Comunità energetiche rinnovabili, ecco perché le utility possono avere un ruolo chiave

Nello studio Agici-Accenture sulle Cer si raccomanda di coinvolgere maggiormente le aziende energetiche per espandere progetti e investimenti. La situazione in Italia e come far decollare più iniziative.

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Le comunità di energia rinnovabile (Cer) possono dare un forte contributo allo sviluppo delle rinnovabili in Italia, con un obiettivo di 5 GW totali di potenza installata al 2027, ma la loro diffusione è ancora limitata e mancano diverse misure per promuoverle tra cittadini e imprese.

A fare il punto su opportunità e prospettive del settore è il nuovo studio Agici-Accenture, intitolato “Modelli per promuovere le comunità energetiche: un’opportunità per le utilities” (link in basso).

Nello studio si raccomanda di puntare anche su due nuovi modelli – in aggiunta alle configurazioni esistenti – che prevedono un ruolo più centrale delle utility energetiche e quindi una maggiore scalabilità delle iniziative.

Uno è il “modello industriale”, rivolto in modo particolare ai distretti industriali e manifatturieri o alla pubblica amministrazione, dove il finanziamento degli impianti potrebbe essere a carico delle imprese partecipanti o della stessa utility.

L’altro modello proposto è quello “a piattaforma”, rivolto a cittadini e Pmi, promosso e finanziato da un player energetico, che detiene la proprietà dell’impianto.

Dalle analisi emerge che i 5 GW di rinnovabili nell’ambito delle comunità energetiche richiederebbero investimenti iniziali per 5-7 miliardi di euro, assicurando un beneficio economico annuale alle Cer stimato tra 1,3-1,5 miliardi, in base alle differenti configurazioni delle comunità.

Più in dettaglio, la stima dei benefici economici tiene conto di tre elementi:

  • incentivo Gse su autoconsumo virtuale
  • ricavi dalla vendita di energia immessa in rete
  • risparmi in bolletta grazie all’autoconsumo fisico (energia direttamente autoconsumata da chi la produce).

Considerando i costi di investimento iniziale e i costi di gestione, si ottiene un payback period di 5-8 anni, sempre in base ai differenti modelli di Cer.

Ricordiamo che l’ultima bozza di decreto attuativo sulle Cer, con le tariffe incentivanti per l’energia prodotta e condivisa e i contributi a fondo perduto fino al 40% dell’investimento (questi ultimi solo per le Cer realizzate nei Comuni sotto 5mila abitanti), è stata inviata dal ministero dell’Ambiente alla Commissione europea per l’approvazione a febbraio 2023.

Il documento Agici-Accenture evidenzia che sono stati stanziati oltre 2,6 miliardi di euro per lo sviluppo delle comunità energetiche, di cui circa 400 milioni di euro a livello regionale (80% dal Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale).

In particolare, stando al decreto in arrivo, 2,2 miliardi di euro sono previsti come contributo Pnrr destinato a Pubblica Amministrazione, famiglie e microimprese in comuni con meno di 5.000 abitanti, come detto, a copertura di un massimo del 40% dei costi ammissibili.

In aggiunta, nel decreto in arrivo il Gse riconosce un incentivo a tariffa sulla quota di energia condivisa in modo virtuale, che per gli impianti tra 200-600 kW di potenza arriva a un valore massimo di 110 €/MWh (quota fissa più quota variabile).

Al momento però, in Italia, osserva lo studio, ci sono soltanto 86 comunità energetiche, di cui appena 30 già attive, con una potenza totale installata di circa 60 MW e modelli di business poco scalabili, vale a dire, più difficili da espandere per ottimizzare i benefici economici.

Tali modelli sono essenzialmente tre: Cer a livello condominiale, comunità formate da cooperative e/o cittadini e comunità “municipali” costituite da edifici comunali, commercianti locali, cittadini.

Lo studio ha individuato diversi ostacoli alla realizzazione di comunità energetiche nel nostro Paese, tra cui:

  • un modello di set-up poco scalabile e non standardizzato;
  • un iter burocratico e operativo ancora troppo complesso sia per la fase di costituzione che nei rapporti con il Gse;
  • limitate competenze dei gestori;
  • limitata volontà di investire dei soggetti coinvolti;
  • scarsa disponibilità di impiantisti e materiali.

Ecco perché si suggerisce di coinvolgere maggiormente le utility.

Esse, infatti, possono offrire servizi tecnici (vendita, installazione e manutenzione), oltre che di supporto amministrativo, contrattuale e gestionale, che potrebbero facilitare la creazione di Cer “sostenibili” dal punto di vista economico.

L’installazione di impianti a fonti rinnovabili, si precisa nello studio, richiede investimenti iniziali consistenti, anche per impianti di piccola taglia (tra 55 e 205mila euro di investimento).

I player energetici quindi “possono essere facilitatori della creazione di Cer fungendo da investitori e/o intermediari per il recupero di fondi da enti finanziari, soprattutto a supporto dei cittadini”.

L’incentivo Gse per l’autoconsumo virtuale, infatti, “rappresenta una percentuale marginale sul totale dei guadagni di cui beneficia la comunità (non oltre il 15%)”, pertanto le comunità “che coinvolgono oltre ai cittadini anche PA o Pmi ottengono le performance migliori nel breve e lungo termine (payback period di circa 5 anni con un beneficio cumulato in 20 anni di oltre 300mila euro per singola comunità)”.

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