Il passo indietro di Bruxelles sugli obblighi ambientali delle aziende

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Il pacchetto Omnibus presentato dalla Commissione Ue punta a semplificare gli oneri burocratici, esonerando la maggior parte delle imprese dall'applicazione delle direttive sulla sostenibilità societaria. Ma questo indebolisce il Green Deal.

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Il nuovo pacchetto legislativo Omnibus presentato ieri dalla Commissione europea, insieme al Clean Industrial Deal e al Piano d’azione per l’energia a prezzi accessibili, è un passo indietro rispetto al Green Deal?

Per molti commentatori la risposta è “sì”, perché la maggior parte delle aziende, con le semplificazioni proposte da Bruxelles, non sarà più tenuta a divulgare gli impatti ambientali e sociali delle proprie attività né quanto siano esposte ai rischi climatici. In questo senso, quindi, appare come un’eccessiva deregulation del settore.

Anche se il commissario per l’Economia, Valdis Dombrovskis (nella foto del titolo), ha puntualizzato che “il nostro programma di semplificazione non è la deregolamentazione”.

Critiche, intanto, sono arrivate anche sui piani per sostenere le industrie pulite e ridurre i costi energetici.

In particolare, si contesta la possibilità data agli Stati membri di sostenere direttamente gli investimenti nelle infrastrutture di esportazione di gas naturale liquefatto nei Paesi produttori.

“Mettiamo in guardia contro i piani per finanziare più infrastrutture Gnl e contro qualsiasi aspettativa che ciò possa aiutare a ridurre la volatilità dei prezzi dei combustibili fossili”, scrive SolarPower Europe.

Mentre l’European Environmental Bureau (EEB), rete europea di circa 180 associazioni ambientaliste, afferma che “investire denaro in infrastrutture di gas fossile all’estero mina gli obiettivi climatici, l’indipendenza energetica e ci blocca in mercati del gas volatili”.

Cosa propone Bruxelles nel pacchetto Omnibus

Il pacchetto Omnibus riguarda, in particolare, due direttive strettamente connesse: la CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) sulla rendicontazione societaria della sostenibilità e la CSDD (Corporate Sustainability Due Diligence) sugli obblighi di due diligence per sostenere le pratiche commerciali responsabili, ad esempio contro il lavoro forzato e la violazione dei diritti umani nelle catene di fornitura.

L’intento di Bruxelles è alleggerire gli oneri burocratici a carico delle imprese, esonerando quelle più piccole e focalizzando le normative sulle aziende di maggiori dimensioni, che presumibilmente hanno impatti più forti sull’ambiente.

Le proposte della Commissione, secondo le stime, farebbero risparmiare ogni anno circa 6,3 miliardi di euro di costi amministrativi. I provvedimenti saranno ora trasmessi al Parlamento e al Consiglio per essere discussi e approvati.

Tra le modifiche più importanti alla direttiva CSRD c’è quella di esonerare circa l’80% delle aziende dall’ambito di applicazione, concentrando gli obblighi di informativa sulla sostenibilità sulle aziende più grandi, con oltre mille dipendenti e un fatturato superiore a 50 milioni di euro.

Inoltre, si posticipano di due anni, fino al 2028, gli obblighi di informativa per le imprese che rientrano nell’ambito di applicazione della CSRD e che sono tenute a comunicare le informazioni dal 2026 o dal 2027.

Per quanto riguarda la direttiva CSDD, la Commissione Ue vuole circoscrivere gli obblighi di due diligence solo sui partner commerciali diretti delle aziende, oltre ad allungare da uno a cinque anni la frequenza con cui monitorare e valutare i rischi ambientali, sociali e di governance.

Altra proposta è ridurre gli oneri per le Pmi e le piccole a media capitalizzazione, limitando la quantità di informazioni che possono essere loro richieste dalle grandi imprese, nell’ambito della mappatura della catena di fornitori.

Da segnalare poi alcune proposte di modifica alla cosiddetta tassa alla frontiera sulla CO2, il CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism), che riguarderà le importazioni di determinati beni e prodotti tra cui acciaio, alluminio, cemento, fertilizzanti.

In particolare, Bruxelles vuole esentare circa il 90% degli importatori dal nuovo meccanismo. In sostanza, chi importa piccole quantità di merci – la soglia è fissata a 50 tonnellate annue – non dovrà sottostare al CBAM.

Le reazioni

Per Markus J. Beyrer, direttore generale di Business Europe, la confederazione delle imprese europee, il pacchetto Omnibus “riducendo gli oneri normativi e di reporting non necessari, consentirà alle aziende di contribuire in modo più efficace agli obiettivi di sostenibilità dell’Ue, preservando al contempo la competitività dell’economia”.

Di parere opposto Giorgia Ranzato, manager per la finanza sostenibile dell’organizzazione indipendente Transport & Environment, che parla di un “famigerato pacchetto Omnibus”, che rappresenta “un passo indietro per l’Europa”. Se approvata, “la nuova rendicontazione sulla sostenibilità riguarderà solo lo 0,02% delle aziende europee”, con il rischio di “una disastrosa mancanza di informazioni” sui criteri ESG che riguardano gli aspetti ambientali, sociali e di governance aziendale.

Molto critico anche il giudizio dell’European Environmental Bureau.

Secondo Faustine Bas-Defossez, direttrice dell’EEB per i temi su natura, salute e ambiente, “è ormai chiaro che la semplificazione è solo un cavallo di Troia per una deregolamentazione aggressiva”.

In soli quattro mesi, puntualizza, “la Commissione ha riscritto le norme Ue concordate senza alcun processo democratico, valutazione d’impatto o consultazione. Tutto ciò senza un briciolo di prova che queste regole ancora da implementare danneggerebbero la competitività. Ciò che questo pacchetto crea, tuttavia, è incertezza legale, premiando i ritardatari e penalizzando le aziende che si sono mosse per prime per monitorare e segnalare il loro impatto ambientale”.

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