Quali saranno i paesi più forti e quelli più deboli, in un “nuovo mondo” sempre più orientato alle energie pulite? Sono pochi gli studi che provano a indagare le relazioni tra geopolitica e riduzione dell’utilizzo di combustibili fossili su scala globale.
Tra questi, segnaliamo la recente pubblicazione della Global Commission on the Geopolitics of Energy Transormation, l’iniziativa indipendente lanciata nel gennaio 2018 dall’Agenzia internazionale delle fonti rinnovabili (IRENA, International Renewable Energy Agency): A New World (documento completo allegato in basso).
Secondo gli autori del rapporto, la trasformazione del modo di produrre e consumare energia nel mondo sarà uno dei fattori principali a influenzare la geopolitica nel ventunesimo secolo.
L’analisi considera, in particolare, la notevole competitività raggiunta da molte tecnologie rinnovabili, come l’eolico e il fotovoltaico, che in moltissime circostanze sono già in grado di produrre elettricità a costi inferiori rispetto a gas e carbone (vedi anche QualEnergia.it sulle ultime stime LCOE, Levelized Cost of Electricity).
Elettrificazione, boom atteso della mobilità a zero emissioni con investimenti crescenti delle case automobilistiche, generazione diffusa con piccoli impianti solari, digitalizzazione delle reti di distribuzione, autoconsumo collettivo, installazione di sistemi di accumulo per integrare le rinnovabili nel sistema elettrico: ecco alcune delle tendenze richiamate dallo studio, per chiarire i contorni della transizione energetica che si sta delineando a livello internazionale.
Così, secondo gli esperti della Global Commission on the Geopolitics of Energy Transormation, ci saranno paesi più esposti a determinate turbolenze, tra cui minori esportazioni e conseguenti minori profitti delle risorse fossili, perdita di posti di lavoro nelle attività tradizionali, incapacità di riconvertire il tessuto industriale verso i settori più innovativi (qui si parla anche di stranded asset: letteralmente “beni incagliati”, quindi infrastrutture che hanno esaurito il loro compito nel New World, tra cui miniere di carbone, gasdotti, piattaforme petrolifere e così via).
Il grafico seguente (figura 4 del documento), mostra, da un lato, la dipendenza dalle importazioni/esportazioni di combustibili fossili di alcuni paesi e aree geografiche, dall’altro il numero complessivo di brevetti nelle tecnologie rinnovabili registrati nelle medesime aree.
Si vede, in particolare, che la Cina, pur essendo un importatore netto di risorse fossili, sta guidando la corsa dell’energia pulita con oltre il 45% degli investimenti totali nel settore nel 2017, tanto da essere considerata dagli autori del rapporto come uno dei “vincitori assoluti” della transizione energetica.
Restano però moltissime contraddizioni nel modello cinese di sviluppo: vedi QualEnergia.it sulle difficoltà di rinunciare al carbone.
L’Europa dipende ancora in larghissima parte dalle importazioni fossili: intorno al 60% del suo fabbisogno, ma è anche ben posizionata nella competizione mondiale per diventare tra i leader delle tecnologie “verdi”.
Il prossimo grafico (figura 7 dello studio, clicca sopra per ingrandire), invece, evidenzia le nazioni che dipendono maggiormente dalle rendite dei combustibili fossili (exposure) e quanto siano pronte a rispondere ai rischi e ai cambiamenti posti dalla transizione verso le rinnovabili (resilience).
Tra le nazioni più resilienti, anche se ancora molto legate alle esportazioni di gas-petrolio-carbone, troviamo ad esempio Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi, Norvegia, in misura minore Russia, Algeria, Iran.
La transizione fonti fossili vs rinnovabili, in definitiva, secondo gli autori dello studio renderà molto più “fluida” la nuova mappa mondiale delle relazioni geopolitiche, che saranno sempre più svincolate dalle logiche tradizionali di potere dovute alla concentrazione di determinate risorse (gas, petrolio, carbone) in poche aree, a vantaggio di una maggiore autonomia-sicurezza energetica per molti paesi.
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