Evoluzione delle comunità energetiche: riusciranno i cittadini a essere protagonisti?

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Ad alcune cooperative e società, già attori del settore, abbiamo chiesto se e come cambierà il proprio modello di sviluppo dopo il recepimento della Direttiva UE 2018/2001.

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Uno studio appena pubblicato descrive la nascita e l’evoluzione delle Comunità energetiche in Italia.

Sulla base di questo lavoro, QualEnergia.it ha chiesto ai principali protagonisti del settore se e come cambierà il loro modello di sviluppo dopo il recepimento della Direttiva UE 2018/2001.

Diciamo subito che, mentre sono molto diffuse nel nord Europa (in Germania se ne contano oltre 800 che coinvolgono circa il 34% della popolazione), in Italia le iniziative di Comunità energetica (CE) sono poche e diversificate quanto a struttura organizzativa, processo decisionale, tipologia dell’offerta di servizi e benefici ai propri soci.

Chiara Candelise e Gianluca Ruggieri hanno identificato quindi le 17 Comunità Energetiche che si sono costituite in Italia a partire dal 2007 e le hanno descritte nel paper dal titolo “Status and Evolution of the Community Energy Sector in Italy” (allegato in basso).

Nate per lo più con l’introduzione del meccanismo del Conto Energia FV, dal 2013 queste hanno per la gran parte esaurito la loro forza propulsiva limitandosi a mantenere la posizione acquisita. Nonostante avessero una dimensione locale la maggior parte di queste iniziative non sono nate dal basso, ma promosse e guidate da pubbliche amministrazioni o imprese private.

Come per le Comunità Energetiche europee, la cooperativa è stata la forma giuridica più utilizzata. Come evidenziano i ricercatori, la regola “una testa un voto” non implica necessariamente un alto livello di partecipazione dei cittadini/soci nei processi decisionali, che dipende invece dalle pratiche adottate.

È altresì evidente che le iniziative promosse da imprese con un forte approccio top-down sono state sviluppate con un basso coinvolgimento dei cittadini/soci.

Lo studio si concentra sulle esperienze che hanno proseguito la loro evoluzione dopo il 2013, come ènostra e WeForGreen, o che sono nate dopo tale data come Energia Positiva.

Vediamo quali sono le caratteristiche che le contraddistinguono.

Retenergie ed ènostra

Costituita nel 2015, nel 2018 la coop ènostra ha incorporato Retenergie, i suoi soci e i suoi impianti integrando alla produzione la vendita dell’energia.

Nata nel 2009 nel contesto piemontese come evoluzione dell’associazione Solare Collettivo, Retenergie sviluppa nel proprio territorio 5 dei 7 impianti FV realizzati fino al 2012. Con la fine del sistema incentivante, a partire dal 2013 la cooperativa acquisisce sul mercato secondario altri 5 impianti FV nel centro e sud Italia, realizza una turbina eolica in Sardegna e investe in un progetto di riqualificazione energetica in Veneto.

Gli impianti di produzione, che attualmente costituiscono la dotazione di ènostra, sono stati finanziati per il 70% con il contributo dei soci e con il ricorso al prestito bancario per la restante parte. I soci possono partecipare agli investimenti in nuova potenza rinnovabile acquisendo quote di capitale di sovvenzione (500 € la quota minima) o attraverso il prestito sociale (remunerato tra l’1,5 e il 3% per periodi dai 3 ai 6 anni).

Si tratta attualmente dell’unico caso in Italia di organizzazione che produce e vende energia da fonte rinnovabile oltre ad erogare servizi energetici ai propri soci (con quota sociale di 50 €). L’energia prodotta dagli impianti copre circa il 15% del fabbisogno energetico dei quasi 4.400 soci (al 2018).

WeForGreen

Nata nel 2010 come spinoff di una multiutility veneta, ForGreen Spa è una Società Benefit che realizza impianti finanziandoli autonomamente. L’apertura all’azionariato diffuso avviene in un secondo tempo attraverso la costituzione di una cooperativa per ogni progetto.

L’idea di base è che chi non può o non vuole realizzare un proprio impianto FV può acquisire quote della cooperativa in proporzione all’energia che consuma: 3.600 € è la quota minima, che corrisponde a 1 kWp e dà diritto alla erogazione gratuita di 1.000 kWh annui.

Dei 3.600 euro, 1.000 sono versati in conto capitale sociale e 2.600€ quale prestito sociale. Oltre al risparmio in bolletta e alla eventuale distribuzione di utili, i soci annualmente ricevono un riconoscimento del 5% sulla quota di prestito sociale. L’energia prodotta è acquistata da ForGreen Spa che emette le bollette ai soci delle cooperative.

