Energie rinnovabili da filiere locali per il rilancio dei territori montani

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Biomassa da filiere corte e sostenibili, bacini di pompaggio con fotovoltaico galleggiante, “comunità verdi” e montagna come hub dell’idrogeno da rinnovabili: ecco alcune delle ricette di UNCEM per mettere i territori montani al centro della transizione energetica.

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Quale può essere il ruolo giocato dai territori montani nella transizione energetica?

Non è un elenco della spesa”: è questa la precisazione che introduce il nuovo documento prodotto da UNCEM (Unione nazionale Comuni Comunità Enti montani), dal titolo “La Montagna e i territori green e intelligenti nel Piano Nazionale Ripresa e Resilienza” (allegato in basso).

Tramite questa iniziativa, UNCEM individua e dettaglia una serie di proposte per costruire il PNRR anche per lo sviluppo green di queste importante aree del nostro paese.

Comunità “verdi”

Un focus specifico del documento UNCEM verte su quelle che vengono definite “Green communities”, come previste e delineate dalla legge nazionale vigente 221 del 2015.

Bisogna dire che il percorso per la costruzione di queste comunità energetiche e verdi non è tracciato con precisione nel documento, ma si individuano alcuni punti fermi attorno ai quali questo obiettivo deve ruotare: lo sfruttamento delle risorse naturali disponibili localmente, con particolare riferimento alle biomasse, l’attivazione di filiere complete e, non di certo ultimo in termine di importanza, il coinvolgimento della popolazione.

Con riferimento all’aspetto delle filiere, in particolare relativamente a quella bosco-edificio-energia, si indica la necessità di incentivare le costruzioni in legno, di tipo NZEB (Nearly Zero Energy Buildings), anche con specifiche misure di defiscalizzazione, sul modello del “Superbonus” per le ristrutturazioni, da estendere fino al 2027, per cercare di sfruttare il potenziale di 11 milioni di ettari di bosco, a oggi in gran parte improduttivo, anche con la realizzazione delle cosiddette “segherie di valle”.

Tutto ciò con la visione, per usare le parole del documento stesso, di “territori e montagne intelligenti e sostenibili, a prova di futuro, in dialogo con le aree urbane e metropolitane”.

Sostituire fonti fossili, risparmiando energia e denaro

Il documento indica poi tre grandi assi sui quali fondare e sostenere la transizione ecologica dei territori montani.

Il primo di questi assi si focalizza sul tema energetico, incentrandosi da un lato sulla riduzione dei consumi e, dall’altro, sull’incremento della produzione da fonti rinnovabili, con assoluta priorità alla generazione da risorse locali.

All’interno di questo asse, poi, UNCEM chiede di lavorare su tre macro-settori, il primo dei quali, già sopra introdotto, è quello delle biomasse. Su questo aspetto si segnala, innanzitutto, un enorme potenziale di utilizzo, e di conseguente risparmio energetico ed economico, in sostituzione di vettori fossili costosi e inquinanti, a oggi ancora estremamente diffusi nelle aree montane, come gasolio, GPL e olio combustibile.

Tale produzione energetica, quindi, potrebbe essere rilevata da moderni impianti alimentati a biomasse legnose locali, provenienti da attività agricole o forestali. Tra queste risorse, senza dubbio la più promettente è quella del legno cippato, da ottenere come sottoprodotto dei prelievi forestali e delle attività di manutenzione delle coltivazioni legnose agricole.

Per quanto riguarda, poi, le applicazioni e l’impiego dell’energia prodotta, le aree di maggiore interesse sono quelle della climatizzazione invernale, sia per utenti residenziali sia per strutture ricettive come alberghi e agriturismi, e del calore di processo nei settori industriale e agroindustriale.

L’associazione di categoria AIEL ha stimato, per i prossimi 5 anni, un potenziale di almeno 100 impianti all’anno, con una potenza media di 750 kW termici, corrispondente a una produzione media per impianto pari a 1.500 MWh/anno.

In merito alle utenze pubbliche, inoltre, l’attenzione si concentra sui 487 Comuni in fascia climatica F e con popolazione inferiore ai 1.000 abitanti: in molte di queste situazioni esistono condizioni favorevoli per la realizzazione di impianti a legno cippato di provenienza locale che alimentino piccole reti di teleriscaldamento pubblico-private. In Italia esistono già almeno 200 impianti di questo tipo in esercizio, con una potenza che va da poche centinaia di kW ad alcuni MW.

Si sottolinea, infine, come l’implementazione di queste mini-reti di teleriscaldamento gioverebbe al bilancio energetico, economico e ambientale dei territori non solo qualora si vadano a sostituire i combustibili fossili sopra elencati, ma anche nel caso in cui impianti centralizzati, con ottimi livelli di efficienza operativa e con moderni sistemi di controllo del combustibile legnoso e di abbattimento delle emissioni, sostituiscano la produzione energetica attualmente a carico di un elevato numero di stufe e caldaie singole, spesso non controllate e mal manutenute.

In montagna si respira… idrogeno

Il secondo settore prioritario segnalato da UNCEM in ambito energetico è quello dell’idrogeno, indicato come “certamente una strada da percorrere nella transizione green”.

La montagna, infatti, presenta un territorio ricco di acqua ed energia elettrica e, perciò, si candida a contesto ideale per la realizzazione di impianti per la produzione e la distribuzione di idrogeno. La generazione dovrebbe avvenire mediante elettrolisi da elettricità rinnovabile, e l’idrogeno prodotto dovrebbe poi essere immagazzinato in bombole o depositi sotterranei, e convertito poi in elettricità tramite l’impiego di celle a combustibile.

Ciò avrebbe anche un legame con la mobilità sostenibile, in quanto l’idrogeno prodotto potrebbe poi alimentare treni che attraversano Alpi e Appennini.

Bacini idrici e fotovoltaico galleggiante

Il terzo e ultimo settore energetico sul quale UNCEM chiede di concentrare l’attenzione, infine, è quello degli impianti idroelettrici, in particolare sul tema dei pompaggi.

Poiché, infatti, puntare sull’idrogeno potrebbe essere una scelta quasi obbligata per Paesi poco montuosi, l’Italia presenta un’enorme ricchezza di bacini idrici in altura, siano essi esistenti o ancora da sfruttare. Pompando l’acqua in alto quando l’energia rinnovabile è in eccesso e facendola poi ricadere in turbine idrauliche quando manca, allora, tali bacini potrebbero svolgere la funzione di accumulo di lungo periodo, ottenendo una conversione energetica con efficienze attorno all’80%. Si tratta di un valore doppio rispetto al 40% ottenuto dal ciclo dell’idrogeno, nel caso in cui non si recuperi l’energia termica dispersa nel processo.

UNCEM indica come strada maestra quella della realizzazione di impianti di pompaggio a circuito chiuso, vale a dire dotati di due bacini, uno in basso e uno almeno 100 metri più in alto e a pochi chilometri di distanza, in grado di scambiarsi acqua per accumulare energia.

Il documento segnala un potenziale di accumulo idroelettrico pari a 79 TWh/anno (contro i 2 TWh/anno disponibili attualmente): questa quantità corrisponde a un quarto dei consumi totali nazionali e, soprattutto, si dimostrerebbe più che sufficiente a soddisfare le esigenze di bilanciamento di una rete elettrica alimentata al 100% da fonti energetiche rinnovabili soprattutto di tipo intermittente.

Nei bacini idrici, inoltre, si potrebbero installare impianti fotovoltaici galleggianti, che oltre a incrementare la produzione da rinnovabili senza gravare sul consumo di suolo, ne ridurrebbero le perdite per evaporazione.

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