Tassa CO2 alle frontiere: l’Ue avanza, il mondo reagisce

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Mentre Consiglio e Parlamento raggiungono l’accordo politico sulle modifiche al meccanismo, molti Stati preparano le loro contromosse, tra canali diplomatici e nuovi sistemi Ets.

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Si appresta a percorrere l’ultimo miglio il lungo iter della tassa europea sul carbonio alle frontiere (Cbam, secondo il noto acronimo inglese).

Il Consiglio Ue e il Parlamento europeo hanno infatti raggiunto un accordo politico provvisorio sulle modifiche al regolamento 2023/956, istitutivo del meccanismo, secondo quanto proposto il 26 febbraio dalla Commissione von der Leyen con il pacchetto di semplificazione “Omnibus I” (testo disponibile in basso; per approfondire si veda CO2 alla frontiera, il Parlamento Ue approva le modifiche al Cbam).

Occorre ricordare che la sperimentazione della tassa, prima nel suo genere al mondo, è partita a ottobre 2023 e si concluderà a dicembre 2025. Dal 2026 il sistema entrerà in funzione definitivamente nell’Unione e dal 2027 anche nel Regno Unito e in Norvegia.

L’applicazione non sarà uguale a quanto avvenuto fino a oggi, però, visto che l’accordo raggiunto ieri da Parlamento e Consiglio introduce alcune novità.

La più sostanziale è che il regolamento non si applicherà sotto la soglia delle 50 tonnellate per importatore all’anno di merce introdotta in Europa. Se da un lato questo tetto “esenta il 90% degli importatori, principalmente piccole e medie imprese e privati”, le istituzioni sottolineano che queste società di import movimentano “solo piccole quantità di merci Cbam”.

Dunque, “l’ambizione climatica alla base del meccanismo rimane invariata, poiché il 99% delle emissioni totali di CO2 derivanti dalle importazioni di ferro, acciaio, alluminio, cemento e fertilizzanti sarà ancora coperto dal regolamento. I colegislatori hanno inoltre previsto garanzie su tale soglia per impedire l’elusione delle norme”.

Infine, in arrivo semplificazioni su processo di autorizzazione, calcolo delle emissioni e norme di verifica, nonché la responsabilità finanziaria dei dichiaranti Cbam autorizzati. A ciò si aggiungono precisazioni sul finanziamento dei costi sostenuti per l’istituzione, il funzionamento e la gestione della piattaforma centrale comune Cbam, che sarà utilizzata per la vendita dei relativi certificati.

Secondo Antonio Decaro, relatore del provvedimento al Parlamento Ue, “il Cbam è concepito per prevenire la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e proteggere le industrie europee del cemento, del ferro, dell’acciaio, dell’alluminio, dei fertilizzanti, dell’elettricità e dell’idrogeno. Abbiamo risposto alle richieste delle aziende di semplificare e snellire il processo”.

Poiché la tassa “coprirà comunque il 99% delle emissioni totali di CO2, manteniamo le ambizioni ambientali e rimaniamo pienamente impegnati a favore di una transizione giusta e del raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050″.

L’intesa politica di ieri dovrà essere formalizzata ufficialmente entro settembre, con le modifiche al regolamento che entreranno in vigore venti giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale Ue.

A inizio 2026, inoltre, la Commissione valuterà se estendere l’ambito di applicazione ad altri settori Ets e come aiutare gli esportatori di prodotti Cbam a rischio di rilocalizzazione delle emissioni.

La reazione del mondo alla tassa sulla CO2 sull’import

Detto di cosa sta facendo l’Europa sulla tassazione della CO2 alla frontiera, come stanno reagendo gli altri Stati e mercati a questa novità?

Una risposta prova a darla il centro di analisi e consulenza ucraino Gmk Center, che sul proprio sito web scrive: “Non sorprende che i Paesi stiano rispondendo attivamente, con reazioni che rientrano in diverse categorie. Queste vanno dall’opposizione legale e politica ai tentativi di introdurre strumenti nazionali di tassazione del carbonio, fino a tentativi di sviluppare sistemi nazionali simili”.

Più nel dettaglio, nel testo a firma dell’analista Andrii Glushchenko, si spiega ad esempio che India e Cina criticano il Cbam Ue, pur promuovendo propri sistemi di scambio di quote di emissione.

Contestazioni si registrano anche in Sudafrica e Russia. Questi Paesi, se si aggiungono Pechino e New Delhi, hanno fornito il 26,5% delle importazioni extra-Ue nel 2024 di prodotti soggetti al regolamento europeo.

L’India, per la quale questa tassa potrebbe rappresentare un ostacolo ai negoziati in corso per l’accordo di libero scambio con l’Ue, ha esortato un intervento dell’Organizzazione mondiale del commercio, dove la Russia ha già avviato un procedimento formale nel maggio 2025.

L’associazione siderurgica cinese, inoltre, definisce questo strumento europeo “una nuova barriera commerciale e chiede ulteriori colloqui su possibili esenzioni”.

Negli Stati Uniti, invece, si discute di “tassa sull’inquinamento da fonti straniere” che imporrebbe tariffe basate sull’intensità di carbonio dei beni importati, mentre Canada e Australia sono nelle fasi iniziali di sviluppo del proprio meccanismo. Taiwan, infine, intende elaborare una bozza di regolamento Cbam nella seconda metà del 2025.

Diversa la posizione della Turchia, rileva il Gmk Center, che lancerà un sistema pilota Ets nazionale nel 2025, in linea con le normative Ue per compensare le passività Cbam. Stessa strada è stata intrapresa dall’Indonesia.

Il Brasile ha approvato a maggio una legge per istituire un mercato regolamentato delle quote di emissione, mentre il Giappone è in fase più avanzata sul suo Ets e il Marocco dovrebbe concretizzare lo strumento nel 2026.

Infine l’Ucraina, particolarmente preoccupata per la potenziale perdita di export, sta creando un canale diplomatico con Bruxelles sul tema, al netto delle priorità di guerra, mentre la Corea del Sud, conclude l’analisi del centro di ricerca, ha istituito una task force dedicata al Cbam ed è impegnata in colloqui tecnici per garantire che il suo sistema nazionale di tariffazione del carbonio sia riconosciuto in base alle norme dell’Ue.

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