È una vera crisi politica o solo una tempesta passeggera?
I contorni del caso scoppiato nelle istituzioni europee per via della direttiva “greenwashing” sono ancora complessi da decifrare in tutte le loro possibili implicazioni, ma un dato è certo: l’esecutivo guidato da Ursula von der Leyen rischia di aver aperto tensioni durature nelle sue alleanze politiche.
Tutto inizia la settimana scorsa, mercoledì 18 giugno, quando il Partito Popolare Europeo (di cui fa parte la stessa von der Leyen) invia una lettera alla commissaria all’Ambiente, Jessika Roswall, chiedendo di ritirare la direttiva Green Claims.
Quest’ultima, ricordiamo in estrema sintesi, è stata presentata dalla Commissione Ue nel 2023 nell’ambito del Green Deal e votata in plenaria al Parlamento a gennaio 2024.
Il testo vieta alle aziende di fornire informazioni fuorvianti e ingannevoli sulla presunta sostenibilità ambientale di prodotti e servizi, utilizzando diciture come “eco”, “verde” o “biodegradabile”, senza il supporto di prove e dati scientifici, in modo da tutelare i consumatori dall’ambientalismo di facciata (cosiddetto greenwashing) e favorire scelte di acquisto più consapevoli.
Torniamo alle vicende di questi giorni, come ricostruite dal sito web Politico.eu e dall’agenzia Euractiv.
Due giorni dopo la lettera dei popolari, venerdì scorso (20 giugno), un portavoce di Bruxelles afferma che la Commissione intende ritirare la direttiva, senza spiegare il motivo di questa scelta.
Ieri, 23 giugno, era prevista l’ultima tornata di negoziati tra rappresentanti del Parlamento e del Consiglio Ue sulla versione finale del provvedimento, ma le bocce si fermano, anche a causa della decisione italiana di ritirare il suo appoggio al testo in seno al Consiglio, in seguito agli annunci della Commissione.
Dopo mesi di colloqui istituzionali, la direttiva si congela alle sue battute finali. Fonti di Bruxelles poi abbozzano una spiegazione: la Commissione è in disaccordo con gli sviluppi dei negoziati, che prevedono di estendere gli obblighi della direttiva alle micro imprese.
Questo sembra essere il pretesto per affossare la nuova legislazione, che da subito è stata ampiamente osteggiata dalla destra e dalle associazioni delle imprese, temendo un aggravio degli oneri burocratici e un aumento dei costi a carico delle aziende.
Mentre la nuova parola d’ordine della Commissione è “semplificazione” (deregulation?), come si è visto con la presentazione a febbraio del pacchetto Omnibus, che posticipa l’applicazione delle direttive sulla sostenibilità societaria ed esenta il 90% degli importatori dal nuovo meccanismo per tassare le emissioni di CO2 alle frontiere Ue.
Ora che succede? La Commissione può ritirare una proposta di legge dal processo decisionale, ma questa facoltà non può equivalere a un diritto di veto e occorre rispettare l’equilibrio istituzionale, secondo l’orientamento della Corte di Giustizia Ue.
Se i co-legislatori abbandonassero l’idea di ampliare la portata della direttiva alle imprese più piccole, Bruxelles lascerà campo libero? O deciderà ugualmente di ritirare la direttiva, assecondando le pressioni delle fazioni politiche di destra?
“Ci aspettiamo che la Commissione svolga il suo ruolo costituzionale e sia un’equa collaboratrice tra il Parlamento europeo e gli Stati membri”, ha dichiarato Tiemo Wölken, eurodeputato socialista tedesco che sta portando avanti la proposta di legge per conto del Parlamento, insieme all’italiano Sandro Gozi (Renew).
Wölken ritiene poi che la giustificazione della Commissione sia un mero pretesto, affermando che “semplicemente non è vero” che i negoziatori avessero concordato di coprire le piccole imprese con i nuovi requisiti della direttiva.
Più in generale, se la Commissione Ue continuerà ad ascoltare le richieste provenienti da destra (dallo stesso PPE e da altri gruppi come i Conservatori e Riformisti e i Patrioti per l’Europa), rischia di compromettere la tenuta della coalizione centrista tra popolari, socialdemocratici e liberali.
Socialdemocratici e liberali potrebbero a loro volta ostacolare le iniziative della Commissione, rallentandone l’azione. Tuttavia, la cooperazione tra tutte le forze politiche pro-Europa sembra inevitabile per evitare lo stallo su questioni di vitale importanza, a cominciare dalla definizione del prossimo budget pluriennale 2028-2034 del blocco Ue.
In definitiva, resta da vedere quanto Bruxelles possa realmente tirare la corda verso destra su alcuni temi, soprattutto quelli ambientali, senza rischiare di spezzare i legami di centro-sinistra che finora le hanno consentito di governare.