In un mondo ideale non ci sarebbe bisogno di trovare altri motivi per investire nelle energie rinnovabili.
Se non fossero bastate l’emergenza climatica, quella ambientale e quella sanitaria da inquinamento, tutte risolvibili abbandonando i combustibili fossili, e l’emergenza bellico-geopolitica, svelando la pericolosa dipendenza da gas e petrolio, adesso abbiamo un’altra e fondamentale ragione per puntare su sole, vento, geotermia e tutte le altre energie che non emettono CO2 e che possono essere installate sulla scala dei GW in tempi brevi.
Eppure, c’è ancora qualcuno che storce il naso riguardo all’idea di investire i propri risparmi in titoli e fondi che puntino su ciò che serve a sostenere la transizione energetica.
Per loro arriva a fagiolo una ricerca (link in basso) condotta da Frédéric Blanc-Brude, direttore della EDHECinfra, una Scuola di Economia francese, che svela come l’investimento monetario in rinnovabili, in effetti, sia stato uno dei più redditizi in questi ultimi anni, e si appresta ora a diventare uno dei più sicuri.
Se quindi le sorti dell’Umanità e della Natura, non vi inducono ad aprire il portafoglio e investire in rinnovabili, forse lo farà la prospettiva di ritrovarvi con il conto in banca un po’ più gonfio, senza mettere a rischio il denaro investito.
E, a parte gli interessi personali, la notizia che gli investimenti in energia verde sono un buon affare è positiva, anche perché solo in Europa serviranno ogni anno in media 200 miliardi di euro dai privati per sostenere la transizione energetica da qui al 2030, come previsto dai piani dell’Unione.
“Nel nostro recente lavoro, abbiamo studiato i rendimenti attesi e le prestazioni effettive delle infrastrutture a energia verde rispetto alle infrastrutture a energia fossile fra il 2011 e il 2021”, spiega Blanc-Brude.
“La questione del ritorno sull’investimento è cruciale, poiché gli investimenti in progetti di energia eolica e solare rappresentano attualmente tra il 25 e il 33% di tutti gli investimenti infrastrutturali e si prevede che la loro crescita acceleri: quindi ogni prova che siano redditizi e sicuri, faciliterà la raccolta dei capitali necessari”.
In effetti se si spulcia un po’ su internet, si scopre che nei siti che invitano ad “investire verde”, si sostiene che questo tipo di investimenti sia fra i migliori in assoluto, e molto più redditizi di quelli in titoli sulle energie fossili.
“Non è proprio così, ma quasi. Se nel 2011 i progetti di energia eolica e solare hanno avuto un rendimento dell’8% rispetto al 9% per i progetti di energia fossile, dopo 10 anni i due tipi di investimento sono diventati molto più remunerativi, salendo rispettivamente al 16% e del 17% nel 2021 di ritorno annuo”, segnala Blanc-Brude.
“Queste due cifre – continua l’economista – possono sembrare simili, ma ci sono altri fattori da prendere in considerazione prima di decidere su che lato puntare i propri soldi. In particolare, bisogna considerare che ormai i progetti sui combustibili fossili sono piuttosto impopolari e sempre più soggetti a ostacoli normativi e tasse ambientali, come la tassa sul carbonio in Francia e quella che dal 2026 sarà introdotta a livello di Unione Europea”.
Questi fattori sembrano essere ben chiari agli investitori, che, dopo un 2019 in cui sembravano essersi un po’ allontanati dalle rinnovabili, a partire dal 2020 hanno cominciato a preferire il verde al nero: quell’anno nel mondo sul primo sono stati puntati 500 miliardi di dollari, contro i 400 miliardi di dollari per petrolio e gas.
“E il trend è via via cresciuto: nella prima metà del 2022, gli investimenti verdi hanno totalizzato 226 miliardi di dollari, con un aumento dell’11% su base annua, secondo un rapporto BloombergNEF pubblicato ad agosto. In particolare, gli investimenti sui progetti solari hanno raggiunto i 120 miliardi, con un +33%, mentre ai progetti eolici ne sono andati 84 miliardi, +16%. Su circa 350 portafogli di attività, come fondi pensioni e società finanziarie, abbiamo rilevato che le rinnovabili rappresentano ormai tra il 25 e il 33% degli investimenti, ma anche che i combustibili fossili rappresentavano appena dall’1 al 3% dei portafogli, anche se tra gli investitori nordamericani questa percentuale è molto più alta”, spiega il direttore della EDHECinfra.
