Cessione dei crediti e coperta fiscale corta: non si risolve il problema affossando il Superbonus

Oggi pomeriggio il governo incontra banche e associazioni del settore edile e impiantistico per cercare una soluzione, ma si continuano a cambiare le carte in tavola a partita in corso.

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Il decreto con cui venerdì 17 febbraio il governo ha bloccato per legge la cessione dei crediti legati ai bonus edilizi, Superbonus in primis, ha mandato in fibrillazione uno dei cuori pulsanti dell’economia italiana, il settore edilizio-impiantistico, già sotto stress per il precedente blocco di fatto di tali cessioni.

La motivazione per il divieto formale di cedere nuovi crediti d’imposta l’ha fornita la premier Giorgia Meloni in un post sui social media pubblicato ieri.

Nel suo preambolo, la premier ha criticato le presunte pecche del Superbonus, riferendosi soprattutto a una detrazione ritenuta troppo alta, a crediti che potevano essere ceduti “illimitatamente”, agli scarsi controlli iniziali e alle frodi che tali meccanismi avrebbero favorito. Tale dinamica avrebbe ingenerato, secondo la premier, una “bolla”, gonfiatasi fino a 105 miliardi di euro di crediti complessivi.

Meloni è quindi passata alla motivazione vera e più concreta del blocco formale della cessione dei crediti, spiegando che se si fosse proseguito con le cessioni del credito, si sarebbero generati nel 2023 almeno altri 40 miliardi di euro di detrazioni, che sarebbero andate ad aumentare il debito dello Stato, per ragioni contabili che vedremo meglio fra poco.

“Vuol dire non avere i soldi per fare la legge finanziaria; quindi, scordiamoci il taglio del cuneo fiscale, i soldi per le famiglie, i soldi sul fondo della sanità, qualsiasi cosa vi venga in mente non si potrebbe fare”, ha affermato Meloni.

In altre parole, la coperta fiscale italiana è corta e il timore di non poter finanziare con nuovo deficit altre misure che il governo ritiene imprescindibili ha preso il sopravvento. Oltre a quella relativa al cuneo fiscale o le misure in favore della natalità, citate dalla stessa Meloni, si può pensare alla riforma delle pensioni o a quella già varata relativamente alla flat tax per i redditi autonomi fino a 85.000 euro.

Cosa succede ora

Questo pomeriggio (20 febbraio) il governo incontrerà prima il mondo finanziario: l’Associazione bancaria italiana (Abi), Cassa depositi e prestiti, cioè il braccio operativo economico del governo nonché soggetto controllante  di Poste Italiane e Sace, le cui garanzie potrebbero dare ossigeno agli operatori. Dopo di loro l’esecutivo incontrerà il mondo delle imprese interessate ai bonus energetici ed edilizi.

Alla vigilia degli incontri, fonti di governo citate da Il Sole 24 Ore hanno anticipato la posizione dell’esecutivo: “nessuna modifica al decreto legge” ma volontà di “ascoltare” i soggetti finanziari e le categorie imprenditoriali coinvolte. Altre fonti hanno indicato che la sostanza del provvedimento non cambierà, ma che i tecnici stanno studiando delle formule per risolvere il problema dei crediti incagliati.

Fra le soluzioni prefigurate nei giorni scorsi, non dal governo ma dalle parti sociali, ci sono la cartolarizzazione dei crediti o le loro compensazioni con debiti fiscali tramite modelli F24 presentati in banca.

La cartolarizzazione consiste nel trasformare i crediti incagliati in titoli liberamente negoziabili, inserendoli in dei “pacchetti” da cedere sul mercato tramite apposite società veicolo che fanno da emittenti di tali titoli. Si tratta quindi di una soluzione di mercato che presumibilmente toglierebbe le castagne dal fuoco al governo in tema di maggiore debito.

Il problema di una cartolarizzazione è quello dei tempi e della possibilità che, per rendere questi titoli appetibili sul mercato, il prezzo e rendimento a cui verrebbero piazzati potrebbero risultare anche abbastanza inferiori a quelli “nominali” dei crediti fiscali in essi inseriti.

Con gli F24, in pratica, le banche, che hanno esaurito la propria capienza fiscale e quindi non possono più acquistare crediti, potrebbero alleggerire i debiti fiscali compensandoli con gli importi dei pagamenti fiscali fatti dai clienti con i modelli F24 ai propri sportelli.

L’ostacolo, in questo caso, è che il problema del maggiore debito, scacciato dalla porta di casa, rientrerebbe dalla finestra, perché tali compensazioni costituirebbero un costo immediato per lo Stato. E qui torna alla ribalta la questione rimbalzata negli ultimi mesi fra l’Istat e Eurostat circa il modo più opportuno di contabilizzare le cessioni dei crediti.

