tramite tecnologie estremamente semplici come le resistenze per convertire elettricità in calore”.

Per fare un esempio, se gli artigiani di Murano volessero, potrebbero accumulare in TES il calore che esce dai loro forni con i fumi del metano bruciato per scaldarli, e poi usare quel calore nelle ore in cui la pasta vitrea deve rimanere calda pur senza essere lavorata.

Esempi di sistemi di accumulo termico

Le tecnologie sono già disponibili e sono di una banalità sconcertante.

Per esempio, Rondo Energy, con sede in California, sta sviluppando dispositivi che immagazzinano energia per diversi giorni in un’enorme pila di mattoni di argilla inseriti tra due elementi riscaldanti, come i toast in un tostapane.

L’idea è quella di collegare questi elementi riscaldanti all’impianto di energia rinnovabile per portare i mattoni a 1500 °C: il calore poi si può utilizzare direttamente oppure per produrre vapore e ottenere di nuovo elettricità (schema dell’immagine in alto tratto dal sito dell’azienda).

“Questi giganteschi ‘tosta-mattoni’, fortemente isolati – precisa Harrabin – potrebbero essere posizionati accanto e dentro le fabbriche nelle capacità di accumulo che servono, con costi che secondo Rondo Energy, sarebbero la metà di quelli che si avrebbero usando idrogeno verde”.

La produzione di idrogeno a partire dall’elettricità, il suo stoccaggio in serbatoi speciali e il successivo recupero della stessa, finiscono infatti per essere molto più costosi dell’usare resistenze elettriche per scaldare mattoni, e poi successivamente quel calore per produrre elettricità.

E se è così lo vedremo presto. Rondo sta installando i suoi primi due sistemi TES in fabbriche dell’Illinois e del Kentucky, creando un nuovo sistema per accumulare calore ed elettricità per le industrie.

Un altro sistema è in sperimentazione più vicino a noi, in Danimarca, dove l’azienda Kyoto, ha creato vicino ad Aalborg un TES da 18 MWh basato su serbatoi contenenti 150 tonnellate di sali fusi a quasi 500 °C, come quelli impiegati dalle centrali solari a specchi per accumulare il loro calore e sfruttarlo di notte per la produzione elettrica.

In questo caso l’elettricità proviene dalle centrali eoliche e quando è in eccesso la si impiega per fondere la miscela di sali contenuti in grandi serbatoi fortemente isolati. Usare sali fusi a questo scopo è più costoso e complica il progetto rispetto a usare mattoni, ma consente di accumulare molto più energia a parità di spazio, grazie al calore latente assorbito dal passaggio di fase fra solido e liquido.

“Il nostro Heatcube può immagazzinare calore per giorni interi e rilasciarlo sotto forma di elettricità per soddisfare le variabili richieste sulla rete, come hanno dimostrato una serie di test eseguiti nel 2023 e superati a pieni voti. Ora stiamo studiando come utilizzarlo anche per fornire calore industriale, un settore importantissimo per la transizione energetica, di cui però pare ci si sia dimenticati, vista tutta l’enfasi dedicata in modo quasi esclusivo alle batterie al litio”, illustra Bjarke Buchbjerg, responsabile della tecnologia di Kyoto.

L’italiana Magaldi Green Energy dopo aver inventato 10 anni fa la tecnologia della sabbia “fluidizzata” tenuta in sospeso da correnti d’aria a 700 °C per stoccare il calore di una centrale a solare a specchi, adesso l’ha riciclata per fornire calore ed elettricità continue all’industria, a partire da fonti rinnovabili.

Ma se accumulare a centinaia di gradi, consente di soddisfare le esigenze del calore industriale più estremo e della produzione elettrica dopo l’accumulo, niente vieta di immagazzinare calore per il riscaldamento di quartieri o per processi industriali a temperature più basse, per esempio in serbatoi pieni di sabbia, come ha fatto la Polar Night in Finlandia, per riscaldare, con energia rinnovabile in eccesso, un quartiere di Kankaanpää, o come ha fatto Lactalis in Francia, stoccando calore di provenienza solare, in 3000 mc di acqua, per usarlo poi nei processi caseari a ciclo continuo.

Scenari di mercato

Solo esempi o primi indizi di un utilizzo diffuso del TES?

Secondo l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili, IRENA, il mercato globale dei TES potrebbe triplicare le sue dimensioni entro il 2030, con investimenti che raggiungeranno i 28 miliardi di dollari.

Nel febbraio 2024, la società di consulenza ambientale Systemiq ha affermato che l’implementazione della tecnologia TES su larga scala (ma solo per l’accumulo dell’elettricità) potrebbe ridurre il consumo di gas del 40% e le emissioni legate all’energia del 14% entro il 2050.

Aggiungendo anche quelle per l’accumulo di calore, magari non limitandosi a produrlo ex novo, ma recuperando quello di scarto, le cifre potrebbero anche diventare molto più alte

Per raggiungere, e superare questi obbiettivi, forse sarebbe il caso che le tecnologie TES così “umili”, economiche e facilmente scalabili, fossero prese più in considerazione dai governi sia per quanto riguarda le politiche incentivanti che la ricerca.

Nel frattempo restiamo come ipnotizzati dalle tecnologie mediaticamente più eclatanti come batterie e idrogeno, che in molti casi potrebbero essere più efficacemente sostituite da semplici cumuli di sabbia, rocce o mattoni.

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