Il primo impianto fotovoltaico da 1 MW di potenza nasce nel 2011 nella provincia di Verona con il contributo di una società finanziaria locale (Finval). Energyland è il nome della cooperativa, che si rivolge prevalentemente a soci residenti nell’area. L’idea iniziale era di coinvolgere 333 soci a copertura totale dell’investimento (3,6 M€), ma solo 123 soci hanno contribuito per circa 1 M€. Il ritorno annuo dell’investimento, tutto considerato, va dal 6,5% all’8,8%.

Con lo stesso schema, nel 2011 ForGreen realizza un nuovo impianto FV da 1 MWp in Puglia e nel 2014 costituisce la nuova cooperativa (Masseria del Sole). Anche in questo caso, in luogo dei 300 soci previsti, solo 187 partecipano alla cooperativa. Il ritorno annuo previsto per i soci, tutto considerato, è di circa l’8% annuo.

Nel 2015 viene fondata WeForGreen, una nuova cooperativa che funge da ombrello per tutti i progetti. Gestisce i due precedenti e ne sviluppa altri tre, simili ai primi, per complessivi 3 MW: Fattoria del Sole di Ugento e due Fattorie del Salento.

Attraverso ForGreen Spa, WeForGreen vende energia rinnovabile ai membri delle cooperative che possono essere soci auto-produttori (avendo acquisito le quote) o soci consumatori (limitandosi all’acquisto di energia da ForGreen).

Energia Positiva

Energia Positiva è stata fondata e promossa su iniziativa individuale con l’obiettivo, si legge nello statuto, di “portare sul mercato un’iniziativa partecipativa, che potrebbe portare benefici non solo all’ambiente ma all’intera collettività”.

Ha iniziato la sua attività nel 2016, sviluppando una nuova turbina eolica, a Muro Lucano (19,98 kWp per una produzione annua prevista di circa 64 MWh) che ha richiesto un investimento di 126mila € ed è stata la prima di una serie di progetti.

Alla fine del 2019 Energia Positiva aveva sviluppato 15 progetti, 10 dei quali sono impianti fotovoltaici acquisiti sul mercato secondario che beneficiano dell’incentivazione (per un totale di circa 1,5 MWp). La cooperativa ha inoltre acquisito un’ulteriore turbina eolica da 20 kW e sviluppato quattro progetti di risparmio energetico. A gennaio 2020, Energia Positiva registra un investimento totale di quasi 5 M€ da 415 membri (investimento medio di circa 12.000 € per membro).

La cooperativa gestisce la fatturazione ai propri soci (solo utenze private) in collaborazione con Dolomiti Energia. Per espandere ulteriormente le proprie attività i promotori hanno recentemente costituito una seconda cooperativa (EpCo) dedicata alle utenze commerciali.

Con qualche analogia con il modello di WeForGreen, per diventare soci di Energia Positiva si acquisiscono quote legate al progetto specifico diventando proprietari di un impianto virtuale di produzione di energia che dà diritto a una riduzione annuale della bolletta pari al 5% dell’investimento.

I soci possono acquistare un numero di quote non superiore al consumo annuo di energia. In quanto startup innovativa, l’investimento dà diritto al credito fiscale del 30% (mantenendo la partecipazione per almeno 3 anni). Tutto quanto considerato, un investimento di 10.500 € per 10 anni promette un ritorno annuo di circa il 9%.

Cosa succederà dopo il recepimento della direttiva sulle Comunità Energetiche?

Ancorché diversa per tipologia di forma giuridica adottata, per l’approccio più o meno partecipativo nel processo decisionale e per la varietà dell’offerta ai soci, ciascuna iniziativa è caratterizzata da un percorso che inizialmente localizza gli impianti nelle immediate vicinanze dei promotori e dei soci fondatori, ma che in seguito si espande sul territorio nazionale perdendo in qualche modo lo spirito comunitario.

Le tre realtà si rivolgono prevalentemente al mercato secondario, ricercando il progetto più vantaggioso a scapito della sua connessione con i soci sul territorio. Per contro, acquisendo gli impianti sulla scala nazionale e ampliando l’offerta, possono puntare ad economie di scala interessanti. Infine, tutte si sono organizzate per vendere ai propri soci l’energia prodotta, anche se con modalità diverse.

Come noto, secondo la direttiva UE 2018/2001, le comunità Energetiche di Cittadini (CEC) e le Comunità Energetiche Rinnovabili (REC) sono definite come:

  • entità giuridiche basate sulla partecipazione aperta e volontaria da parte degli utenti situati nelle vicinanze dell’impianto di produzione rinnovabile che appartengono o sono sviluppati dalle stesse;
  • i membri della comunità possono essere persone fisiche, PMI o autorità locali e l’obiettivo principale è fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera, piuttosto che profitti finanziari.

Tuttavia, come specificato da Arera, la REC è una sorta di autoconsumatore/aggregatore no-profit chiuso, che non prevede la distribuzione dell’energia, mentre la CEC include anche la possibilità di possedere e gestire la rete di distribuzione. Fatto non secondario, la CEC può essere realizzata anche con impianti alimentati da fonti non rinnovabili.

