Da Paesi fondamentali come Germania e Francia, da nazioni tendenzialmente favorevoli come la Norvegia, o da attori ancora marginali come Polonia e Romania, sembra proprio che il Green Deal europeo venga minacciato da più fronti.
Ago della bilancia il Gruppo PPE e il suo atteggiamento ostile verso il pacchetto di misure climatiche di Bruxelles, che non chiude le porte all’estrema destra e toglie alcune certezze a Ursula von der Leyen, ri-eletta presidente della Commissione europea con la promessa, sebbene più vaga del precedente quinquennio, di proseguire il lavoro, anche se con qualche paletto in più.
La proposta della destra francese: smantellare il Green Deal
Procediamo con ordine. La prima “grana” arriva dalla Francia, dove il leader dell’estrema destra Jordan Bardella sta provando a gettare le basi per una coalizione che smantelli il Green Deal.
Bardella, presidente del gruppo di estrema destra dell’Europarlamento “Patrioti per l’Europa” e presidente del Rassemblement National di Marine Le Pen, ha dichiarato che avrebbe chiesto a Manfred Weber, leader del Partito Popolare Europeo di centro-destra, di “unire le forze” e fermare gli sforzi dell’Ue per frenare il cambiamento climatico, descritti come “un limite alla crescita economica”.
Il leader francese ha anche citato la rielezione di Donald Trump come motivo per sospendere la legislazione ambientale comunitaria. Bardella, riferisce Politico, ha affermato che avrebbe scritto, oltre che a Weber, ad altri leader europei di destra per “proporre di unire le forze per proporre la sospensione del Green Deal in risposta alle misure estremamente vantaggiose per l’economia e per le imprese che Donald Trump sta per introdurre negli Stati Uniti”.
Le posizioni degli esponenti del PPE
L’estrema destra europea si oppone da tempo al Green Deal, ma i commenti di Bardella arrivano in un momento particolarmente delicato, visto che di recente diverse figure di spicco del PPE hanno chiesto revisioni della legislazione ambientale comunitaria.
Una risposta ufficiale non è ancora arrivata, anche se la proposta pare sia stata accolta tiepidamente dai Popolari. “A Bardella direi semplicemente di no. Abbiamo una visione completamente diversa sul Green Deal”, ha affermato l’eurodeputato Peter Liese (Germania/PPE) in una conferenza stampa del 27 gennaio, sottolineando che gli obiettivi climatici sono centrali nella strategia del blocco per ridurre le emissioni.
Lo scorso fine settimana, però, i leader del PPE riuniti hanno prodotto un documento in cui chiedono alla Commissione di rinviare di almeno due anni l’entrata in vigore delle norme sulla rendicontazione di sostenibilità delle imprese e sulla due diligence da parte delle grandi e medie aziende nel controllo delle loro catene del valore, nonché la nuova tassa sulle emissioni di carbonio alle frontiere dell’Ue (Cbam).
Il PPE insiste inoltre sul fatto che la politica climatica dell’Ue debba essere “tecnologicamente neutrale“, un modo con il quale si tende a difendere tecnologie meno efficaci in ottica di decarbonizzazione come la carbon capture o il nucleare, e ha chiesto che non vengano vietate tecnologie come i motori a combustione nelle automobili (ad oggi lo stop alle immatricolazioni di auto a motore endotermico è previsto per il 2035).
In una dichiarazione del 22 gennaio, inoltre, il primo ministro polacco Donald Tusk, membro di spicco del PPE, è sembrato attribuire la colpa degli alti prezzi dell’energia all’interno dell’Ue alla legislazione europea sul clima.
Ha chiesto una “revisione di tutti gli atti giuridici, compresi quelli previsti dal Green Deal” e “il coraggio di cambiare quelle regole che potrebbero comportare prezzi proibitivi dell’energia”.
Un altro politico del PPE, il ministro dell’Energia rumeno Sebastian Burduja, questa settimana ha dichiarato di star lavorando a un “rapporto dettagliato sugli effetti negativi delle politiche del Green Deal” per la Romania, elogiando contemporaneamente le riserve di gas naturale e la capacità di produzione di energia elettrica a carbone del Paese.
“Ciò che può frenarci è una burocrazia soffocante e un Green Deal che ignora le realtà sul campo”, ha affermato. “Ecco perché ciò di cui c’è bisogno, come hanno affermato i leader del PPE, è un dibattito robusto su come e se l’Ue continuerà il Green Deal per i prossimi anni”.
L’incertezza arriva anche dalla Germania
Un colpo alle politiche climatiche arriva anche dalla Germania, Paese che ha contribuito alla strutturazione del Green Deal e che tra poco meno di un mese potrebbe vedere stravolti i propri piani a causa delle elezioni.
La maggioranza dei partiti tedeschi il 27 gennaio ha concordato di adottare misure correttive al quadro politico energetico del Paese, introducendo tagli ai sussidi per l’energia solare durante i periodi di prezzi negativi.
Altri aspetti riguardano alcune restrizioni relative ai permessi per le turbine eoliche, l’estensione dei permessi speciali per le centrali elettriche che generano sia elettricità che calore e misure per accelerare lo sviluppo di contatori intelligenti nel Paese.
Proprio gli impianti eolici sono diventati terreno di scontro elettorale. Alice Weidel, nominata la scorsa settimana candidata cancelliera dal partito di estrema destra tedesco Alternative für Deutschland (AfD), ha definito in campagna elettorale gli aerogeneratori “mulini a vento della vergogna” e ha promesso di demolirli se venisse eletta.
Appare chiaro che un eventuale successo elettorale di AfD sarebbe un’ulteriore minaccia al Green Deal europeo, facendogli mancare l’appoggio di uno dei Paesi cardine in questi anni.
La Norvegia preferirebbe isolarsi
Gli obiettivi comunitari vacillano anche di fronte alla reticenza della Norvegia a recepire le disposizioni europee che chiedono al Paese una maggiore integrazione nei mercati dell’energia. Il Paese non è membro dell’Ue, ma fa parte del mercato energetico comunitario interno attraverso un accordo di libero scambio.
“La nostra posizione di base è che dare più potere all’Ue sia sbagliato”, ha dichiarato il ministro delle Finanze Trygve Slagsvold Vedum, aggiungendo che il suo obiettivo è mantenere il controllo nazionale sulle politiche energetiche per facilitare prezzi bassi e competitivi per i consumatori norvegesi.
“Tutti coloro che hanno seguito il dibattito sui prezzi dell’energia in Norvegia negli ultimi anni – ha concluso – hanno visto quanto sia diventato disfunzionale il mercato energetico norvegese quando ci siamo integrati con il mercato energetico dell’Ue”.
La Norvegia è un importante esportatore di elettricità verso i Paesi circostanti, vista anche l’enorme disponibilità di energia idroelettrica, ma quando aiuta i suoi vicini a colmare le loro lacune di approvvigionamento energetico, i suoi prezzi aumentano di conseguenza.
Secondo Vedum i nuovi collegamenti elettrici con il Regno Unito e la Germania hanno inciso sugli aumenti a livello locale. Lo scorso dicembre i prezzi dell’energia elettrica hanno superato i 100 €/MWh, generando diversi malumori.
L’attuazione delle richieste europee di una maggiore integrazione è però destinata a diventare un tema di campagna elettorale in vista della chiamata alle urne di settembre, con il ministro delle Finanze che ha invitato a “rimandare l’intero pacchetto a dopo le elezioni”.