Calore di recupero per il teleriscaldamento e semplificazioni autorizzative

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Un’analisi delle problematiche irrisolte sul tema del calore di scarto e del suo utilizzo nelle reti di teleriscaldamento. Un potenziale di produzione termica enorme, pari a 121 TWh/anno. Troppi però gli ostacoli a una sua maggiore diffusione sul nostro territorio.

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Dopo aver analizzato le problematiche autorizzative nel teleriscaldamento per il solare termico, la biomassa e la geotermia (vedi link in basso), chiudiamo questa carrellata sulle fonti di approvvigionamento con il calore di scarto, cercando di capire quali azioni possono essere intraprese per incrementare il suo impiego.

Per rispondere a questa questione, ci riferiamo ancora una volta ai contenuti di una della quattro schede tematiche sugli iter autorizzativi sviluppate dal progetto europeo RES-DHC.

Un potenziale considerevole

La Direttiva 2018/2001/CE definisce calore e freddo di scarto come “il calore o il freddo inevitabilmente ottenuti come sottoprodotti negli impianti industriali o di produzione di energia, o nel settore terziario, che si disperderebbero nell’aria o nell’acqua rimanendo inutilizzati e senza accesso a un sistema di teleriscaldamento o teleraffrescamento, nel caso in cui la cogenerazione sia stata o sarà utilizzata o non sia praticabile”.

Lo studio condotto dai Politecnici di Milano e Torino nel 2020 ha stimato il potenziale di diffusione del teleriscaldamento efficiente (art. 2, lettera tt) del D.Lgs. 102/2014) sul territorio nazionale, con un focus su sistemi di nuova generazione basati su rinnovabili e fonti di calore di scarto, altrimenti smaltito in ambiente.

Analizzando puntualmente i processi produttivi presenti sul territorio, si è stimata una quota di calore di scarto recuperabile in reti di teleriscaldamento pari a circa 121 TWh/anno, poco meno di un terzo del fabbisogno annuo per riscaldamento ambiente e acqua calda sanitaria nei settori residenziale e terziario.

Nella stima si tiene conto del livello di temperatura del calore in eccesso, del rendimento della tecnologia impiegata per il recupero e l’integrazione nella rete di teleriscaldamento (scambiatore di calore oltre i 90 °C e pompa di calore sotto i 90 °C) e della corrispondenza temporale tra disponibilità del calore di scarto e fabbisogno termico.

Tre pilastri per cambiare

In Italia l’integrazione del calore di scarto nelle reti di teleriscaldamento non è ancora regolata dall’Arera sebbene il decreto legislativo 102/2014 preveda che l’Autorità individui “condizioni di riferimento per la  connessione alle reti di teleriscaldamento e teleraffrescamento, al fine di favorire l’integrazione di nuove unità di generazione del calore e il recupero del calore utile disponibile in ambito locale, per lo sfruttamento del potenziale economicamente sfruttabile”.

A tal fine, le Associazioni AIRU e Utilitalia hanno presentato un position paper all’Autorità, sottolineando tre aspetti fondamentali:

  1. la necessità di un raffronto con le discipline adottate nei Paesi europei con più consolidata esperienza
  2. la valutazione degli aspetti della normativa euro-unitaria a più diretto potenziale impatto (facendo riferimento specifico al recepimento delle direttive RED II e EED)
  3. il raccordo fra la futura regolazione e la normativa nazionale.

Dal primo elemento si è evinto come nella maggior parte dei Paesi europei la disciplina di connessione di parti terze ai sistemi di teleriscaldamento sia legata alla “sussistenza di obblighi di negoziazione tra l’operatore del sistema di teleriscaldamento e il produttore terzo”.

Relativamente alla Direttiva RED II, inoltre, viene esplicitata la necessità di dotare i gestori di “certificazione atta a comprovare la fattispecie di efficienza del sistema come da definizione del D.Lgs. 102/2014 ex-ante all’identificazione del modello regolatorio per la connessione di Terzi ai sistemi di teleriscaldamento”.