Tutto questo indica che gli investitori professionali sono più che convinti che investire in sole e vento sia più redditizio ormai che puntare sulle vecchie fonti energetiche, che, del resto sono diventate così malviste che aggiungendone troppo nel portafoglio si rischia di allontanare la clientela.“In parte è anche un fenomeno dovuto al fatto che per molti anni la domanda di capitali nel settore rinnovabili è stata superiore all’offerta, e quindi, per attirare gli investimenti, i rendimenti offerti sono stati maggiori”, dice Blanc-Brude.
Insomma, il “sogno finanziario” degli ambientalisti si è praticamente realizzato: crescono a valanga gli investimenti per la transizione energetica, e si stanno riducendo quelli per i fossili. Il punto è: durerà questa situazione?Al momento ci sono due tendenze contrapposte che si contendono il portafoglio globale.
Da una parte l’aggressione all’Ucraina e i ricatti russi sull’energia fossile stanno accelerando l’investimento in rinnovabili in tutto il mondo. Una tendenza sostenuta anche dal piano Biden (Inflation Reduction Act) per le infrastrutture negli Usa, pensato sia per rispondere alla sfida climatica, che per rilanciare l’industria americana di rinnovabili e tecnologie verdi.
Dall’altra parte, però, prima di arrivare al giorno in cui potremo spegnere l’ultima raffineria di petrolio o centrale a gas o carbone, occorrerà continuare a rifornirci di queste materie prime, in un mondo in cui l’offerta di metano e petrolio è stata bruscamente mutilata dalle vicende belliche e dalle sanzioni alla Russia, oltre che dal calo degli investimenti di cui si diceva prima.
Serviranno capitali freschi per la realizzazione accelerata di nuove infrastrutture per la produzione, il trasporto e l’utilizzo di questi combustibili fossili, che tengano conto delle nuove rotte e delle nuove modalità di approvvigionamento (essenzialmente, meno gasdotti e più GNL), oltre che per sviluppare nuovi giacimenti al di fuori della Russia.
“Quei fattori contano, ma ce n’è un altro che spinge al ribasso i rendimenti in energie verdi, che si sarebbe verificato anche senza la vicenda ucraina: il progressivo convergere fra domanda e offerta in quel settore.
In altre parole, è in corso la ‘normalizzazione’ di questo tipo di investimento, chiudendo il periodo in cui era considerato innovativo, e quindi più rischioso, del puntare sulle fossili. Tale rischio, e la carenza di capitali rispetto alla domanda, veniva premiato con ritorni maggiori per l’investitore”.
“Questa fase eroica dell’investimento in rinnovabili è finita intorno al 2019 dice l’esperto – cioè da quando i rendimenti del settore hanno iniziato a calare: ora quello verde è considerato un settore sicuro, e come tale remunerato meno generosamente. Come sempre nel mondo finanziario, le performance passate non garantiscono quelle future, e questo vale anche per le rinnovabili”, conclude Blanc-Brude.
Insomma, anche se sarà difficile che si ottengano gli alti rendimenti ottenuti da quei coraggiosi che hanno puntato su solare ed eolico in passato, il settore “transizione energetica” è ormai gigantesco e inarrestabile, destinato a crescere esponenzialmente negli anni futuri, diventando sempre di più un porto sicuro, ed etico, per i propri capitali. E comunque ci sono e ci saranno anche tanti comparti innovativi in questo campo che potranno favorire nel medio-lungo periodo ottimi rendimenti.
Un investimento garantito, se vogliamo, dai tanti motivi per cui il mondo vuole voltare pagina, e liberarsi dal cappio di gas, petrolio e carbone.
- La ricerca The Pricing of Green Infrastructure (pdf)