Abbiamo chiesto a ènostra, Energia Positiva e WeForGreen come prevedono che cambierà il loro modello di sviluppo con il recepimento della nuova Direttiva.

“Ènostra continuerà ad essere una cooperativa energetica che opera alla scala nazionale”, spiega Sara Capuzzo, Presidente di ènostra.

“Abbiamo in fase di realizzazione un progetto eolico da 500 kWp in provincia di Taranto e un fotovoltaico su tetto da 840 kWp a Brindisi. Abbiamo anche attivato un comparto che offrirà consulenza e supporto e all’attivazione di Comunità Energetiche Rinnovabili, assecondando le sollecitazioni che già ci arrivano dai territori, in particolare dagli enti locali. In questi mesi stiamo lavorando a un progetto pilota di autoconsumo collettivo e a un paio di progetti di REC che speriamo potranno decollare entro l’anno. In questa fase transitoria, l’attuazione del decreto Milleproroghe, che anticipa alcuni aspetti della Direttiva REDII, contribuirà a definire e risolvere alcuni aspetti burocratici e attuativi. La consulenza per la creazione di Comunità Energetiche si aggiunge alla produzione e vendita di energia, ai servizi energetici ai soci e ai percorsi di sensibilizzazione e formazione volti a contrastare la povertà energetica grazie alla promozione di buone pratiche e soluzioni per un uso razionale delle risorse.”

L’idea è quella di realizzare gli impianti e diventare fornitori di energia per le REC?

“Poiché in base alla Direttiva i membri delle REC devono mantenere la libertà e il diritto di scegliere il proprio fornitore energetico senza vincoli, immaginiamo il servizio una prestazione indipendente dalla vendita di energia. Tuttavia – conferma la presidente di ènostra – è allo studio una tariffa specifica dedicata a questo target, così come già avviene per i soci sovventori di ènostra. Infine, laddove le comunità locali siano alla ricerca di partner, la cooperativa è disponibile a valutare la possibilità di finanziare la realizzazione degli impianti di produzione della REC.”

Per Alberto e Claudio Gastaldo, rispettivamente Presidente e Responsabile Sviluppo di Energia Positiva “l’apertura alle REC è una speranza e una nuova possibilità futura”.

“Energia Positiva nasce con l’idea di superare il concetto di territorialità, che consideravamo un limite”, ci dicono. “Stiamo seguendo da vicino l’evoluzione normativa e la relativa discussione. Su proposta di un nostro socio abbiamo partecipato al bando RSE per la selezione di progetti pilota in materia di autoconsumo collettivo condominiale o di edificio, e il nostro progetto è stato selezionato. Sono scaturiti dalle proposte dei nostri soci anche i diversi interventi di risparmio energetico sin qui realizzati per piccole aziende, condomini ed enti pubblici. Questa è la strada. Siamo fiduciosi di poter contribuire in futuro alla realizzazione di comunità energetiche proprio attivando i nostri soci distribuiti sul territorio nazionale. Potremo sviluppare progetti locali senza rinunciare alla nostra dimensione nazionale.”

Vincenzo Scotti, AD di ForGreen Spa e vice-presidente di WeForGreen Sharing, pare trovarsi già perfettamente a suo agio con le Comunità Energetiche: “Il nostro modello è legato alla necessaria integrazione tra le competenze dell’impresa e delle persone e le comunità locali. Le comunità energetiche sono piccole imprese energetiche che necessitano di un modello gestionale per l’intera filiera”.

“ForGreen Spa – ci dice – travasa all’interno delle comunità energetiche il know how gestionale per far sì che le comunità funzionino. La direttiva potrà maggiormente sensibilizzare i territori, ma se vengono posti dei limiti tecnici all’autoconsumo e al transito dell’energia dalla rete allora sarà difficile.”

Si riferisce al limite massimo dei 200 kWp? Non pensa che piccoli impianti magari condominiali potrebbero essere gestiti direttamente dai cittadini senza l’intervento dell’impresa?

“La logica che ci deve guidare deve essere coerente con il fatto che ci stiamo mettendo sul tetto una piccola centrale di produzione, che necessita di competenze per la sua gestione, manutenzione, efficienza. In questo senso anche una cooperativa o un condominio sono un’impresa. Diciamo che l’impresa si deve riposizionare in una relazione differente con il cliente, che è socio. Questo è stato l’approccio di ForGreen Spa, che è una Società Benefit, la cui gestione richiede ai manager il bilanciamento tra l’interesse dei soci e l’interesse della collettività e un elevato livello di condivisione delle informazioni. Bisogna innestare un po’ di cultura energetica nella collettività e la nuova normativa potrà essere un buon veicolo.”

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