Le pratiche attuate dal governo del Belgio per tenere in vita i due reattori nucleari Doel 4 (nella foto) e Tihange 3, inizialmente destinati alla chiusura nel 2025 ma poi rilanciati nel 2022 per contrastare la crisi energetica, finiscono sul tavolo della Commissione europea.
Ieri, 22 luglio, l’esecutivo comunitario ha infatti annunciato di aver avviato un’indagine sull’accordo firmato lo scorso dicembre dal governo belga per il rinvio di 10 anni della chiusura dei due reattori, ora previsto per il 2035.
I reattori sono di proprietà congiunta di Electrabel, una sussidiaria di Engie, con una quota dell’89,8%, e Luminus, una sussidiaria di Edf, con una quota del 10,2%. Gli accordi prevedono la creazione di una joint venture al 50% tra lo Stato belga ed Electrabel che continuerebbe a detenere, insieme a Luminus, gli impianti e la loro produzione.
Nei patti c’è l’emissione di prestiti agli azionisti e un’iniezione di capitale da parte dello Stato belga e di Electrabel per un importo totale di circa 2 miliardi di euro per coprire le spese in conto capitale necessarie per l’estensione del ciclo di vita.
Inoltre, previsti meccanismi di sostegno finanziario forniti dal Belgio, tra cui il prefinanziamento dei costi e delle spese di Electrabel per le attività di sviluppo, un contratto per differenza (“CfD”) per la durata dell’estensione, un prestito di circa 580 milioni di euro e una garanzia sui flussi di cassa operativi.
Le responsabilità dello stoccaggio a lungo termine e dello smaltimento finale dei rifiuti nucleari e del combustibile esaurito passano allo Stato a fronte del pagamento di 15 miliardi di euro da parte di Electrabel.
Appena un anno fa Engie aveva chiesto una tariffa minima garantita di 82 €/MWh per l’energia prodotta durante il periodo 2025-2035 dai due reattori: lo Stato avrebbe dovuto pagare la differenza, se i prezzi fossero scesi sotto questa soglia. I prezzi del Cfd non sono noti, ma saranno stimati dall’Agenzia federale belga per il controllo nucleare (FANC).
Un prezzo iniziale sarà determinato nel 2025, per poi essere aggiornato nel 2028, in base al costo finale dell’estensione noto a quel momento, per coprire il periodo fino al 2035.
L’indagine della Commissione
La Commissione ritiene che questi elementi debbano essere esaminati insieme come un unico intervento, classificabile come “aiuto di Stato”.
“Mentre la misura belga appare giustificata – scrive l’esecutivo comunitario – in questa fase nutriamo dubbi sulla sua compatibilità con le norme Ue sugli aiuti di Stato”. Così nel dettaglio verranno esaminati:
- La necessità di meccanismi di sostegno finanziario aggiuntivi oltre al CfD, in particolare la creazione della joint venture e il suo finanziamento, nonché la garanzia del flusso di cassa operativo e il prestito di 580 milioni di euro;
- L’adeguatezza della progettazione del CfD e la combinazione di accordi finanziari e strutturali, in quanto potrebbero indebitamente esonerare i beneficiari da una quota di mercato troppo ampia e da rischi operativi;
- La proporzionalità della combinazione di accordi finanziari e strutturali e della somma forfettaria di 15 miliardi di euro;
- La conformità alla pertinente legislazione settoriale dell’Ue, in particolare per quanto riguarda la progettazione del meccanismo CfD;
- L’impatto della misura sul mercato alla luce della progettazione del CfD e della selezione e indipendenza dell’agente che vende l’energia elettrica nucleare.
Gli aiuti di Stato per l’energia nucleare, ricordiamo, possono essere valutati e approvati direttamente ai sensi dell’articolo 107(3)(c) del TFUE, che consente agli Stati membri di sostenere lo sviluppo di determinate attività economiche a determinate condizioni.
Il sostegno dovrebbe però rimanere necessario e proporzionato e non influire negativamente sulle condizioni commerciali in misura contraria all’interesse comune. È successo ad esempio lo scorso aprile, quando la Commissione aveva dato l’ok alla Repubblica Ceca e alla Francia per altri due progetti riguardanti l’atomo.
Praga aveva fornito un prestito statale agevolato per coprire la maggior parte dei costi di costruzione di un impianto da 1.200 MW che la società Elektrárna Dukovany II (Gruppo ČEZ) prevede di realizzare a Dukovany, da far entrare in funzione nel 2036 per le operazioni di prova (mentre l’inizio delle attività commerciali è previsto nel 2038).
Parigi ha invece concesso 300 milioni di euro a Nuward, controllata Edf, per portare avanti attività di ricerca e sviluppo di piccoli reattori nucleari modulari (Smr) sotto i 300 MW.
Una tecnologia che, come abbiamo scritto più volte in passato, non è sostenibile per via degli elevati costi e dei tempi di realizzazione che rischiano di sottrarre risorse alle tecnologie rinnovabili già mature e a basso costo.