Batterie, un passo avanti storico … dovuto a una fuga di gas

In California si è appena installata una capacità di accumulo elettrochimico per la rete pari al 15% di tutta quella al momento esistente a livello mondiale. Si tratta di tre impianti progettati subito dopo la disastrosa fuga di gas di Aliso Canyon: sostituiranno i cicli combinati a gas nel coprire i picchi della domanda.

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La settimana scorsa è avvenuta un’accelerazione importante sul percorso che i sistemi di accumulo stanno compiendo per diventare sempre più centrali nel sistema elettrico. E all’origine di questo passo avanti c’è un disastro causato da una fonte fossile.

In California, infatti, una fuga di gas enorme avvenuta nel 2015 ha portato i regolatori del Golden State a chiedere soluzioni alternative alle centrali a gas per fornire flessibilità al sistema e – a tempo di record – la settimana scorsa sono entrate in funzione le 3 più grandi installazioni di storage elettrochimico per la rete al mondo.

Per avere un’idea delle dimensioni, secondo la stima di Bloomberg New Energy Finance si è installata una capacità di accumulo elettrochimico per la rete pari al 15% di tutta quella al momento esistente su scala mondiale.

La fuga di gas che ha dato la spinta allo storage è quella dell’impianto di stoccaggio di Aliso Canyon, avvenuta a ottobre 2015, che ha messo in crisi l’intero sistema di approvvigionamento energetico nell’area di Los Angeles. L’impianto, gestito da Southern California Gas (SoCalGas) è infatti fondamentale per fronteggiare i picchi estivi e invernali dei consumi di gas e per quelli delle centrali termoelettriche.

Della fuga – che è stata disastrosa per la quantità di gas rilasciata in atmosfera – su queste pagine abbiamo già parlato per un’altra delle operazioni che ha stimolato: la messa in campo di uno “stormo” di circa 50mila termostati intelligenti capaci di fare da accumulo distribuito gestendo la domanda degli utenti in maniera aggregata.

La settimana scorsa, come detto, è entrata in funzione anche un’altra soluzione: le batterie per la rete capaci di rimpiazzare nella copertura dei picchi di domanda elettrica gli impianti a gas.

Tesla, Greensmith Energy e AES Energy Storage hanno infatti inaugurato tre enormi accumuli agli ioni di litio, due da 20 MW (e 80 MWh) e uno da 30 MW (e 120 MWh), per un totale di 70 MW. Tutto questo nel giro di 6 mesi dall’avvio del progetto, con Tesla che ha completato il suo impianto addirittura in 3 mesi.

Le installazioni assorbiranno l’energia in eccesso nei picchi di offerta – ad esempio la produzione del fotovoltaico durante le ore centrali del giorno – e la restituiranno nei picchi di domanda, ad esempio in quello serale, rimpiazzando in parte il ruolo di impianti flessibili come i cicli combinati a gas.

Quanto è avvenuto è storico sia per la scala dei progetti sia perché potrebbe segnare l’inizio di un’era in cui le batterie scalzeranno il termoelettrico nella copertura dei picchi di domanda, oltre che nella fornitura di servizi per la rete come la regolazione di frequenza (un’applicazione questa che – secondo la stima dell’Energy & Strategy Group del Politecnico Milano – per le batterie sarebbe già sufficientemente remunerativa anche nell’Italia di oggi).

Il costo dello storage elettrochimico si è all’incirca dimezzato dal 2014 ad oggi. Secondo BNEF, perché in California le batterie battano economicamente i cicli combinati a gas nel coprire i picchi, deve dimezzare ancora.

Il punto di sorpasso, secondo la società di consulenza, è a 275 $ per kWh di accumulo installato, mentre il progetto da 20 MW di Greensmith, realizzato in partnership con Altagas, è costato circa 500 $/kWh.

La strada però è segnata dalle economie di scala: la sola California sta imponendo alle utility di testare le batterie in progetti per un totale di 1,32 GW entro il 2020; per avere un confronto, l’intero mercato mondiale dello storage elettrochimico nel 2016 non ha sorpassato il GW.

Poi ci sono iniziative, come quella di Tesla ed altri, che porteranno la produzione di accumuli su volumi inediti.

Il produttore di auto elettriche attivo anche nelle batterie stazionarie ha da poco messo in moto la sua Gigafactory e ha come obiettivo tagliare i costi del 30% in un anno ed entro il 2018 produrre 35 GWh di batterie all’anno, quasi quanto il resto della produzione mondiale.

E la gigantesca fabbrica di Tesla in Nevada non è l’unico progetto che darà una spinta per far scendere i prezzi.

La stessa Tesla starebbe pensando a una “Gigafactory 2” che potrebbe vedere la luce in Europa, stando alle voci circolate a dicembre dopo che Tesla ha annunciato l’accordo per acquisire Grohmann Engineering, società tedesca specializzata in tecnologie e sistemi per l’automazione industriale.

Ci sono poi molti altri attori importanti pronti ad entrare in gioco: Samsung SDI con una fabbrica in Ungheria, da inaugurare presumibilmente nella seconda metà del 2018, avrà una capacità produttiva pari a 2,5 GWh di batterie l’anno. LG Chem intende costruire un impianto in Polonia, sufficiente per equipaggiare circa 229.000 vetture.

Mentre il progetto più avanzato in Europa è della tedesca BMZ. Il costruttore di batterie ha aperto il primo stadio di una super-fabbrica che entro il 2020 dovrebbe produrre batterie di diverse taglie per 30 GWh di capacità complessiva.

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