Finanza, troppo greenwashing tra i fondi di investimento “per il clima”

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Su 130 fondi di investimento a tema climatico, più della metà non è in linea con gli obiettivi di Parigi e diversi continuano a investire in fossili, mostra una nuova analisi di InfluenceMap.

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La maggior parte dei fondi di investimento a tema climatico in realtà non è coerente gli obiettivi dell’accordo di Parigi.

A denunciarlo una nuova analisi del think tank InfluenceMap (link in basso) dalla quale emerge che tra i cinque maggiori gestori che offrono questi fondi, State Street Corporation è il più disallineato, seguito da UBS Group e poi da BlackRock (vedi grafico).

La ricerca ha analizzato 723 fondi con un patrimonio totale in gestione di oltre 330 miliardi di dollari. Di questi, 593 sono stati considerati fondi “ESG” ampi, mentre i restanti 130 sono stati classificati come a tema climatico a partire da come sono presentati al mercato in termini di parole chiave nel loro titolo, come ‘low carbon’, ‘fossil fuel free’, ‘green energy’ e altri (un elenco completo di parole chiave e categorie è incluso nella metodologia del rapporto).

Dall’analisi emerge che di questi 130 fondi a tema climatico, più della metà (72) ha avuto un punteggio di allineamento all’Accordo di Parigi negativo, cioè questi fondi sostengono investimenti che impedirebbero di raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni deciso alla CoP 21.

C’è, leggiamo dalle conclusioni del report, “la necessità di una più stretta supervisione del settore”, supervisione – si osserva – che a livello normativo di fatto avviene solo in Ue, attraverso meccanismi come l’SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation) e la Tassonomia, e, nei primi passi, nel Regno Unito.

Tra i problemi principali da risolvere – si indica – ci sono la prevalenza di fondi indicizzati rettificati e una mancanza di trasparenza sulla misura in cui le strategie dei fondi cercano di raggiungere l’allineamento climatico.

Una gran parte dei fondi analizzati nel rapporto mostra infatti punteggi di allineamento climatico simili a quelli del mercato più ampio, cioè inadeguati agli impegni sul clima. Questo – si spiega – è in gran parte il risultato della prevalenza di strategie passive che cercano di monitorare gli indici di mercato applicando criteri di esclusione e/o ponderazione.

Nel caso di strategie di ponderazione, un fondo continuerà a detenere le stesse società del benchmark sottostante, con aggiustamenti di ponderazione, portando solo a cambiamenti marginali nell’azionariato delle società disallineate.

Le strategie di esclusione – osservano gli autori del report – non funzionano molto meglio, con molti fondi “senza riserve di combustibili fossili” che continuano a investire nel downstream fossile e fondi “a basse emissioni di carbonio” che si disinvestono dalla catena del valore dei combustibili fossili ma continuano a detenere partecipazioni problematiche nel settore automobilistico e dell’energia.

I 130 fondi a tema climatico – mostra la ricerca – detengono complessivamente 153 milioni di dollari in società delle fossili, tra cui TotalEnergies, Kinder Morgan, Enbridge, Neste, Halliburton, Chevron ed ExxonMobil.

Ma va detto che ci sono fondi e fondi: il punteggio più basso, cioè dove c’è meno coerenza con il target sul clima, è stato di -42%, mentre il miglior fondo ha un punteggio di +90% (vedi grafico).

All’interno dei fondi a tema climatico, quelli che vengono commercializzati come fondi per l'”energia pulita” sono i più in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (grafico sotto). Invece, i quattro fondi che si sono promossi come “allineati a Parigi” sono stati in media tra i più disallineati.

Alcuni dei fondi classificati come “fossil fuel restricted”, ossia preclusi ai combustibili fossili, mostra il report, detengono invece azioni di raffinerie e distributori di petrolio, come Marathon Petroleum Corporation e Phillips 66: due società, osserva Influence Map, che contrastano attivamente la politica climatica attraverso sforzi di lobby.

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