Elaborare un piano di gestione dello spazio marittimo, approvare gli accordi relativi alle “zone economiche esclusive” con i Paesi confinanti e pianificare idonei interventi infrastrutturali nelle zone portuali strategiche.
Queste le prime richieste al Governo della neonata associazione Aero (Associazione Energie Rinnovabili Offshore), presentata a Roma lo scorso 25 maggio.
A fondarla tredici aziende del settore: Acciona Energia, Agnes, BayWa r.e. Progetti, BlueFloat Energy, Fred Olsen Renewables, Galileo, Gruppo Hope, Isla, M.S.C. Sicilia, Renantis, Repower Wind Offshore, Saipem e Tozzi Green.
Il primo presidente dell’associazione è Fulvio Mamone Capria, ex capo segreteria di Sergio Costa quando era ministro dell’Ambiente.
Con i suoi 8.300 km di coste, la sua rete portuale e una posizione baricentrica nel Mar Mediterraneo, l’Italia può giocare un ruolo di primo piano nella promozione e nello sfruttamento delle rinnovabili offshore.
I dati diffusi dalla nuova associazione confermano che le rinnovabili offshore in Italia sono una grande opportunità: solo 8,5 GW da realizzare al 2030 garantirebbero una produzione di 25,5 TWh, pari al 7% del fabbisogno elettrico nazionale, e consentirebbero un risparmio di quasi 2,2 milioni di tonnellate di petrolio e 145.000 nuovi posti di lavoro con un investimento di circa 25 miliardi di euro.
Tuttavia, almeno a giudicare dai volumi dei progetti presentati in Italia solo per l’eolico offshore, il nostro Paese dovrebbe riuscire a installare ben più di 8,5 GW in mare per fine decennio. Al 31 marzo 2023 le 49 richieste di connessione accettate di impianti eolici offshore ammontavano a 26 GW.
Su scala europea gli obiettivi per le rinnovabili offshore sono pari di arrivare a 109-112 GW entro il 2030, 215-248 GW per il 2040, e a 281-354 GW al 2050 (vedi “Rinnovabili offshore, concordati i nuovi obiettivi Ue e i bacini marittimi“).