Debito e deficit

Eurostat ha recentemente indicato che i crediti liberamente cedibili, compensabili con altre imposte e spalmabili nel tempo, come quelli finora generati dal Superbonus, costituiscono un disavanzo dello Stato per il loro intero importo e nell’anno stesso in cui nascono, e non per gli importi minori ripartiti nei successivi cinque o dieci anni in cui vengono detratti.

Riguardo a ciò, Luca Ascoli, direttore statistiche finanza pubblica di Eurostat, in audizione il 14 febbraio in Commissione Finanze e Tesoro del Senato, ha fatto ulteriori precisazioni sui cosiddetti crediti fiscali “pagabili” e “non pagabili”, cioè su quei crediti che saranno effettivamente usufruiti al 100% e quelli che invece non lo saranno a causa di insufficiente capienza fiscale del beneficiario o per altre ragioni.

Impropriamente si è parlato di effetto enorme sul debito pubblico… Non è questo il caso… L’impatto a lungo termine del Superbonus e dei bonus edilizi sul deficit è esattamente lo stesso, identico sia se il credito fiscale è pagabile sia se non è pagabile. Quello che cambia è il momento in cui vi sarà l’impatto e non l’ammontare totale finale del costo della misura”, ha chiarito Ascoli.
 
Se formalmente l’indebitamento nel lungo termine non cambia, la differenza è comunque sostanziale per la contabilità statale, perché l’impatto sull’indebitamento dello Stato, nel primo caso, avverrebbe tutto in una volta, nell’anno in cui il credito viene maturato, invece di essere distribuito su un certo numero di anni, quando il credito d’imposta da pagare viene effettivamente utilizzato.

In linea generale, cambia, per lo meno nel breve termine, lo spazio di manovra di un governo. Il peso sarebbe cioè molto inferiore e contabilmente, se spalmato su cinque anni invece che su un anno solo, quella stessa spesa potrebbe essere più agevolmente considerata come un investimento piuttosto che un semplice debito.

O, alternativamente, se i 105 miliardi maturati fino a oggi, accesi nei tre anni dal 2020 al 2022, venissero contabilizzati come debito interamente relativo a quegli anni, si aprirebbe un maggiore spazio per il deficit di quest’anno e degli anni successivi.

Da quest’anno, l’ufficio di statistica europeo potrebbe chiedere di contabilizzare gli importi direttamente sul debito pubblico. In questo caso i 15 miliardi di crediti incagliati potrebbero avere un impatto un po’ meno traumatico, rispetto ad un debito pubblico italiano che tocca 2.700 miliardi di euro.

Il confronto con Eurostat è ancora aperto su come contabilizzare esattamente le detrazioni e le cessioni del credito e se ne dovrebbe sapere di più a inizio marzo.

Ragioni sbagliate

Tornando alle dichiarazioni di Meloni, il problema da lei indicato, cioè la debolezza del bilancio italiano e la coperta fiscale corta, sono reali. Sono invece sbagliate e fuorvianti le ragioni addotte dalla premier per bloccare la cessione dei crediti. Non è cioè vero che il Superbonus costi troppo.

Meloni ha calcolato in circa 2mila euro il peso che il Superbonus impone sulle spalle di ogni italiano, neonato o adulto che sia. In realtà, sarebbero 1.750 euro circa, facendo una semplice divisione fra 105 miliardi e i meno di 60 milioni della popolazione italiana. Questa cifra però è lorda e non tiene conto delle ricadute fiscali positive che i bonus edilizi generano.

Secondo l’Istat, nel secondo trimestre 2022 solo il settore delle costruzioni ha contribuito per il 16% alla crescita dell’economia italiana. La società di consulenza Nomisma calcolava lo scorso luglio che il Superbonus ha generato da solo un valore economico di 124,8 miliardi di euro, pari al 7,5% del Prodotto Interno Lordo (Pil) del Paese. Il centro ricerche Cresme, invece, stima che l’anno scorso siano stati creati 587mila occupati in Italia, dei quali 311mila direttamente nel settore delle costruzioni.

Questi e altri studi condotti sugli impatti economici e di bilancio del Superbonus indicano in modo sostanzialmente univoco che il meccanismo della detrazione fiscale del 110% e la cinghia di trasmissione della cessione dei crediti, senza la quale le detrazioni rimarrebbero al palo e sarebbero appannaggio solo dei più ricchi, hanno avuto più effetti positivi che negativi.

Il Superbonus è sicuramente perfettibile, ma non con le iniziative prese con il decreto Pnrr. Se il problema è la coperta fiscale corta, invece di suicidarsi affossando il Superbonus e la ripresa economica che ha garantito, meglio cominciare a rinunciare ai tanti bonus a pioggia che rappresentano una spesa improduttiva.

E, ancora una volta, si cambiano le carte in tavola a partita in corso, senza avere apparentemente imparato nulla dal passato.

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