Il fotovoltaico senza incentivi si può fare, ma nella situazione attuale non è assolutamente un’ impresa facile. Occorre cambiare completamente mentalità, passando da quella del’investirtore a quella dell’operatore energetico. Si tratta di sperimentare nuovi modelli di business, ottimizzare produzione e valorizzazione dell’energia, ma soprattutto considerare una serie di variabili prima trascurabili che richiedono di saper gestire, a fronte di guadagni ben più risicati, un livello di rischio d’impresa sconosciuto nell’era degli incentivi. Tutto questo in un contesto sfavorevole non solo per le rinnovabili ma per l’intero settore della generazione elettrica.
È stato un duro, ma costruttivo, confronto con la realtà quello che si è svolto ieri a ‘Next Wave PV’, il convegno organizzato da eLeMeNS sul fotovoltaico senza incentivi (in basso link alle presentazioni). Con il conto energia agli sgoccioli – il raggiungimento della soglia di spesa dei 6,7 miliardi è atteso a giorni – il fotovoltaico italiano sta per voltare pagina. Il tempo degli investimenti relativamente semplici, praticamente senza rischi, che garantivano un accesso al credito quasi illimitato e rese generose è finito. Fare fotovoltaico da adesso in poi vorrà dire confrontarsi con una serie di driver diversi e in base a questi scegliere tra una molteplicità di modelli di business in gran parte quasi inesplorati.
Per operare in market parity, cioè a costi competitivi con il mercato all’ingrosso – ha spiegato Andrea Marchisio di eLeMeNS – a seconda della dimensione dell’impianto, ci si può rivolgere a destinatari diversi: Borsa elettrica, trader, consumatori finali o Gse con ritiro dedicato e prezzo minimo garantito. Per la grid parity, ossia per investimenti competitivi con l’energia acquistata dalla rete, ci si deve rivolgere a clienti finali con modelli tipo Sistemi Efficienti di Utenza, i cosiddetti SEU. In tutti i casi, e in particolar modo nei modelli merchant, nei quali ci si confronta direttamente con le complesse dinamiche della borsa elettrica o del trading a breve termine, la gestione del rischio è tutt’altro che banale e la difficoltà nell’accesso al credito è conseguente (vedi grafico sotto, clicca per ingrandire – cortesia eLeMeNS).
“Serve un soggetto con uno standing creditizio solido, la solvibilità diventa un elemento essenziale e forme di collateralizzazione dinamiche ed alternative sono fortemente auspicabili”, ha sottolineato nel suo intervento Stefano Fiorenzani di Aleph Consulting. È finita l’epoca d’oro in cui le banche finanziavano in media l’80% dell’investimento (sono 20,9 i miliardi di euro che il sistema bancario ha incanalato nelle rinnovabili dal 2007 al 2011), “ora per concedere credito è necessaria un’attenta valutazione di tipo corporate e la leva finanziaria si riduce di conseguenza”, ha ricordato Giuseppe Dasti di Mediocredito Italiano. “Non è più un mestiere per banche”, ha sintetizzato lapidariamente Giuseppe Artizzu, di Cautha.
Se per il rappresentante di Mediocredito Italiano la market parity in Italia è ancora un miraggio – un impianto a Ragusa da 25 MW, è il suo esempio, che oggi non costa meno di 28 milioni di euro, garantirebbe un IRR complessivo del 4% e solo dell’1% a chi vi abbia investito con un equity del 40% – la visione di Artizzu è diversa. A realizzare fotovoltaico in market parity per primi, secondo l’a.d. di Cautha, saranno due tipi di soggetti: chi è nell’upstream, ha magazzini da svuotare e un interesse a dimostrare che si può fare; e le utility che abbiano scarsa capacità di generazione rispetto alla platea di clienti. Peccato che, come ricorda lo stesso Artizzu, la maggior parte delle utility non stiano prendendo questa strada e anzi si stia liberando dei propri asset di rinnovabili. “Il momento d’altra parte è difficile per tutti, non solo per le rinnovabili: le utility europee stanno fuggendo dall’Europa e ci sono più operazioni di dismissione che per acquisire nuova potenza”, fa notare Stefano Granella di 9REN.
Dunque un contesto difficile. Ci si immaginerebbe che i fondi di investimento dichiarino chiuso il capitolo rinnovabili, invece, riporta Elena Maspoli di VEI Capital “si sta lavorando su sacche di valore inespresso, che si possono valorizzare con una gestione di portafoglio degli asset, ottimizzando ad esempio produzione e valorizzazione dell’energia, manutenzione, costi assicurativi”.
E la grid parity, ossia la competitività rispetto all’energia comperata dalla rete, che è molto più a portata di mano rispetto alla market parity? Qui il modello di business è la vendita diretta ad un cliente, tramite un accordo di lungo termine, in un assetto tipo SEU, in cui l’energia viene venduta dietro al contatore. Un capitolo fondamentale e di grande attualità, vista la posizione dell’Autorità che vorrebbe che gli oneri di sistema si pagassero anche sull’energia che non passa per la rete (QualEnergia.it, L’Autorità per l’Energia all’attacco dell’autoconsumo: si paghino gli oneri), è quello del rischio normativo su SEU e scambio sul posto. Lo tratteremo in un articolo a parte. Per capire quanto sia importante basti per ora il dato portato da Tommaso Barbetti di eLeMeNS: in caso di regolazione avversa nei prossimi anni si prevede che si installino appena 200-300 MW all’anno, rispetto ai circa 1000 MW medi prevedibili.
Grande problema del FV in grid parity è poi trovare la domanda da soddisfare, ossia i clienti per i quali valga la pena installare sul tetto l’impianto dal quale acquisteranno l’energia. Se aziende energivore e piccole e medie imprese restano un mercato difficile – spiega Dario Di Santo di Fire – le cose potrebbero andare meglio nel terziario, clienti abituati ad esternalizzare servizi per i quali il FV magari abbinato a una pompa di calore avrebbe senso, come pure nella pubblica amministrazione (salvo le note difficoltà nell’ottenere pagamenti in tempi ragionevoli) e nel residenziale, settore nel quale un certo ruolo lo potrebbero avere, accanto alle ESCo, anche le cooperative energetiche di cittadini, modello ben sperimentato in Alto Adige (QualEnergia.it, Un caso di autarchia energetica, pulita e democratica).
Tutto sarebbe più facile nel modello di business “dietro al contatore” se si potessero già mettere in campo gli accumuli a prezzi ragionevoli. Quando arriveranno? Ci si sta lavorando: Valerio Natalizia, intervenuto come a.d. di Sma Italia, illustrando le varie innovazioni che permettono ai nuovi inverter di ottimizzare produzione e valorizzazione dell’elettricità, ha annunciato il lancio tra qualche mese di un modello con accumulo integrato; mentre Marco Pigni, di Fiamm, a margine del convegno, ci ha informato che l’azienda metterà sul mercato batterie a costi accessibili a clienti domestici dall’inizio del 2014.
Qui le presentazioni dei relatori di Next Wave PV