Alluvioni, perché con il cambiamento climatico aumentano i rischi in Italia e cosa si può fare

I disastri di questi giorni in Emilia Romagna riaprono il dibattito sulle conseguenze degli eventi meteo estremi e su come intervenire a livello di prevenzione e adattamento.

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Allagamenti diffusi in 37 comuni, 21 fiumi esondati, oltre 250 frane, picchi fino a 300 millimetri di pioggia caduta in alcune località, centinaia di strade chiuse.

Sono i numeri, nel momento in cui scriviamo, dell’alluvione che ha colpito in questi giorni l’Emilia Romagna, causando già 14 vittime finora e migliaia di sfollati, mentre continua a esserci l’allerta rossa per maltempo sulla Regione.

Numeri che stanno alimentando nuovamente il dibattito sulle conseguenze di eventi meteorologici così distruttivi e su come adattarsi alla loro maggiore intensità e frequenza.

L’Emilia Romagna, spiega l’Ispra in una nota, è tra le regioni italiane più esposte al rischio di alluvione, guardando sia alle percentuali di territorio potenzialmente allagabile sia alle percentuali di popolazione che può essere coinvolta.

Nello scenario di pericolosità media, scrive l’Ispra, “le aree potenzialmente allagabili raggiungono il 45,6% dell’intero territorio regionale e la popolazione esposta supera ampiamente il 60%. Le province con maggiori percentuali di territorio inondabile sono Ravenna e Ferrara con percentuali che arrivano rispettivamente all’80% (87% di popolazione esposta) e quasi al 100%”.

Più in generale, dai dati Ispra riferiti al 2020 tramite la “mosaicatura” del territorio italiano sul rischio da alluvione, emerge che 6,8 milioni di abitanti (11,5% della popolazione) vive in aree con una media probabilità di essere colpite da alluvioni.

Mentre 2,4 milioni di persone si trovano in zone ad alto rischio.

Nel complesso, il 15% del territorio italiano (oltre 46 milioni di km quadrati) presenta un rischio medio oppure alto di avere allagamenti da alluvione.

Intanto le associazioni ambientaliste tornano a sottolineare i legami tra eventi estremi e cambiamenti climatici e la necessità di avviare politiche nazionali di prevenzione.

“Oltre ad avviare una seria azione di prevenzione, di cura e manutenzione del territorio per controllare il dissesto idrogeologico, e magari una legge efficace sul consumo di suolo, vanno accelerate le politiche di riduzione delle emissioni climalteranti”, osserva Kyoto Club.

Quello a cui stiamo assistendo, afferma poi Legambiente in una nota, “è l’altra faccia della crisi climatica che si ripercuote sui territori con eventi estremi sempre più intensi, con rischi per la vita delle persone e impatti sull’ambiente e sull’economia. E l’Italia ancora una volta si dimostra impreparata”.

La stessa Organizzazione meteorologica mondiale, nel presentare gli ultimi dati sul surriscaldamento globale, ha evidenziato che il continuo aumento delle temperature medie avrà impatti di vasta portata per l’ambiente, la sicurezza alimentare e la gestione delle risorse idriche.

Nel 2022 la temperatura media globale è stata di circa 1,15 °C sopra la media del periodo preindustriale (1850-1900) e si va verso un probabile temporaneo incremento a +1,5 °C nei prossimi 5 anni.

Le inondazioni emiliane sono l’ennesimo esempio di quanto possano essere devastanti gli effetti del cambiamento climatico, con un susseguirsi di eventi estremi (siccità, poi alluvioni e così via). E questi eventi si amplificano a vicenda: i mesi di siccità hanno inaridito i terreni, rendendoli meno permeabili, quindi il suolo era in grado di assorbire meno acqua e ciò ha contribuito ad allagamenti e frane.

Come spiega Edoardo Ferrara, meteorologo di 3B Meteo, “il protagonista di questo evento drammatico è stato un ciclone mediterraneo insolitamente intenso per il mese di maggio”.

Il ciclone, nato sulle coste del Nord Africa, ha poi risalito la nostra Penisola da Sud, a iniziare dalla Sicilia, provocando intensi nubifragi con allagamenti, prima di colpire le zone emiliane.

E in un mondo globalmente più caldo, precisa Ferrara, “vi è maggior vapore e quindi energia a disposizione dei cicloni, con effetti che talvolta diventano drammatici, come quello attuale. Questi fiumi di vapore subtropicali sono stati responsabili anche della devastante alluvione nelle Marche dello scorso settembre”.

Legambiente quindi sollecita il Governo a intervenire. I 10 miliardi investiti a livello nazionale dal 1999 al 2022 per la prevenzione del rischio idrogeologico (dati della piattaforma Rendis di Ispra), secondo l’associazione, sono stati spesi “in modo inefficace”.

Si chiede, in particolare, di approvare definitivamente il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, stanziando adeguate risorse economiche per attuarlo, e di approvare una legge che preveda lo stop alla cementificazione e al consumo di suolo, altri fattori che contribuiscono a rendere il territorio sempre più fragile ed esposto agli eventi climatici estremi.

Altra richiesta è quella di promuovere politiche territoriali di prevenzione e campagne di informazione di convivenza con il rischio.

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