Superbonus, la GdF scopre una truffa da 110 milioni

Gli indagati avrebbero incassato il denaro grazie alla cessione del credito, producendo asseverazioni false e fatture per lavori mai eseguiti.

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Fatture per lavori mai realizzati, che servivano all’azienda per incassare la maxi detrazione grazie alla cessione del credito: questo, in estrema sintesi, il meccanismo che starebbe alla base di una presunta truffa sul Superbonus da 110 milioni di euro scoperta a Napoli.

La Guardia di Finanza del capoluogo partenopeo – spiega una nota delle stesse Fiamme gialle – ha emesso un provvedimento di sequestro preventivo d’urgenza richiesto nella fase delle indagini preliminari dalla Procura di Napoli, su circa 110 milioni di euro di crediti d’imposta relativi al Superbonus, nei confronti di un consorzio operante nel settore, nonché perquisizioni e sequestri nei confronti di altri soggetti che sarebbero, a vario titolo, coinvolti.

In totale si sono perquisite le residenze di 21 persone fisiche, le sedi di 3 enti/società e sono stati effettuati sequestri preventivi di crediti a 16 soggetti tra istituti finanziari, società e persone fisiche.

L’inchiesta, si spiega, trae origine da un’analisi di rischio sviluppata dall’Agenzia delle entrate. Secondo gli inquirenti, il consorzio, attraverso una rete di procacciatori, si sarebbe proposto nei confronti di privati interessati a effettuare i lavori con Superbonus, facendo stipulare loro dei contratti per “appalto lavori con cessione del credito d’imposta” e chiedendo la consegna della documentazione necessaria, salvo interrompere subito dopo i rapporti ovvero eseguire solo attività di carattere burocratico.

Ricevuti i contratti, gli indagati avrebbero emesso fatture per operazioni inesistenti nei confronti dei privati committenti, nelle quali si faceva riferimento a uno stato di avanzamento lavori per una percentuale non inferiore al 30%, cioè la percentuale minima richiesta per vantare la cessione del credito d’imposta.

Solo a seguito di richiesta di informazioni da parte della Finanza, i privati riscontravano nel loro cassetto fiscale la presenza delle suddette fatture, che sarebbero state emesse a fronte di lavori mai eseguiti, cui erano correlate successive cessioni di crediti a favore del consorzio, precedute dalla comunicazione dei commercialisti che avrebbero apposto il visto di conformità.

Le asseverazioni tecniche sui lavori (non) svolti dal consorzio, rilasciate da professionisti abilitati, presentavano rilevanti anomalie, evidenziate dall’Enea.

Con questo sistema, spiega la Guardia di Finanza, gli indagati avrebbero beneficiato di oltre 109 milioni di euro di crediti d’imposta, accumulati a partire dal mese di dicembre 2020, poi ceduti a intermediari finanziari, ottenendone la monetizzazione, per un importo di oltre 83 milioni di euro.

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