L’Italia ha investito oltre 127 miliardi di euro nel 2023 in progetti e misure per decarbonizzare il suo sistema energetico-economico, pari a un quarto di tutti gli investimenti realizzati nello Stivale, puntando su efficienza energetica, fonti rinnovabili, mobilità sostenibile, infrastrutture di rete e altri settori.
Tuttavia, questo livello di spesa è ancora insufficiente e bisogna intensificare gli sforzi nei settori maggiormente responsabili delle emissioni di CO2, come i trasporti e la produzione di calore negli usi civili e industriali.
Difatti, per raggiungere i target europei al 2030, il nostro Paese deve raddoppiare il tasso di riduzione delle emissioni, passando da un taglio di circa 12 milioni di tonnellate equivalenti di CO2/anno (dal 2005 a oggi) a 21 MtCO2eq/anno.
Questi i principali risultati contenuti nell’edizione 2024 dello Zero Carbon Policy Agenda, pubblicato dall’Energy & Strategy della School of Management del Politecnico milanese e presentato oggi nel capoluogo lombardo.
“Si tratta di numeri importanti – conferma Vittorio Chiesa, direttore di E&S – che testimoniano la rilevanza della decarbonizzazione in Italia anche in termini industriali e occupazionali e che devono spingere a fare di più e meglio, proprio per non rendere vano lo sforzo profuso finora”.
Siamo convinti, aggiunge Chiesa, “che il cambio di passo sia ancora possibile, soprattutto se si considera il grande potenziale inespresso, da parte sia del pubblico che del privato. Pensiamo al Pnrr: l’Italia ha ottenuto oltre 194 miliardi di euro, più di ogni altro Stato europeo, ma ha destinato alle misure climatiche poco più del minimo previsto dall’Europa (41%, contro il 50% della Francia, che ha avuto un quinto dei nostri fondi, e il 47% della Germania)”.
Inoltre, “gli interventi stanno andando a rilento, con solo il 36% realizzato nel terzo trimestre 2024 contro il 64% previsto. Lo stesso vale per i fondi REPowerEU: abbiamo ricevuto la cifra più alta, ma solamente il 68% è servito per obiettivi climatici, contro una media europea dell’85%. Va sicuramente meglio il quadro delle riforme, ormai completo, ma sarà necessario attendere perché possa produrre effetti concreti”.
Cosa fanno le aziende private
Venendo poi alle azioni messe in campo dai privati, si legge nella sintesi dello studio diffusa dall’E&S, è indubbio che l’ESG e la finanza sostenibile stiano trasformando il mondo degli investimenti, integrando criteri ambientali, sociali e di governance nelle decisioni finanziarie.
“Gli indicatori ESG hanno spinto le imprese a decarbonizzare, nonostante la valutazione delle performance sia frammentata e manchi di una standardizzazione universale”, spiega Davide Chiaroni, vicedirettore di E&S e curatore dello studio.
Tuttavia, segnala l’esperto, “vi è una grande differenza tra le aziende quotate, molto esposte al giudizio del mercato in termini ambientali, e quelle che non lo sono: più si scende lungo le filiere e cala la dimensione aziendale, più l’attenzione verso le tematiche green si abbassa”.
Infatti, in base all’indicatore di “Emission Intensity”, che mette in relazione le emissioni di CO2 con il business delle aziende, le prime 40 imprese italiane per capitalizzazione di Borsa (tutte dotate di almeno un rating ESG) sono scese da 0,62 kton di CO2 per milione di euro di valore aggiunto nel 2018, a 0,39 nel 2022 (ultimi dati disponibili).
Se però si allarga lo sguardo alle principali imprese italiane per fatturato, ma non quotate in Borsa, la fotografia cambia radicalmente: il 70% non adotta nemmeno una valutazione ESG, indistintamente dal settore di riferimento, e la riduzione dell’Emission Intensity (limitato alle sole aziende che riportano i dati emissivi) è decisamente meno marcata, con 0,77 kton CO2/mln di euro di valore aggiunto.
Purtroppo in Italia, prosegue la nota, permangono diverse criticità. Ad esempio, già oggi sono 4.150 le aziende coinvolte dai nuovi obblighi imposti dalla Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), che comporterà sforzi in termini organizzativi e costi significativi per la sua implementazione.
Dal 2027, poi, circa 740 grandi aziende nazionali, per la maggior parte manifatturiere o di servizi finanziari e assicurativi, con sede al Nord, dovranno integrare le pratiche di due diligence di sostenibilità nella loro operatività: la loro responsabilità non si limiterà alle sole attività dirette, ma si estenderà a quelle delle filiazioni e dei partner commerciali lungo l’intera catena del valore.
Questa strada è davvero percorribile nel nostro Paese?
“Durante l’ultima legislatura dell’Europarlamento l’Italia non si è distinta per l’appoggio alle principali proposte per la decarbonizzazione, come i Paesi più virtuosi”, evidenzia Chiaroni.
D’altra parte, un’indagine condotta in collaborazione con ADL Consulting sulle ‘green keywords’ nei programmi elettorali di tutte le forze politiche italiane, mostra che i temi legati alla decarbonizzazione hanno un peso estremamente marginale, tra lo 0,4% e l’1,5% del totale.
Inoltre, “il nuovo assetto del Parlamento Ue non vede più la presenza della maggioranza che aveva garantito l’entrata in vigore dei principali provvedimenti negli ultimi cinque anni, mettendo un’ipoteca sul futuro: la situazione di attesa che si è creata potrebbe portare a un ulteriore stallo nel processo di decarbonizzazione, con il rischio di bloccare gli investimenti”.