Asimmetrie pericolose

In conclusione, le associazioni sopra citate evidenziano la criticità legata alle sempre crescenti asimmetrie tra “l’incremento degli adempimenti amministrativi e soprattutto dei costi indotti associati alla regolazione del settore, da un lato, e la carenza di implementazione di meccanismi di sostegno in grado di valorizzare le esternalità positive dei sistemi di teleriscaldamento e teleraffrescamento efficiente”.

La complessità relativa alla possibile integrazione di calore di scarto da impianti diversi da quelli industriali è esplicitata anche nella quarta edizione del rapporto “Teleriscaldamento e teleraffrescamento in Italia” (pdf), pubblicato a giugno 2022 dal Gse.

Nel rapporto viene citato che “in assenza di indicazioni normative sui criteri da applicare per definire i confini tra cogenerazione e recupero di calore di scarto”, si è scelto un approccio conservativo, escludendo “il recupero da impianti termoelettrici dal concetto di calore di scarto” e includendo solamente la quota di calore recuperata dai processi industriali, tra cui ad esempio acciaierie, cementifici, eccetera.

Già molti esempi in Italia

Nel 2020 la produzione di energia immessa nelle reti di teleriscaldamento a partire da cascami termici industriali si è attestata intorno ai 55 GWh, pari allo 0,5% dei circa 11,3 TWh totali.

Nella rete di teleriscaldamento della città di Aosta, ad esempio, è installata una pompa di calore da 17 MW termici per recuperare il calore di scarto dell’acciaieria Cogne Acciai Speciali a circa 18 °C innalzandone la temperatura fino ai livelli operativi della rete di teleriscaldamento (circa 90 °C sulla mandata).

Nella rete di Brescia si recupera calore dalla acciaieria Ori Martin dal 2016 e dalla acciaieria Alfa Acciai dal 2021 e in quella di Brunico (BZ) da GKN Sinter metals (lavorazioni metallurgiche) dal 2006.

A Canale (CN) si recupera calore dal 2021 dallo stabilimento E. Vigolungo, leader in Italia nella produzione dei pannelli in compensato e nella rete di Milano dalla vetreria Vetrobalsamo, che produce bottiglie speciali in vetro Maya e Bianco.

La rete di teleriscaldamento di Lonato del Garda (BS) è alimentata dai cascami termici di uno stabilimento siderurgico di proprietà di Feralpi, servito da una sottorete interna allo stabilimento stesso; al punto di interfaccia, tramite uno scambiatore a recupero, l’energia recuperata è fornita alla rete cittadina e fornisce circa il 34% dell’energia totale.

La rete di Verona, infine, già dal 2015 recupera calore dallo stabilimento Acciaierie di Verona.

Uno scambio più libero

Nel già citato position paper di AIRU e Utilitalia, si evidenzia “la preferibilità di un modello fondato sulla libera contrattazione fra le Parti, in virtù delle condizioni di pariteticità rispetto ai necessari strumenti, finalizzato alla stipula di accordi bilaterali caso per caso, nel cui ambito possano continuare ad essere disciplinati gli elementi tecnici ed economici sottostanti in ossequio ai dettami del diritto civilistico. In altri termini, la palese assenza di fenomeni di fallimento di mercato induce, a giudizio delle scriventi, all’adozione di un modello regolatorio a carattere specifico e leggero, opportunamente strutturato in termini di disciplina della trasparenza informativa e della pariteticità di trattamento per la connessione di Terzi ai sistemi di teleriscaldamento e teleraffrescamento”.

In altri termini, si riconosce che il recupero del calore di scarto e il suo sfruttamento nelle reti di teleriscaldamento è una fattispecie complessa, dal punto di vista sia tecnico sia contrattuale, e, quindi, è necessario che la normativa lasci libere le parti di attrezzarsi con soluzioni ad hoc per regolare questo scambio.

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